curve calcio proteste

Le curve e il termometro del conflitto

Una delle peculiarità che ha reso quello delle curve uno spettacolo nello spettacolo, a volte quasi del tutto indipendente da quanto accade in campo durante le partite, è senza dubbio legata alla “messaggistica” attraverso gli striscioni, uno di quegli elementi iconici che nel corso dei decenni ha assunto molteplici sfaccettature, e che vede nell’Italia la sua patria morale. Proprio nel Belpaese con il passare del tempo le curve sono diventate un osservatorio privilegiato della realtà nonché un attore protagonista in grado di esprimere delle idee provocatorie che puntavano a destrutturare il senso comune, o a fare sfoggio di una fantasia più difficile da trovare in una contemporaneità sempre più normalizzante e asfissiante. È indubbio che per molti anni alcune partite erano molto attese proprio per poter assistere al botta e risposta tra le tifoserie.

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Proteste dei tifosi francesi contro il mondiale in Qatar

E i messaggi esposti dalle curve sono stati di tutti i tipi. Probabilmente, prima che nelle curve prendesse piede la moda degli striscioni omologanti, l’ironia e l’originalità che venivano sciorinate su quei teli bianchi sopra le gradinate sono state all’avanguardia nella dissacrazione a tutti i livelli dei personaggi pubblici. Come dimenticare, ad esempio, lo striscione con cui gli ultras fiorentini si presentarono a Milano nei primi anni Novanta: “Se Pacciani è il mostro, Berlusconi cos’è?“? O, sempre per restare in Curva Fiesole, dopo l’abdicazione di Papa Ratzinger: “Ma chi tromba una volta ogni morte di papa, questa volta salta il turno?“. Ce ne sono stati altri, a dir poco celebri, che adesso in nome della scure del politicamente corretto verrebbero stigmatizzati e catalogati come “discriminazione territoriale” o “istigazione alla violenza” (dal “Voi comaschi, noi con le femmine“, sempre gli ultras fiorentini in trasferta a Como alla fine degli Anni Ottanta, al “Tranquilli, oggi non vi picchiamo” ad opera degli interisti, sempre in trasferta a Como). Non bisogna negare, però, l’esistenza di striscioni davvero pessimi che miravano a colpire l’avversario di turno lì proprio dove faceva più male e ad oltraggiare il nome dei morti. Ma soprattutto ci sono stati dei messaggi di un certo tenore sociale. Spesso e volentieri erano contro le guerre, ma ce ne sono stati altri che riguardavano singole personalità impresse nel pantheon di ogni ribelle; fece scalpore lo striscione dedicato a Carlo Giuliani dagli Irriducibili della Lazio, non esattamente una tifoseria affine alle idee del giovane ucciso durante il G8 genovese del 2001. 

Eppure, nonostante ci siano ultras che partecipano attivamente a movimenti sociali, come chi ha preso parte alle proteste in Val di Susa, è raro ultimamente vedere qualche pensiero ragionato anche su questioni che toccano da vicino la popolazione e specialmente le sue fasce più deboli (con le parziali eccezioni di fenomeni locali, come ad esempio i tifosi del Taranto con la spinosa questione dell’Ilva). E fa ancora più impressione se vediamo cosa accade nel frattempo nelle curve degli altri Paesi europei.

Senza scomodare i contesti più critici delle nazioni alla periferia del Continente con “vista guerra”, in Grecia gli ultras hanno creato un network, Radical fans united, che gli ha visti partecipi attivi durante il referendum indetto da Tsipras nel 2015, nelle proteste contro i diktat della Troika, e anche adesso non hanno risparmiato stilettate in seguito alla tragedia ferroviaria sulla linea Atene- Salonicco, causata dai tagli alla sicurezza. Fa scalpore vedere tante curve francesi schierarsi contro la riforma delle pensioni voluta da Macron che posticiperebbe l’età minima da 62 a 64 anni (uno in meno di quanti inizialmente preventivati dal governo), l’innalzamento dell’età contributiva da 42 a 43 anni e la fine dei regimi pensionistici speciali. D’altro canto, la commistione tra curve francesi e rivendicazioni sociali era stata già testata durante il periodo dei gilet jaunes, quando diversi gruppi entrarono nello stadio con il simbolo della protesta.

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La campagna “Save Our Steel” organizzata dai tifosi del Middlesbrough in favore degli operai siderurgici dello stabilimento SSI Redcar – Foto: Getty Images

Cosa dire allora della Gran Bretagna che in queste settimane ha visto prendere posizione sia la leggendaria Kop del Liverpool che la curva del Celtic Glasgow per il disegno di legge proposto al parlamento dai Tories, e che ha visto settimane di proteste del personale sanitario e di quello dei servizi pubblici? Già in passato ci sono state delle vere e proprie campagne, come quella organizzata dai tifosi del Middlesbrough, denominata Save our steel, a sostegno dei 2200 operai siderurgici dello stabilimento SSI Redcar che rischiavano di perdere il posto di lavoro. A Madrid lo scorso febbraio si sono svolte manifestazioni per difendere la sanità pubblica, che hanno visto i Bukaneros del Rayo Vallecano (coadiuvati da altre tifoserie minori) capitanare un corteo che ha raccolto secondo gli organizzatori ben 250.000 persone. E come dimenticare le proteste di Gezi Park, quando per la prima volta gli ultras delle maggiori squadre di Istanbul marciarono insieme, spalla a spalla per protestare contro il governo di Erdogan, o i movimenti delle torcidas brasiliane contro l’esecutivo di Bolsonaro?

Non si tratta di fare un parallelo con quanto accade in Italia o, ancora peggio, di colpevolizzare le curve nostrane; tutt’al più si dovrebbe constatare come le curve rappresentino un termometro della conflittualità sociale. Chissà che questo momento d’impasse del movimento ultras nostrano non sia legato a doppio filo a quello delle forze sociali che tendono a mettere in discussione lo status-quo di matrice neo liberista. Non ci resta che aspettare qualche conferma o smentita, visto che non tarderanno ad arrivare nuovi e più impegnativi banchi di prova.

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