Alle Olimpiadi di Parigi 2024 farà il suo esordio il Breaking. Dopo l’esordio dello skateboard, dell’arrampicata sportiva e del surf a Tokyo 2020, i Giochi Olimpici di Parigi avranno in programma il breaking, che già aveva fatto il suo debutto ai Giochi Olimpici Giovanili a Buenos Aires 2018. Una scelta che ha sorpreso molti, ma non Michael Holman, scrittore, produttore, artista, imprenditore e sedicente pioniere dell’hip-hop. Per lui si è trattata della realizzazione di una visione avuta 40 anni fa. All’inizio degli anni Ottanta, Holman gestiva uno spettacolo hip-hop in un club del centro di Manhattan che combinava rap e graffiti con la nuova forma di street dance. All’inizio si trattava solo di performance: i breakers ballavano, il pubblico applaudiva e la sera andava avanti con una successione di esibizioni. Ma Holman insistette per aggiungere un altro elemento alla sua serata in piena espansione.
New York è tutta una questione di competizione e di cercare di essere il migliore. Volevo che il pubblico vedesse una battaglia, non solo delle mosse.
Era ciò a cui Holman aveva assistito mesi prima per le strade del Bronx. Lì il breaking era emerso come una forma di combattimento in danza, scaturita dalle tensioni tra le bande che avevano rovinato la New York degli anni Settanta. C’erano i Ghetto Brothers e i Black Spades, i Savage Nomads e i Savage Skulls. Per anni questi gruppi si scontravano, uccidevano e si pugnalavano a vicenda. Poi, nel 1971 Yellow Benjy, il leader dei Ghetto Brothers, impose una tregua che permise ai ragazzi e alle ragazze delle bande rivali di riunirsi e fare festa. Fu in una di queste feste, dove la danza sostituì la violenza, che fermentò una nuova cultura underground. I breakers guardavano i rivali introdurre mosse di Kung Fu dalla comunità cinese e aggiunsero mosse dalle danze africane ancestrali, e altri poi, incorporarono il tutto in un’estetica ginnica portoricana. Tutto questo, ballando sui dischi di James Brown mixati in stile giamaicano. Su questo ethos si è formata la cultura dei b-boys e delle b-girls.
Si tratta di ‘Guardami, sono qualcuno’. Posso prendere un microfono e scrivere la mia poesia, posso scratchare su un giradischi, o posso fare giri di testa sul pavimento come non puoi nemmeno immaginare.
La prima band di breakers che partecipò alle notti di Holman era la Rock Steady Crew. Inizialmente, erano restii a condividere un palco con un gruppo rivale, ma alla fine cedettero alle richieste. Si sfidarono contro i Floor Masters e per citare lo stesso Holman “fu un momento storico“. Ciò spinse il manager a creare una crew che si focalizzasse esclusivamente sulla potenza e velocità mostrata durante queste battaglie. Reclutò i migliori ballerini dalle migliori crew dei cinque distretti della città. Nacque così il gruppo New York City Breakers. Includeva alcuni dei migliori esponenti del breaking: Noel “Kid Nice” Manguel, Matthew “Glide Master” Caban e Tony “Powerful Pexster” Lopez. Insieme portarono questa nuova arte a un livello di abilità allora sconosciuto.

