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L’evoluzione di Milano attraverso le presidenze del Milan

Che il calcio sia un indicatore dell’evoluzione sociale di un Paese o di una città è cosa ormai risaputa. Attraverso di esso si può tracciare una mappa abbastanza precisa su come l’Italia e gli italiani siano cambiati negli ultimi 120 anni. È pertanto interessante ed utile poter raccontare le trasformazioni della struttura economica di Milano dal dopoguerra ad oggi, come hanno fatto Marcello Flores e Giacomo Papi nel loro studio intitolato Storia di Milan. L’atavica dicotomia dei tifosi milanesi tra casciavit (operai, milanisti) e baùscia (padroni, interisti) trova conferme nella diversità dei proprietari delle due squadre meneghine: più solidi quelli dell’Inter, più dinamici e parvenu quelli del Milan. Seguire l’avvicendarsi delle presidenze milaniste perciò, significa in qualche modo raccontare l’evoluzione imprenditoriale della capitale economica d’Italia.

casciavit milan

Il lungo elenco di presidenti del Milan dal secondo dopoguerra in poi inizia con il gr. uff. Umberto Trabattoni da Seregno, il re dei filati e della lana. E non poteva che essere un imprenditore di filati, presidente del Milan dal 1945 al 1954, a vincere lo scudetto dopo 44 anni (Herbert Kilpin, il fondatore del Milan, era un perito tessile). È il periodo della Gre-No-Li, il trio svedese Green-Nordhal-Liedholm arrivati grazie all’apertura delle frontiere dopo il periodo oscurantista fascista. È un periodo confuso e pieno di contraddizioni; come hanno evidenziato Antonio Papa e Guido Panico in Storia sociale del calcio in Italia, tra il 1946 e il 1959 arrivano nel Bel Paese ben 115 stranieri dimostrazione “dell’assurdo di un Paese stremato dal conflitto, con un cambio della valuta sfavorevolissimo, e insieme Mecca del calcio migratorio“.

Negli anni della presidenza Trabattoni Milano vive un periodo di forti contrasti. È una città per metà distrutta dai bombardamenti della guerra, ma in cui si delineano i grandi personaggi che governeranno negli anni successivi lo sviluppo economico (Enrico Ciuccia, direttore generale di Mediobanca, e l’industriale Leopoldo Pirelli) e l’ascesa culturale di Milano nel panorama europeo (Arturo Toscanini e Maria Callas, Giorgio Strehler e Paolo Grassi, Curzio Malaparte e Indro Montanelli, Dino Buzzati e Alberto Moravia). È il periodo dei grandi gruppi editoriali (Mondadori, Rizzoli, Bompiani e Feltrinelli) e delle librerie Hoepli, le più importanti d’Italia.

Librerie hoepli

Dopo il gr. uff. Trabattoni, la presidenza passa alla famiglia del comenda Rizzoli con cui il 22 maggio 1963 il Milan vince la Coppa Campioni celebrata anche da Lucio Dalla (Poi Milan e Benfica / Milano che fatica), mentre nella Milano sponda neroazzurra si esalta la “Grande Inter” del petroliere Angelo Moratti. Sono questi gli anni del boom economico in cui Milano sovrasta le città italiane, oltre che nel calcio, anche  in tutti gli altri campi: alimentare (Motta e Campari), siderurgico (Falck e Breda), dell’automobile (Alfa Romeo), del design (Achille Castiglioni e Bruno Munari) e della pittura (Lucio Fontana e Piero Manzoni). Viene costruito il Pirellone, ideato da Gio Ponti, il più alto grattacielo in Italia, e inaugurata la prima linea metropolitana. Sono gli anni dell’ondata migratoria dal Sud verso il Nord. La popolazione di Milano aumenta del 24% e vengono costruite le “case minime”, le case popolari, e le Coree, baracche nell’hinterland dove si stabiliscono in condizioni pietose le migliaia di immigrati meridionali. La vita è dettata dal tempo delle fabbriche e si fa sempre più evidente la distinzione tra operai e padroni, tra chi cerca faticosamente di accumulare qualche soldo e chi sperpera intere eredità nel nome della bella vita. È il caso del ragionier Felice Riva, detto Felicino, il quale, negli stessi anni in cui diventa presidente del Milan, porta al fallimento il gruppo tessile Vallesusa. La scena in cui gli operai del gruppo lo aspettano davanti alla Scala con il cartello “Rag. Felice Riva, il tuo posto non è alla Scala, è a San Vittore” è ancora vivida nella mente di molti. E Felicino finirà davvero a San Vittore nel 1969, arrestato all’uscita di un cinema a San Babila.

Le chiavi del Milan passano così nelle mani di Luigi Carraro, già presidente della Federazione italiana di sci nautico. Il suo regno, però, dura poco a causa di un infarto fulminate. Il figlio 28enne Franco eredita la presidenza grazie all’avvocato Sordillo, già dirigente della squadra rossonera e tra i più importanti penalisti italiani. Milano nel frattempo è cambiata. Lo scontro tra le élite e la massa si acuisce; il clima politico diventa insostenibile ed esplode il 12 dicembre 1969 con la bomba nella Banca dell’agricoltura a piazza Fontana. Anche il clima culturale è mutato; compaiono sulla scena intellettuali e artisti atipici e solitari che esprimono tutto il malanimo di questo periodo, due nomi su tutti: Luciano Bianciardi e Dario Fo. Con Franco Carraro l’indirizzo della dirigenza milanista cambia anima, abbandonando il mondo industriale per legarsi a quello politico. Nel 1971 Carraro lascia la presidenza e diventa il Presidentissimo, negli anni: presidente della Figc, della Lega nazionale professionisti, del Coni, commissario straordinario della Lega calcio, sindaco di Roma, ministro dello Sport e senatore. Gli succede proprio Sordillo che un anno dopo lo seguirà alla Figc di cui diverrà presidente nel 1982.

