Björn Borg
Foto: Gerry Cranham / Offside.

Björn Borg

Per quanto si può resistere alla pressione del successo? Per quanto la nostra mente può accumulare stress e irritazioni senza trovare mai una valvola di sfogo? A queste domande, forse, ha risposto con la sua breve quanto intensa carriera Björn Borg. Ritirarsi a 25 anni non è qualcosa di usuale; è più comune vedere tennisti ostinati a presentarsi al campo alla soglia dei quaranta: c’è in loro una dipendenza lisergica per questo sport. Borg odiava tutto questo, o meglio, odiava lo stress che il tennis ai massimi livelli comportava. Ma sopra ogni cosa, come tutti i campioni, odiava perdere.

Björn Borg
Foto: Gerry Cranham / Offside

Il 13 settembre 1981 Björn Borg veniva sconfitto da John McEnroe nella finale degli US Open. Le sfide tra Borg e McEnroe sono passate alla storia (leggendario il tie-break del quarto set nella finale di Wimbledon nel 1980), ma questa era l’ultima. Mentre McEnroe baciava sua madre, Borg se ne andava, scortato da sette agenti di polizia in borghese, prima dell’inizio della cerimonia di premiazione e della conferenza stampa. Si dice che si sia intrufolato attraverso le cucine di Flushing Meadows, sia salito su una Volvo e si sia diretto direttamente all’aeroporto, ancora con la sua classica tuta Fila.

A dire il vero non ero poi così deluso. Di tutte le finali che avevo giocato a Wimbledon, quella è l’unica che avrei dovuto vincere. John non aveva giocato bene e se io fossi stato un po’ più concentrato, avrei vinto tutti i set. Ma in fin dei conti non me la presi molto a cuore. Non me ne importava. Era strano… Avevo sempre puntato in alto. Tutti i giocatori volevano battermi e la gente si aspettava molto da me. Non c’era giorno della settimana che mi potessi permettere di non sentirmi motivato. Ero quello che non poteva perdere mai.

In uno sport in cui è quasi impossibile essere un enigma, Borg rimane tale anche dopo 40 anni. Perché ha smesso? Perché non ha continuato a lottare sul campo, come ha fatto, ad esempio, Roger Federer negli ultimi anni? Quali demoni imperversavano dentro quella bella testa con l’angelica chioma bionda e quei minuscoli occhi color cobalto un po’ troppo vicini tra loro? Se il tempo ha rivelato alcune risposte, su altre possiamo fare solo delle ipotesi.

Alla fine degli anni Settanta, Borg ha dominato il tennis come nessun altro aveva mai fatto prima: 109 settimane da numero 1 del ranking mondiale, quattro titoli del Roland Garros e 5 (con 41 vittorie consecutive) di Wimbledon. Il suo palmarès è la cartina di tornasole del suo impatto sul tennis, ma non basta a spiegarlo. Borg aveva un gioco dominante, senza fronzoli, e aveva portato una professionalità in questo sport che non era mai venuto in mente a nessuno di avere. Si esercitava in estenuanti slot di allenamento al punto da essere così in forma che ha affermato di non essersi mai sentito stanco durante una partita. La sua frequenza cardiaca a riposo era di 29 battiti al minuto, come quello di una balena. Aveva codificato uno stoicismo nel gioco che è stato poi adottato dai fenomeni di questa generazione, Federer su tutti. Ma la cosa straordinaria è che Ice Man non è nato con queste doti: le ha acquisite crescendo.

Björn Borg
Foto: Gerry Cranham / Offside

Da ragazzino era irascibile e vulcanico; a 12 anni si prese una squalifica di sei mesi per intemperanze. Fu solo grazie a Lennart Bergelin, allenatore e secondo padre, che riuscì a controllare la rabbia, instradandola nel suo gioco. E se sul campo diventava di ghiaccio, sempre imperturbabile, ecco che fuori comparivano alcuni, i primi, lati oscuri. Era diventato sempre più superstizioso, per non dire compulsivo: a Wimbledon ogni anno affittava la stessa macchina, si allenava solo su un campo, non calpestava le righe, utilizzava sempre due asciugamani; e ancora: alloggia nella stessa camera, i genitori potevano vederlo giocare a Church Road solo ogni due anni e non si rasava fin quando era in gara durante il torneo. D’altro canto, anche per questo suo “lato oscuro” è diventato la prima vera star del tennis; tutti volevano essere come lui, tutti lo sognavano: fenomeno di massa e icona pop. Aveva le groupie. Per un periodo fu usato anche l’orribile termine di “Borgasmo”.

Björn Borg
Wimbledon 1973., fan di Borg aspettano il suo arrivo – Foto: Gerry Cranham / Offside

Ma quel pomeriggio del 1981 a New York tutto era svanito. Per 4 volte Björn Borg era arrivato in finale agli US Open e per 4 volte era stato sconfitto. Ma quest’ultima battuta d’arresto lo aveva emotivamente schiacciato. Ma c’era dell’altro. Il motivo della scorta era riconducibile alle minacce di morte ricevute durante il torneo: la prima quando doveva affrontare Jimmy Connors in semifinale; la seconda, che ha saputo solo in seguito, durante la finale dopo il primo set. McEnroe, in seguito, ha riconosciuto: “Sembrava che non facesse il suo gioco“.

Björn Borg
Foto: Gerry Cranham / Offside

C’è poi da considerare anche il contesto più ampio. L’US Open del 1981 è stato l’ultimo grande torneo vinto da un tennista utilizzando una racchetta di legno standard. Con l’avvento delle racchette in telaio di alluminio e grafite, e con l’allargamento dell’area del piatto corde, che hanno cambiato il modo di giocare a tennis, è probabile che Borg si sia sentito spaesato. Certo, era ancora abbastanza giovane per adattarsi a questi cambiamenti, ma forse proprio quelle stesse restrizioni che si era imposto ​​erano diventate troppo gravose per essere ancora sopportate. Era  diventato professionista a 16 anni e aveva un vitale bisogno di libertà. E questa libertà post tennis ha mostrato i suoi lati oscuri: una vita caotica che lo ha visto più volte fare uso di droghe, rischiare il fallimento e fare da giudice nelle gare di magliette bagnate nei nightclub di Stoccolma.

Ciò non toglie quanto Björn Borg sia stato un punto di svolta per il tennis: sulle sue impronte hanno camminato i fenomeni di questa generazione. È stato un divo, oltre che uno sportivo. Ha giocato, vinto, lottato contro i suoi istinti, schiavo delle sue debolezze. È caduto e si è rialzato. Ma, soprattutto, ci ha dimostrato che il tennis è uno sport dove si gioca prima di tutto contro se stessi.

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