Gary Hunt

Gary Hunt, l’antidivo

Nel 2009 all’inizio di maggio La Rochelle, comune sulla costa atlantica francese, venne invasa da turisti di tutto il mondo per ammirare 12 uomini venuti non per nuotare, ma, come amavano dire, per “volare”. Erano i primi a partecipare alle Red Bull Cliff Diving World Series, la competizione mondiale organizzata dalla Red Bull in cui i più audaci tuffatori si sfidavano da scogliere alte tra i 26 e 28 metri, raggiungendo una velocità in picchiata di 80km/h. Era una possibilità di fama e gloria per chi avesse vinto. Orlando Duque, detto il Duca, era sicuramente il più carismatico ed esperto tra i tuffatori, ma accanto a lui in quella prima edizione si fece notare un novizio di 24 anni così inesperto che per precauzione indossava due Speedo. Un fotografo della Red Bull in seguito ha ricordato che quando gli si è avvicinato lo “fissava con uno sguardo sospettoso e di traverso, e si allontanava rapidamente“. Era un introverso, e in quell’occasione stava cercando di uscire da un crollo mentale a causa della morte del suo migliore amico, avvenuta due anni prima. Il suo nome era Gary Hunt.

gary hunt

In Francia, Hunt arrivò terzo, ma durante il torneo divenne evidenti a tutti che era un talento oltremodo speciale: la sua calma soprannaturale e soprattutto la sua immaginazione nell’elaborare tuffi sempre più spettacolari e rischiosi spiazzò chiunque. Il cliff diving è uno sport strano anche perché, soprattutto allora, non esistevano strutture di allenamento con piattaforme adatte (oggi ce ne sono solo tre, in Austria, Stati Uniti e Cina). Non c’era modo per i tuffatori di provare e sperimentare le loro acrobazie, perciò ogni tuffo durante il tour veniva eseguito per la prima volta, con tutti i rischi del caso. Tappa dopo tappa Hunt sperimentò nuovi tuffi in un crescendo di complessità e rischio. Alla fine registrò gli stessi punti del Duca. Un successo. Da allora Hunt ha vinto nove degli 11 titoli della serie mondiale; le altre due volte è arrivato secondo. È, senza dubbio, il più grande cliff diver di tutti i tempi, “il Michael Jordan, il Muhammad Ali, il Tiger Woods” di questo sport, come ha affermato Steven LoBue, un tuffatore americano che ha avuto la sfortuna di competere contro di lui.

Nessuno nel circuito del cliff diving ha fatto di più per elevare gli standard di questo sport. Ma Hunt rimane sorprendentemente distaccato dalle glorie che di solito derivano da un tale successo. Non ha un allenatore, un agente o alcun interesse ad alimentare la macchina dei social. Il suo feroce desiderio competitivo sembra non essere collegato al suo ego. Dona i suoi trofei a sua madre o si infila la cintura da falegname e li trasforma in qualcosa di utile, come un posacenere o un porta piante. (“Trofei travestiti da oggetti“, li chiama.) All’età di 38 anni, Hunt atteggia ancora un’indole da ragazzino; un “eterno adolescente” secondo L’Equipe. Un totale disadattato: si veste come se si fosse svegliato tardi e avesse indossato le prime cose che gli fossero capitate tra le mani; un temerario che si allena con l’intensità di un moderno atleta professionista, tuffandosi tutti i giorni feriali e trascorrendo ore in palestra, ma si rilassa come uno sportivo d’altri tempi, godendosi sigarette rollate e drink. Un personaggio dalla mente eteroclitica che non di rado perde gli aerei e si addormenta sui treni mancando la sua fermata. 

Dona i suoi trofei a sua madre o si infila la cintura da falegname e li trasforma in qualcosa di utile, come un posacenere o un porta piante.

Il suo stesso modo di prepararsi mentalmente ad una gara segue il suo atteggiamento naïf e goliardico che ha nella vita. Invece di indossare cuffie con la cancellazione del rumore e ascoltare musica per isolarsi da tutto e da tutti, si destreggia facendo il giocoliere, tenendo  in aria cinque palline alla volta. L’idea è rallentare la sua mente facendo qualcosa di istintivo, ha spiegato, come quando suona un pezzo familiare al pianoforte, uno dei suoi altri hobby: “Non stai davvero pensando a quello che stai facendo. Può quasi sembrare che il tuo cervello non stia controllando le tue mani“.

