calcio orban

Le scomode domande dietro la rinascita del calcio ungherese

Nel piccolo villaggio di Felcsút, un luogo che altrimenti sarebbe rimasto sconosciuto al di fuori dei confini ungheresi, si erge la Pancho Arena, una maestosa cattedrale del calcio dal costo di circa 12 milioni di euro. Questa struttura moderna e imponente, con le sue curve eleganti e le tribune coperte da legno pregiato, ha una capacità di 3.800 posti a sedere, anche se il paesino ospita meno di 2.000 anime. Lo stadio di Felcsut deve il suo soprannome a Puskas, in onore del residente più famoso del villaggio: il primo ministro ungherese Viktor Orbán, grande appassionato di calcio.

Il legame di Orbán con Felcsút va ben oltre il semplice orgoglio patriottico o l’amore per questo sport. La Pancho Arena, annessa all’accademia, non è solo un monumento allo sport, ma anche un simbolo dell’intreccio tra il governo e gli interessi privati che circondano il mondo del calcio ungherese.

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Viktor Orbán, eletto per la prima volta a 35 anni nel 1998 e oggi il leader più longevo dell’Unione Europea, ha plasmato l’Ungheria a sua immagine, riscrivendo la costituzione e modificando le leggi elettorali. Ma la natura del suo governo resta controversa. Orbán ha descritto il suo modello come una “democrazia illiberale” e una “democrazia cristiana“. Ma nel 2022, il Parlamento europeo ha preferito definire il regime ungherese come un “regime ibrido di autocrazia elettorale“, accusando il governo di Budapest di “tentativi deliberati e sistematici di minare i valori europei“.

Se sulla sua visione politica Orbán è oggetto di discussione, sul suo progetto calcistico, in particolare la costruzione del nuovo stadio nella sua città natale, il premier non ha dubbi: “È arte“, dichiarava già nel 2017.

Sarebbe più facile costruire qualcosa di più semplice, ma questa è la prova che il calcio fa parte dell’arte.

Viktor Orbán

Orbán non è solo un appassionato di calcio, ma è anche un ex giocatore. Da giovane, militò nelle giovanili della Fehérvár, una squadra di prima divisione, prima che la facoltà di giurisprudenza e la carriera politica, accelerata dalla caduta del comunismo nel 1989, lo distogliessero dallo sport. Durante il suo primo mandato come primo ministro, continuò a giocare per la squadra del suo villaggio natale, dove subiva insulti dal pubblico, “ma poi segnavo…“, ha ricordato con un certo orgoglio.

Dopo le sconfitte elettorali del 2002 e del 2006, si ritirò a Felcsút, immergendosi sempre di più nel calcio. Telefonava ai vecchi amici per organizzare partite improvvisate e, nel 2007, fondò la Puskás Academy. La leggenda narra che avesse invitato persino Arsène Wenger, allora allenatore dell’Arsenal, per l’inaugurazione, ma che questi avesse gentilmente declinato.

Il calcio, però, non era più solo un hobby. Divenne uno strumento strategico, usato per influenzare i suoi alleati e consolidare il suo potere. Secondo Marton Tompos, deputato del partito di opposizione, Momentum:

Il calcio è il progetto preferito di Orbán. Se sei un aspirante oligarca o vuoi avvicinarti al sistema, devi restituire il favore sostenendo la tua squadra di calcio locale.

Una rete intricata di fondi pubblici e interessi privati

Una delle principali fonti di finanziamento della Pancho Arena e delle altre infrastrutture calcistiche in Ungheria è il programma Tao, introdotto dal governo nel 2011. Questo sistema di agevolazioni fiscali permette alle aziende di dedurre dalle tasse le donazioni fatte ai club sportivi, creando un flusso di fondi enorme verso il mondo dello sport. Secondo le stime, tra il 2011 e il 2021, il programma ha portato oltre 1,5 miliardi di euro nel settore calcistico.

La Puskás Academy è stata tra le principali beneficiarie: secondo una stima del novembre 2021, l’accademia ha ricevuto 36,3 miliardi di fiorini ungheresi nel decennio precedente, una cifra impressionante rispetto agli altri club. Per fare un confronto, il Mezőkövesd Zsóry, il secondo club meglio finanziato nello stesso periodo, ha ottenuto solo 552 milioni di fiorini. La distribuzione delle risorse economiche non è casuale: la maggioranza dei club della massima serie ungherese è infatti gestita o posseduta da alleati politici di Orbán o da funzionari del suo partito, Fidesz. Questo controllo capillare del sistema sportivo consente al premier di mantenere salde le sue influenze anche in settori strategici della società. Il sistema fiscale Tao è al centro delle polemiche, ma il governo ha cercato di mantenere riservate sia le cifre precise che l’identità di coloro che ne beneficiano.

