Le condizioni disumane degli operai.
Ad oggi si contano più di 4mila morti durante la costruzione degli stadi

Le star dello sport non possono più avallare l’ignoranza. Hanno potere politico e devono usarlo

La nostra è la società dell’informazione. Le notizie sono ovunque e basta solo andarle a cercare. È talmente semplice recepire informazioni che oggi abbiamo anche la possibilità di scegliere a cosa credere e a cosa no, a seconda delle personali inclinazioni (secondo la fallacia logica del Cherry picking). In un mondo sempre più evoluto e democratico anche l’informazione lo è diventata ma ci pone davanti a un bivio: agire da attori o da semplici spettatori? In un recente articolo sul The Guardian, Philipp Lahm, capitano della nazionale tedesca campione del mondo nel 2014, ha posto l’attenzione sul ruolo di alcune personalità dello sport, invitandole a prendere posizione sulle questioni più scottanti a livello globale. Lo sport è oggi tra i settori più globalizzati e unisce tifosi, sportivi e tecnici da un capo all’altro del globo. Per questa ragione, per l’ex calciatore e opinionista tedesco è fondamentale, fare delle differenze tra l’atteggiamento delle diverse federazioni sportive.

Philipp Lahm
Philipp Lahm

Al primo posto tra gli sport che hanno deciso di assumersi tutto il peso della propria responsabilità politica troviamo sicuramente il tennis che, da molti anni ormai, vede campioni, ma soprattutto campionesse, sempre più impegnate nella lotta a favore della parità dei diritti nella società civile oltre che nell’ambiente sportivo. Uno dei primi esempi della storia risale agli anni Sessanta, quando la fondatrice della Women’s Tennis Association (WTA) e vincitrice di numerosi grand slam. Billie Jean King, portò avanti varie campagne in favore di una parità sostanziale, sia nel trattamento che nella retribuzione, delle tenniste rispetto agli uomini. Qualche hanno dopo, la più volte vincitrice di Wimbledon, Martina Navratilova, seguì le orme di King, protestando al fianco della comunità omosessuale. Le lotte delle campionesse del tennis si sono moltiplicate con il passare degli anni, tanto da rendere la loro società sportiva praticamente indipendente. Una delle ultime prese di posizione della WTA riguarda la decisione di sospendere qualsiasi torneo in Cina per sostenere la compagna #WhereisPengShuai, al momento numero uno al mondo nei doppi. Poiché il 30% dei guadagni del WTA proviene dalla Cina, la decisione ha messo chiaramente in luce l’importanza che le tenniste attribuiscono alla loro immagine sociale e politica, prima ancora che sportiva.

Billie Jean King
Billie Jean King

Ma parlando di guadagni, non si può certo evitare di parlare del calcio che si trova ai primissimi posti per i cachet di chi lo pratica (e non solo), ma agli ultimi quando si parla di diritti civili. Sta destando scalpore una questione spinosissima legata ai prossimi mondiali del 2022 che si terranno nello stato del Qatar. Recentemente il canale televisivo tedesco ZDS ha condotto un’inchiesta a telecamere nascoste che ha portato alla luce un aspetto molto drammatico della preparazione del prossimo mondiale: i lavoratori del Bangladesh, del Pakistan e del Nepal, incaricati della costruzione dello stadio per Qatar 2022, percepiscono una paga di circa 300 euro al mese, pagati spesso con molti mesi di ritardo, e sono costretti a vivere in otto in piccole stanze (per saperne di più sulle condizioni di chi lavora in Qatar per la costruzioni degli stadi e delle cittadelle sportive, leggi Il Qatar, i Mondiali 2022 e le condizioni disumane degli operai).

Nessuno sembra, però, aver sollevato la questione come se oggi non sapessimo qual è la reale situazione economica e sociale di un paese come il Qatar. In particolare, i calciatori che per professione sono costantemente inseriti in un ambiente internazionale e multiculturale dovrebbero essere a conoscenza di quello che succede nel resto del mondo o, comunque, tutti noi ci aspettiamo che lo facciano. Proprio perché con una visibilità così grande e un peso sociale così imponente sarebbe per loro molto più semplice dare voce a chi non è autorizzato a parlare in un mondo che, troppo spesso, fa prevalere antiche convinzioni suprematiste e razziste. Come scrive Lahm:

Quando la Coppa del Mondo del 1978 si svolse sotto la direzione del regime militare argentino, molti giocatori non avevano risposta alle domande sui diritti umani. Oggi il mondo non può più essere visto così ingenuamente. Tutti i soggetti coinvolti sanno meglio di prima cosa sta succedendo in continenti lontani. La maggior parte dei calciatori ha anche più tempo per affrontare tali problemi, grazie alla professionalizzazione avanzata. Personaggi pubblici come loro dovrebbero informarsi su questioni al di fuori della loro bolla. Ora che il mondo è diventato un villaggio, tutti conoscono le condizioni in Qatar.

Ma fortunatamente c’è chi ha sentito tutta la responsabilità della propria posizione e ha deciso di far sentire la propria voce. Leon Goretzka, non nuovo a prese di posizioni in favore delle comunità più deboli (leggi Euro 2020: qualcosa è cambiato), ha affermato la necessità di prestare maggiore attenzione a queste situazioni nella futura assegnazione degli appalti, mentre, secondo il capitano della Finlandia Tim Sparv: “Ci siamo svegliati troppo tardi, Io mi sono svegliato troppo tardi“. In realtà, se per il caso del Qatar la questione sembra essere emersa in ritardo, ci sono stati altri esempi in cui diverse federazioni calcistiche hanno preso una chiara posizione in merito alla lotta per i diritti civili. Per esempio, quando un giocatore di colore è stato insultato da uno spettatore durante la partita di terza divisione tra MSV Duisburg e VfL Osnabrück in Germania a dicembre, le squadre hanno forzato lo stop.

Che si tratti di calcio, tennis o basket lo sport gode di una cassa di risonanza globale con la quale ha la possibilità di lanciare messaggi importanti per le nuove generazioni. Lo sport, riconoscendo tutta la potenza della propria voce politica, potrebbe diventare finalmente quel luogo di aggregazione e solidarietà che abbiamo sempre sognato.

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Irene Saderini
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