Foto: Mauro Puccini / Red Bull Content Pool

Hunt aveva nove anni quando scoprì il mondo dei tuffi. Stava seguendo le orme delle sue due sorelle maggiori che facevano nuoto agonistico, quando in una piscina di Leeds con la coda dell’occhio vide altri bambini saltare in acqua da una piattaforma, chiacchierando e ridendo mentre aspettavano di tuffarsi di nuovo. Sembrava più divertente. Così convinse la madre a farlo provare, e da allora non ha più smesso. Pamela lo accompagnava in piscina alle 5 del mattino e sonnecchiava in un sacco a pelo in macchina mentre lui si allenava. Era molto unito alla madre, al contrario di quanto lo fosse con il padre, un uomo timido e ansioso che lavorava per la British Telecom. A Gary sembrava che suo padre non avesse mai veramente voluto dei figli, soprattutto un maschio. Ancora oggi, Hunt pensa che parte della sua dedizione per essere il migliore derivi dal desiderio di rendere orgoglioso il padre. Quando Hunt aveva 16 anni, i suoi genitori si separarono e lui andò a vivere a Southampton insieme alla madre e alle sorelle. Anche lì non smise di tuffarsi e qualche anno dopo lo raggiunse Gavin Brown, il suo migliore amico e, come lui, appassionato di tuffi. Caratterialmente diverso da Hunt, Gavin era estroverso e molto popolare, e viveva la sua vita seguendo il motto: “Go hard or go hard home“.

Passavano ore a studiare i video dei loro eroi, come il russo Dmitri Sautin che, dopo essere stato accoltellato in una strada di Mosca quando aveva 17 anni, divenne il tuffatore di maggior successo nella storia delle Olimpiadi. Al termine delle sessioni di allenamento, i ragazzi cercavano di emulare Sautin e di spingersi a vicenda in tuffi sempre più folli. Nel 2006 Hunt arrivò terzo ai Giochi del Commonwealth a Melbourne nel sincronizzato da 10 metri, tuffandosi con Callum Johnstone. Aveva 21 anni, ma è lì che si accorse che nuovi talenti più giovani di lui si stavano facendo strada in modo dirompente. Perciò, se voleva essere il migliore, c’era solo una strada da percorrere: salire. Durante gli anni dell’università colse al balzo l’opportunità di lavorare per tutta l’estate in un parco acquatico al Lido di Jesolo. I parchi di divertimento sono sempre stati delle ottime palestre per i cliff diver, perché permettono loro di allenarsi anche da altezze più sfidanti di quelle standard. Una delle esibizioni di Hunt era quella di tuffarsi in una minuscola pozza alta 18 metri. Era la prima volta che si tuffava da oltre 10 metri. La scala era stretta e la piattaforma era larga quel tanto che bastava per i suoi piedi. Hunt temeva di fallire. Ma capì subito il meccanismo e da lì in poi ha iniziato a provare immersioni sempre più complicate. “Hai presente un gatto che atterra sempre sulle zampe?” ha detto Steve Black, che lavorava anche lui al parco. “Beh, Gary era come un gatto. Faceva questi trucchi folli e la folla lo adorava“.

Gary Hunt
Foto: Romina Amato / Red Bull Content Pool

Quella stessa estate anche il suo amico Gavin andò a lavorare per un parco e al ritorno a Southampton iniziarono a guardare gare di tuffi da scogliera, fantasticando su come un giorno avrebbero potuto spingere i confini di questo sport.  Avevano 22 anni, talento, ambizione e  tutta la vita davanti. Brown, più estroverso di Hunt, a volte usciva a festeggiare e poi telefonava al suo amico per farsi riportare a casa. Il 28 aprile 2007 Brown telefonò all’amico che perse la chiamata. Più tardi il telefono di Hunt squillò di nuovo e quando rispose apprese che Brown era stato travolto da un’auto e stava subendo un intervento chirurgico d’urgenza. Morì poche ore dopo. Nei mesi che seguirono, Hunt perse il controllo. “Ho iniziato a immaginare che non fosse morto e che dovevo compiere una missione per ricongiungermi a lui.” Una voce nella sua testa gli disse di camminare da Southampton a Bath. Si perse e al calar della notte si rifugiò in un fienile, dove venne  ritrovato dalla polizia, allertata dalla segnalazione di un uomo in autostrada. Fumava erba e prendeva droghe per tentare di scrollarsi di dosso la disperazione. Invitato a un addio al celibato a Brighton, finì da solo sulla spiaggia in lacrime, urlando contro il mare. Un anno dopo la morte di Brown, nel 2008, Hunt si recò a Roma per una competizione con i colori della Gran Bretagna, ma quando avrebbe dovuto tuffarsi lo trovarono per strada mentre leggeva La tempesta di Shakespeare. “Non aveva alcun senso quando parlava“, ha detto Adrian Hinchliffe, che all’epoca era l’allenatore della selezione britannica. “Ho chiamato la madre e le ho detto che lo avrei riportato subito a casa.

