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Quanto ci mancherà Vettel

Aria spensierata, capelli lunghi e incolti, Sebastian Vettel ha annunciato qualche settimana fa il suo ritiro. Ma non è stata una sorpresa. Ormai era chiaro da tempo che la Formula 1 non era più il centro del suo universo. Già durante il Question Time della BBC era evidente il suo crescente conflitto interiore: da un lato l’amore della sua vita, la Formula 1, e dall’altro il suo apologetico impegno a favore dei temi ambientali. Non è una semplice conversione sulla via di Damasco. Vettel –  53 vittorie in Formula 1, dietro solo a Michael Schumacher e Lewis Hamilton – ha dedicato la sua vita alla Formula 1, come pilota, tifoso e anche studioso. Pochi possono nominare tutti i campioni di Formula 1. Vettel è uno di quelli; sa raccontarti le gesta del primo campione del 1950, Giuseppe Farina, fino a quello in carica, Max Verstappen. Eppure il suo impegno per le questioni ambientali è arrivato ad avere sempre più peso nella sua vita. Ha citato questo, insieme al desiderio di trascorrere più tempo con la sua famiglia, come uno dei motivi del suo ritiro.

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Lascerà un’eredità importante: insieme a Hamilton, è uno dei pochi piloti che ha fatto sentire la propria voce sul razzismo, sui diritti LGBTQ+ e sull’emergenza climatica. Eppure, mentre questo attivismo ha forse definito l’ultima parte della sua carriera, il suo talento in pista rimane straordinario. I quattro titoli con la Red Bull tra il 2010 e il 2013 hanno mostrato un predominio che a tratti per gli avversari è stato scoraggiante. Una scintilla di grandezza, però, non durata a lungo: i titoli, che pensava di poter riconquistare, non li a più vinti. Eppure ha continuato a regalare prestazioni superbe, non ultima la sua vittoria sul bagnato a Monza nel 2008 con la Toro Rosso, quando il suo talento immenso ha colmato le lacune della sua auto. Certo, resta il rimpianto per quello che poteva essere: dopo i trionfi da predestinato, si è trasformato in un pilota normale, lasciando quella sensazione di una carriera incompiuta.

Ma quella faccia d’angelo un po’ hippy nasconde anche l’anima di un bullo e ribelle, come quando durante il GP di Malesia nel 2013 disobbedì agli ordini della sua scuderia, superando il suo compagno di squadra Mark Webber; oppure durante il GP d’Azerbaigian del 2017 quando urtò deliberatamente l’auto del suo rivale Hamilton, che non la prese benissimo al punto di dichiarare nel post gara che se proprio Seb voleva scontrarsi con lui doveva farlo come un “uomo”, fuori dall’auto.

Fin troppo umano, quindi.

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Ma ciò che ricorderemo di lui, oltre alla sua esuberante, adrenalitica giovinezza, è il suo senso di sportività. Tutti nel paddock l’hanno riconosciuto, non ultimo Hamilton, rivale che è diventato un amico.

Era incredibilmente veloce e molto, molto intelligente. Un grande avversario. Molto giusto ma anche molto forte. Non è mai stato uno che incolpa gli altri per gli errori, alzava sempre la mano e diceva che era colpa sua, cosa che ho sempre pensato fosse onorevole.

Lewis Hamilton

Il suo attivismo ha definito la fase finale della sua carriera, e segnerà questa nuova fase della sua vita, ma il suo talento ha lasciato un segno che brucia ancora adesso sull’asfalto. Personalmente, però, quello che mi mancherà più di lui è il suo essere contro. Contro la morale perbenistica che molti conservatori tentano di propinarci, contro le violenze verbali e, soprattutto contro chiunque creda che i gusti sessuali o la nazionalità siano criteri per discriminare gli altri. È ancora viva in mente l’immagine di Seb che indossa una t-shirt color arcobaleno a tema LGBT con la scritta Same Love, durante l’inno nazionale del GP di Ungheria. Nessuna paura di sfidare l’oscurantismo di Orban. Nessuna paura.

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