lewandowski barcellona

Il calciomercato del Barcellona dimostra che il DNA di un club non esiste

Il Barça ha deciso di fare grandi acquisti invece di sostenere una rosa giovane e un allenatore immerso nei valori e nelle tradizioni del club

Il più grande trucco che Pep Guardiola abbia mai fatto è stato convincere il mondo che ogni club può avere il proprio DNA. Quando nel 2008 è diventato l’allenatore del Barça, il calcio è in qualche modo cambiato. Un allenatore alla prima esperienza in prima squadra che subito scarica due grandi stelle come Ronaldinho e Deco, e vince il Triplete con una squadra composta da sette giocatori che avevano attraversato come lui i ranghi giovanili del club, fu qualcosa di entusiasmante. È stato bello ed è stato economico: quale dirigente non vorrebbe seguire un tale virtuoso modello?

Ovviamente, non tutti. Alcuni dirigenti si sono preoccupati più del branding e della prospettiva di essere salutati come dei maestri del calciomercato dai quei fan che vivono sugli slanci di dopamina che offre loro l’acquisto di grandi nomi. Ma per coloro che in realtà danno la priorità allo sport, il messaggio è sembrato ovvio: i club devono essere più simili al Barcellona. Devono avere un metodo e una filosofia, insegnati nelle loro accademie e poi applicati in prima squadra. Non solo si riesce a fare saving sul budget trasferimenti, ma è anche probabile che i talenti prodotti in casa siano più leali e che i fan siano più disposti a perdonare qualsiasi errore; il tipo di coerenza che ha caratterizzato quel Barcellona.

barcellona guardiola
Il primo Barcellona di Guardiola

I proprietari del Manchester City dopo le follie dei primi anni sono stati abbastanza intelligenti da riconoscerlo e creare per Guardiola un club costruito sul modello del suo Barcellona, ​​grazie anche al supporto di due ex dirigenti della squadra catalana. Il che rende ancora più sconcertante il fatto che il Barcellona abbia abbandonato quei principi. Con un debito di 1,3 miliardi di euro Laporta avrebbe potuto scommettere sul nucleo giovanile della squadra, Gavi, Pedri e Ansu Fati, oltre a Sergiño Dest e Riqui Puig, e provare a sistemare i problemi finanziari del suo club. Il tutto senza dimenticare che hanno anche Xavi, un allenatore nato e cresciutone ne La Masia e che incarna i valori del club. Se avessero vinto qualcosa sarebbe stata una grande storia romantica. Se non avessero vinto nulla, beh, lo sviluppo richiede tempo. Perdere le entrate della Champions League non è mai stata una preoccupazione realistica. Eppure, invece, il Barça ha deciso di fare una campagna acquisti in grande, coronata dalla firma di Robert Lewandowski. Lo ha fatto ipotecando il proprio futuro, un all-in nella convinzione che gli sperati successi arrivino nell’immediato e diano slancio anche ai conti.

Indipendentemente da come finirà questa scommessa, è lampante, ora più che mai, che l’unica verità che il calcio può consegnarci è che nessuna squadra ha un proprio, unico e definito DNA. Il DNA è il pretesto per affidare a un ex giocatore di poca esperienza il ruolo di allenatore nella speranza che, poiché “conosce il club”, possa in qualche modo evocare un successo in stile Guardiola. Ecco perché il Chelsea ha nominato Frank Lampard, il Manchester United Ole Gunnar Solskjær e la Juventus ha chiamato Andrea Pirlo, solo per citare alcuni esempi recenti. Per molti le identità stilistiche sono indistinguibili. Grosso modo esistono due tipologie di DNA auto-percepite: una squadra sfrontata che gioca un calcio elegante e offensivo o una squadra “tosta”, granitica, non un bel calcio, ma sicuramente difficile da battere.

lewandowski barcellona

Ma solo perché il DNA è un mito (ad eccezione forse dell’Ajax) non significa che avere una filosofia ben definita sia insensato. Il City è stato deriso per aver parlato di voler adottare un approccio più “olistico” quando ha esonerato Roberto Mancini. Ovviamente questo ha senso solo se l’allenatore, lo scouting e lo sviluppo dei giovani lavorano con la stessa idea di calcio, e che questa idea sia sufficientemente flessibile per evolversi con l’evolversi del gioco. E, forse, con il tempo la coerenza di questo approccio può, come è successo con l’Ajax, cementarsi nell’identità del club. Ma l’idea che le squadre, al di là di poche eccezioni, abbiano uno stile di gioco prestabilito, una predisposizione naturale a un modo particolare di fare le cose è pura mitologia.

About

Zeta è il nostro modo di stare al mondo. Un magazine di sport e cultura; storie e approfondimenti per scoprire cosa si cela dietro le quinte del nostro tempo,

Altre storie
Gianni Brera, la rockstar