Holman ebbe la fortuna di circondarsi di personaggi influenti dello showbiz, uno fra tutti Malcolm McLaren, già manager dei Sex Pistols.
Quando McLaren ha visitato New York, l’ho invitato a una festa di quartiere nel Bronx con Afrika Bambaataa e Jazzy Jay. L’ho portato a una jam al parco dove andavano i b-boy e le b-girl a ballare. Malcolm è rimasto sbalordito.
McLaren mise in contatto Holman con un promotore chiamato Ruza “Kool Lady” Blue che gestiva una serata al nightclub Negril. Così nel novembre del 1981, il locale notturno divenne preda dei dj e dei breakers del giro di Holman. In poco tempo la voce si sparse così in fretta che queste serate divennero un vero e proprio cult delle notti newyorkesi al punto da attirare troupe televisive internazionali.
BBC, Canal Plus, NHK, Rai e ZDF venivano a filmare i Breakers. Impacchettavano la registrazione e la spedivano da qualunque parte queste emittenti provenivano. E quella sera andava nei notiziari. Quindi avevi i ragazzi di Londra, Tokyo e Parigi esposti alla cultura hip-hop prima ancora che dei ragazzi di Pittsburgh.
Spinto da questo successo, Holman decise di creare dei contenuti suoi. Il programma televisivo Graffiti Rock era uno spettacolo musicale dedicato all’hip-hop che comprendeva Run-DMC, Kool Moe Dee e Special K insieme ai New York City Breakers. “È stato il primo programma televisivo hip-hop al mondo“, ama affermare Holman. I New York City Breakers erano definitivamente entrati nel mainstream della cultura americana. Apparivano in tutti i programmi di punta: dal Merv Griffin Show al CBS Evening News, da Good Morning America a Soul Train. Un importante ruolo nella diffusione del movimento breaking lo ebbero i film di grande successo, come Saranno Famosi e Flashdance. Fu lo zenit di quel nuovo movimento. E se negli USA il breaking era visto come una moda passeggera, altrove l’entusiasmo rimase sempre alto.
Come con molti movimenti culturali che iniziano in America, come il jazz, il rock ‘n’ roll e il blues, muoiono qui solo per trovare una nuova vita e una nuova identità all’estero. Lo stesso è accaduto con il breaking.

Alla fine degli anni Novanta, Holman riceveva inviti a convegni hip-hop in tutto il mondo, ha ospitato panel e conferenze sul movimento del breaking. Nel 2004 il breaking fu ballato in Vaticano davanti a Papa Giovanni Paolo II. Erano tutti segnali che era diventato parecchio popolare. Ma non tutto era ed è rose e fiori. Molti breakers non amano la strada intrapresa da Holman e da altri esponenti di spicco del movimento. Li accusano di uccidere la forma d’arte, trasformando il breaking in uno sport.
Ma ho sempre pensato che il movimento avesse una mente e una vita propria. La cultura stessa è senziente. L’hip-hop è ora collettivamente un’industria multimiliardaria che ha avuto un impatto sul mondo. C’erano gli stessi dibattiti sullo skateboard e sugli sport estremi. C’era clamore al pensiero che una forma d’arte venisse ‘giudicata’, con giurie e punteggi. Sono sicuro che fosse lo stesso per il pattinaggio artistico negli anni Trenta.

Il successo del breaking è basato proprio sulla battaglia, sulla sfida tra due crew. Non è un caso che dal 2004 la Red Bull organizza, ogni anno in un Paese diverso, il Red Bull BC One, una sorta di Super Bowl del breaking, un evento con un’impostazione molto simile a quella che sarà usata anche alle Olimpiadi. A Parigi gli atleti si sfideranno in battaglie uno-contro-uno divisi in turni lunghi non più di un minuto, e saranno valutati da giudici che terranno conto, tra le altre cose, di creatività, personalità, tecnica e varietà. In ogni turno verranno alternati e integrati, tra le altre cose, le serie di movimenti principali della disciplina: il top rock (la parte eseguita stando in piedi), il down rock (i movimenti fatti a terra), i freeze (in cui ci si blocca, stando in equilibrio, in determinate posizioni), le power move (basate sulla rotazione attorno a un asse), i suicide (in cui si simula un’improvvisa caduta) e i flare (movimenti più da ginnasti). Il dibattito interno ed esterno al mondo del breaking sul suo senso come sport olimpico è ancora aperto e continuerà a lungo. Di certo, è senza dubbio straordinario vedere come una battaglia nata sui marciapiedi del Bronx sia diventata un movimento mondiale, il cui potenziale fu colto da Holman e pochi altri più di 4 decadi fa.