germania mondiale 2022
Credits: Visionhaus/Getty Images

E se fosse la Fifa il vero nemico di questi mondiali?

Che il mondiale in Qatar sarebbe stato un pasticcio lo si era capito già nel lontano 2010, data in cui fu assegnato ufficialmente all’emirato l’organizzazione del più importante evento sportivo calcistico. Ma che si sarebbe trasformato in una babele (dove la torre crolla) in pochi se lo sarebbero aspettati, bisogna essere onesti. Tralasciando le, ormai di dominio pubblico, questioni su quanto abbia pesato su questa candidatura la forza economica scatenata dall’emirato, oggi il mondiale sta facendo scoppiare in maniera eclatante alcune contraddizioni mastodontiche della società occidentale come portatrice di valori e diritti. 

Intendiamoci, non sono nuove le polemiche su come i mondiali vengano assegnati e su alcune “strategie” occulte usate dai Paesi in lizza per ottenere la vittoria dell’appalto, si ricordi ad esempio il caso clamoroso del Sud Africa. Quello che però sta saltando all’occhio in maniera evidente è una contraddizione sulla linea dei diritti civili, visto i divieti morali imposti dai principi del Qatar ai propri sudditi, alle squadre partecipanti, ai tifosi giunti da tutto il mondo. Le polemiche vanno dal goliardico coro dei tifosi ecuadoriani Queremos cerveza, al gesto di ammutolirsi dei calciatori tedeschi: davvero non si capisce quanto questo mondiale si trasformerà in un circo pacchiano. Rimangono i fatti e proveremo a partire da quelli.

germania mondiale 2022
Credits: Visionhaus/Getty Images

Quando furono assegnati i mondiali al Qatar, le possibilità di aprire un nuovo mercato facevano gola a molti. Del resto, le risorse dello Stato del vicino oriente erano pressoché infinite. La decisione presa sulla testa, come da sempre, su tifosi e singole nazioni appariva sì molto originale, ma tutto sommato poco compromettente. Peccato che il mondo in quei dodici anni sia cambiato e di molto sui temi centrali dell’economia e della società. La forza scatenata dal petrolio, risorsa florida dell’economia qatarese, era allora molto più dominante di oggi. Lontana dall’essere sostituito, il petrolio rappresentava solo un simbolo di possibilità e potere dovuto alla ricchezza. L’avvento delle energie rinnovabili, la loro maggiore fluidità e territorialità, hanno scatenato un’aura sempre più negativa sul potere del petrolio. In molti Stati europei, Germania in primis, il tema dell’indipendenza energetica prima che dell’ecologismo ha preso un carattere non solo culturale ma anche politico. Come dimostra in maniera estremamente razionale Amitav Ghosh in La maledizione della noce moscata, il potere del petrolio è soprattutto un potere di controllo logistico che permette di controllare flussi e decisioni, oltre che di monetizzare in un senso solo. Questo, i Paesi arricchitisi con petrolio lo sanno molto bene, e come ovvio non vogliono rinunciare all’enorme profitto che ne deriva. La rivoluzione della Green economy ha però tolto un po’ le uva dal paniere a tutta la filiera del petrolio, permettendo a società più agili di intercettare il nuovo flusso e ha invece assestato un duro colpo alle imprese meno capaci (o con meno possibilità per natura) di accogliere il cambiamento. Da questo distaccamento tra domanda, possibilità e offerta, è nata una crepa in cui oggi si gioca la partita più importante del mondiale: petrolio e stato morale contro diritti ed indipendenza. Non è un caso quindi che le nazionali che si sono opposte al regime morale imposto a tutti in Qatar siano proprio quelle che vedono nell’indipendenza energetica e politica europea una via verso la modernità. Inghilterra, Galles, Belgio, Danimarca, Germania, Olanda e Svizzera, sono le nazionali finite sotto il mirino per la volontà di scendere in campo con la fascia da capitano marchiata da uno slogan troppo avveniristico per le autorità qataresi: One love, un chiaro endorsement alla salvaguardia dei diritti civili. 

iran mondiale 2022
Credits: Juan Luis Diaz/Quality Sport Images/Getty Images

Tema diventato talmente caldo, scivoloso, ingombrante da costringere Gianni Infantino ad uno discorso in cui si è dichiarato come San Paolo di Tarso “gay, disabile e anche donna“. Ma proprio ascoltando le impacciate dichiarazioni di Infantino di qualche giorno fa, viene il sospetto che la partita si stia giocando non solo su un campo. I campi sono almeno due: uno lo stato del Qatar, l’altro la Fifa. Se i motivi per militare contro lo stato del Qatar da parte delle nazionali europee che si fanno polene di diritti e valori sembrano abbastanza evidenti, interessante è capire come si sta svolgendo la seconda partita, quella contro la Fifa.

Che la Fifa sia un’entità ormai invisa a mezza Europa non è un segreto; le prime ma non primissime avvisaglie erano arrivate con la proposta della SuperLega. Una delle critiche di quel progetto (mai decollato ma mai escluso del tutto) era che sarebbe diventato esclusivo e troppo concentrato sui benefit finanziari. Critica che fatta da parte della Fifa sembrava meno credibile della Chiesa Cattolica se si fosse difesa da Martin Lutero gridando povertà e sobrietà nei costumi. Persa la superiorità morale, quella che vorrebbe un calcio inclusivo e privo di razzismi, viene da chiedersi quale sia l’argine dietro cui può trincerarsi la Fifa di fronte all’aria di tempesta che sta montando in mezza Europa. 

Ancora una volta è la lettura dei fatti a darci una chiara interpretazione della faccenda. Dopo le polemiche per la fascia One love in difesa dei diritti LGBTQ+, le bocche tappate dei giocatori tedeschi e soprattutto la ministra tedesca, Nancy Faeser, in tribuna di fianco a Gianni Infantino con la stessa fascia vietata ai suoi giocatori, è arrivata una presa di posizione ancora più forte, ed è arrivata dalla nazionale danese. In risposta al divieto della fascia, la Danimarca ha fatto sapere che sta meditando la possibilità di abbandonare le competizioni della Fifa, un gesto forte e deciso ma di sicuro meditato già da tempo. Quello che appare evidente nelle ultime ore è che questo distacco da parte della comunità europea, sia sportiva che civile, dalle posizioni della Fifa, fa sospettare che il mondiale in Qatar non sia che l’ultimo casus belli; non da ultimo, la notizia che il parlamento europeo ha appena approvato una mozione di condanna nei fronti delle vittime cadute per preparare i Mondiali in Qatar, chiedendone anche il risarcimento da parte della Fifa. Le vittime in Qatar sarebbero state 6500 secondo il The Guardian, per lo più immigrati dai Bangladesh, Sri Lanka e Nepal. Una condanna tardiva che anche questa volta non coinvolge direttamente il Qatar, ma in primis la Federazione internazionale calcio.

Sfuggito di mano, questo mondiale  si profila sempre di più come lo spartiacque fra due mondi differenti: l’uno proiettato verso il futuro, l’altro conservatore e superficiale. Naturalmente le posizioni non sono così nette, e c’è una buona dose di convenienza nelle prese di posizione europee che, non da oggi, di questo mondiale, dei suoi rischi, della sua corruzione, conoscevano anche i dettagli. Staremo a vedere se al potere del petrolio sarà opposta quello del valore morale, per ora resta il sapore di una pessima figura mondiale di tutti gli attori internazionali

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