Nel suo debutto a La Rochelle il suo stato mentale era migliorato, anche se il dolore era ancora vivo. In tournée, teneva deliberatamente le persone a distanza. “Non ho mai voluto davvero farmi di nuovo un buon amico. In un certo senso ho accettato che sarei stato solo.” Anche il suo dolore era una specie di carburante. “Sentivo che toccava a me realizzare tutti i sogni che avevamo fatto insieme.” Sempre in quell’anno, tra una competizione e l’altra, Hunt trovò un lavoro al parco divertimenti Walygator vicino a Metz, nel nord della Francia. Doveva interpretare un personaggio che si tuffava credendo di essere Tarzan. “Jane” era interpretata da un’attrice francese di nome Sabine Ravinet, che teneva anche laboratori teatrali nelle carceri e per i bambini provenienti da famiglie in difficoltà. Aveva vent’anni più di Hunt. Lei parlava poco inglese e lui poco il francese, ma con i gesti e molta pazienza si sono conosciuti.

Non era come gli altri nel suo modo di ascoltarti, di essere presente con te, nella sua dolcezza  e anche in un certo mistero nella sua personalità.

Sabine e tutti i personaggi del parco lo stavano pian piano aiutando a guarire. In quel circolo di anime perdute, tra clown, ballerini e contorsionisti Hunt ritrovò un po’ di pace e imparò anche nuove abilità. Stava guarendo. Nel 2013, dopo aver vinto le tre precedenti serie Red Bull, Hunt venne battuto all’ultimo evento della stagione. Decise che, se voleva tornare ad essere il campione, doveva abbandonare il lavoro nei parchi di divertimento e dedicarsi al professionismo. Quell’anno i tuffi dall’alto furono inclusi per la prima volta nei Campionati mondiali di nuoto a Barcellona. Hunt faceva parte della squadra britannica, ma poiché i tuffi non erano uno sport olimpico, non ricevette alcun kit dalla British Swimming; arrivò alla competizione indossando una semplice maglietta bianca su cui aveva scritto “GBR”, ed uscì con una medaglia d’argento, una delle uniche due medaglie vinte dalla squadra. La Brexit incombeva e la libertà di Hunt di vivere e lavorare in Francia non era più garantita. Visto il tempo che aveva vissuto lì e la sua integrazione culturale, ottenne la cittadinanza francese. Oramai parlava correntemente il francese e aveva persino smesso di leggere in inglese, preferendo lavorare sui classici d’Oltralpe, come I tre moschettieri e Il conte di Montecristo di Alexandre Dumas. All’inizio del 2020, dopo aver ricevuto la cittadinanza francese, Hunt ha annunciato la sua intenzione di competere per la Francia alle Olimpiadi del 2024, che si terranno a Parigi. Nonostante tutto il suo successo, non è mai riuscito a rinunciare al suo sogno d’infanzia di gareggiare nella più prestigiosa competizione del mondo.

Gary Hunt
Foto: Dean Treml / Red Bull Content Pool

Sono abbastanza sicuro che non avrò rimpianti in futuro per non aver cercato di fare più soldi.

I guadagni del circuito Red Bull sono modesti rispetto a molti sport. Nel 2013, quando Hunt ha lasciato il parco divertimenti per concentrarsi sulle immersioni agonistiche, i vincitori di ciascuna delle otto competizioni della serie hanno ricevuto circa € 5.000, con un bonus di € 12.000 per il campione assoluto. Con questi premi, con le spese di viaggio a carico della Red Bull e con una piccola indennità di alloggio da parte della Federazione francese di nuoto, Hunt guadagnava abbastanza per vivere. Ma in qualità di atleta dominante di questo sport, Hunt potrebbe guadagnare molto di più attraverso sponsorizzazioni e partnership. All’inizio della sua carriera ha firmato un piccolo contratto con un’impresa edile, ma ha trovato troppo stressante l’obbligo di indossare sempre un berretto con il suo logo. Oggi la sua unica sponsorizzazione, del valore di qualche migliaio di sterline l’anno, è con l’azienda australiana di costumi da bagno Budgy Smuggler. Dei soldi, della fama fine a se stessa non gli interessa nulla: “Ma sono molto felice. Sono abbastanza sicuro che non avrò rimpianti in futuro per non aver cercato di fare più soldi“.

C’è un aneddoto raccontato da Xan Rice, giornalista del The Guardian, che ben descrive l’attitudine di Gary per questo sport. Nella gara finale della Red Bull Cliff Diving World Series 2022 a Sydney, Hunt aveva bisogno di una vittoria se voleva essere sicuro del suo quarto successo consecutivo nella Serie. Il suo giovane rivale in quella competizione, il 20enne Aidan Heslop, lo tallonava pronto a superarlo. Quando Hunt si tuffò, Heslop cadde in ginocchio con la testa tra le mani, sapendo che, ancora una volta, il re aveva vinto. Emergendo dall’acqua con un enorme sorriso, Hunt saltò oltre una barriera di sicurezza e abbracciò Ravinet. Quando Rice gli scrisse per congratularsi con lui, sembrava più eccitato dalla prospettiva della sua prossima settimana di vacanza in Australia che del suo ultimo titolo. “Whoohoo”, ha scritto, “je suis en vacances !!!”

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