Potevo fare il trequartista - Luciano Bianciardi
Luciano Bianciardi

Seguono anni di continue e piccole presidenze in cui il Milan e tutto il calcio italiano sparisce dal palcoscenico internazionale (l’ultimo successo internazionale del Milan è la Coppa delle Coppe nel 1973), a causa della chiusura delle frontiere decisa nel 1966 dopo la sconfitta dell’Italia contro la Corea del Nord ai mondiali dello stesso anno. Parallelamente le tensioni sociali si fanno sempre più dure, e se da un lato Milano diventa capofila di lotte civili, come il divorzio e l’aborto, dall’altro è l’epicentro del terrorismo politico, delle manifestazioni e degli scioperi di massa, e della criminalità che svaria dalle rapine in banca ai sequestri di persona (se ne registrano 161 dal 1972 al 1984). Iniziano a manifestarsi i prodromi di una crisi che sfocerà negli anni Ottanta.

23 marzo 1980, ultima giornata di campionato. La Guardia di Finanza arresta i giocatori coinvolti nello scandalo del Totonero direttamente in campo. Le condanne arrivano lunedì 19 maggio e la Gazzetta dello Sport apre così: Il Milan è in B. Il presidente Colombo viene radiato insieme al portiere Albertosi, mentre il centrocampista Giorgio Morini squalificato per 10 mesi. È un momento cruciale nella storia del calcio italiano perché nella stessa estate vengono riaperte le frontiere e, soprattutto, perché la Rai e la Lega calcio firmano il primo contratto sui diritti televisivi, regolamentando una situazione che fino ad allora era fuori controllo ad esclusivo vantaggio delle televisioni private.

berlusconi milan

Il Milan vive uno dei periodi più bui della sua storia fino all’arrivo nel 1986 dell’imprenditore milanese Silvio Berlusconi che rileva una società fortemente indebitata. Berlusconi sintetizza la nuova trasformazione interclassista che l’Italia a spinta socialista sta vivendo. La netta distinzione tra centro e periferia svanisce creando un milieu americanizzato; il modello e lo stile di vita made in USA impregnano il contesto sociale, e il settore terziario esplode. La dicotomia capitalismo-comunismo è ormai al termine e la finale della Coppa Campioni del 1989 anticipa quello che da lì a pochi mesi sarebbe accaduto. Il Milan torna alla vittoria battendo la Steaua Bucarest del dittatore comunista Nicolae Ceaușescu, che verrà fucilato insieme alla moglie il giorno di Natale dello stesso anno.

Questa partita, oltre a rappresentare uno degli ultimi scontri della Guerra Fredda, è anche il principio della globalizzazione che troverà piena voce nel 1992 con il Trattato di Maastricht. Quel giorno, infatti, Barcellona viene invasa da sessantamila tifosi milanisti arrivati in Catalogna in auto, bus e aereo, come se le frontiere europee fossero già aperte. Ma la presidenza di Berlusconi rappresenta molto di più: il Milan diventa un laboratorio politico, strumento di propaganda e consenso che trova la sua sintesi con la “discesa in campo” di Berlusconi nel 1994. La Milano da bere è solo un ricordo e negli anni Novanta la città, in seguito allo smantellamento della sanità regionale in favore di enti privati voluto dal milanista e ciellino Formigoni, perde la sua secolare tradizione solidaristica. Questo processo di privatizzazione continua per tutti gli anni Duemila, spinto da un contesto di globalizzazione finanziaria crescente. Milano incarna ancora tutte le contraddizioni di questo periodo. Se dal lato privato la città si allinea all’Europa e diventa preda di fondi arabi, cinesi e americani, da quello pubblico richiama vocazioni provinciali di stampo leghista. Sia il Milan che l’Inter (la quale prima di tutte ha anticipato la privatizzazione degli anni Novanta con la Pirelli e Marco Tronchetti Provera) diventano prede di gruppi stranieri; chiaro sintomo di un’Italia soverchiata dai debiti e debole politicamente. Nel 2013 l’imprenditore indonesiano Erik Thohir, acquista l’Inter da Massimo Moratti per poi rivenderla alla holding cinese Suning. Nel 2016 in un’operazione ancora non del tutto chiarita, Berlusconi vende il Milan al fantomatico Li Yonghong, le cui azioni un attimo prima del crack vengono rilevate dal fondo americano Elliott, il quale nel 2022 finanzia l’acquisto del Milan da parte di Redbird. Sia la vendita del Milan che quella dell’Inter rappresentano la necessità di fare cassa da parte di un’imprenditoria locale incapace di emergere in un contesto in cui il campo di gioco è il mondo. In entrambi i casi, però, le nuove proprietà hanno dovuto trovare la sintesi tra due visioni differenti: il calcio come uno spettacolo sovranazionale, slegato in qualche modo dal territorio, e la necessità di enfatizzare la sua storia e il contesto sociale nel quale, come scrivono Flores e Papi, “la sua epica si è generata“.

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