Orbán, tuttavia, è sempre stato chiaro nel difendere il progetto. In un’intervista a Nemzeti Sport nel dicembre 2020, ha definito il sistema una “storia di successo“, sottolineando che ha portato risorse significative allo sport ungherese e migliorato la gestione delle associazioni sportive. “Non credo sia un atteggiamento normale pentirsi di aver speso soldi per campi sportivi o per far praticare sport ai figli“, ha dichiarato, rispondendo alle critiche su come i fondi siano stati utilizzati.

La politica del nazionalismo calcistico

L’ambizione di Orbán non si ferma certo ai confini dell’Ungheria. Il suo progetto calcistico ha una dimensione internazionale, con lo scopo di rafforzare l’influenza ungherese nei Paesi limitrofi e oltre. Club calcistici in Romania, Serbia, Slovacchia e Slovenia hanno ricevuto finanziamenti da aziende vicine al governo ungherese, creando una rete di squadre affiliate che espande l’influenza politica e culturale di Budapest nella regione. Un esempio concreto è il Sepsi OSK, una squadra rumena fondata da imprenditori ungheresi e sostenuta finanziariamente dal governo di Orbán. Questo modello di espansione ha suscitato preoccupazioni nei Paesi vicini, soprattutto in Romania e Ucraina, dove la presenza di una minoranza ungherese è vista con sospetto dai governi locali.

Orbán ha poi saputo abilmente sfruttare il sentimento revanscista per promuovere la sua agenda politica interna, spesso evocando il Trattato del Trianon, l’accordo del 1920 che ridisegnò i confini dell’Ungheria, lasciando milioni di ungheresi fuori dai confini nazionali. Durante una partita tra Ungheria ed Estonia alla Pancho Arena nel 2023, lo slogan “Abbasso il Trianon” è stato trasmesso dagli altoparlanti dello stadio, riaccendendo vecchie ferite storiche e alimentando tensioni con i Paesi confinanti.

L’essenza del calcio è come l’essenza della politica. Perché la domanda non è dove si trova la palla adesso – tutti possono vedere dove si trova la palla adesso – ma dove si troverà la palla… Se capisci prima degli altri cosa accadrà, puoi reagire per primo e puoi vincere.

Viktor Orbán

Calcio, patria e famiglia

Secondo le stime della Federcalcio ungherese e del Ministero degli Esteri, circa 50.000 tifosi ungheresi erano presenti a Euro 2024. Tra di loro si è distinta la Carpathian Brigade, un famigerato gruppo ultras ungherese, riconoscibile dalle iconiche maglie nere, il cui comportamento è stato ripetutamente sanzionato dalla UEFA. Questo gruppo, che raccoglie tifosi di diversi club ungheresi, ha partecipato a tutte le partite della nazionale dal 2009, sia in casa che in trasferta, caratterizzandosi per cori, marce, torce accese e bengala.

Viktor Orbán ha spesso difeso la Brigata. Dopo che i giocatori della Repubblica d’Irlanda vennero fischiati per essersi inginocchiati in segno di sostegno alla giustizia razziale prima di un’amichevole a Ujpest nel giugno 2021, Orbán dichiarò che il gesto degli irlandesi era stato una provocazione. “Gli ungheresi si inginocchiano solo davanti a Dio, alla patria e quando chiedono la mano della loro amata“, affermò il premier. La Carpathian Brigade è un gruppo variegato, con alcuni membri impegnati in cause animaliste, ma il suo nucleo più interno agisce spesso a sostegno del governo. È noto che alcuni membri abbiano impedito la registrazione di una petizione referendaria da parte di un parlamentare socialista, e altri si sono resi protagonisti di aggressioni contro attivisti ambientalisti che protestavano contro l’abbattimento di alberi a Budapest.

La nazionale che la Brigata sostiene è in un momento di ascesa. L’Ungheria è rimasta imbattuta in 14 delle ultime partite prima di Euro 2024, una serie mai vista dai tempi di Puskás. Con il capitano della nazionale, Dominik Szoboszlai, il Paese ha per la prima volta una vera stella della Premier League. Tuttavia, le sconfitte subite durante gli Europei, inclusa quella per 2-0 contro la Germania, hanno rappresentato un duro colpo. Tant’è che i media filogovernativi hanno sfruttato la partita contro la Germania per ritrarla come simbolo dell’Occidente decadente.

Durante Euro 2020, la UEFA impedì al sindaco di Monaco di Baviera di illuminare l’Allianz Arena con i colori dell’arcobaleno come protesta contro una legge ungherese che vietava la promozione dell’omosessualità ai minori. Il portiere ungherese Peter Gulacsi, ex giocatore del Liverpool e ora al RB Lipsia, pubblicò allora su Facebook un messaggio di sostegno alle “famiglie arcobaleno”. Nelle sue parole, sottolineava come il tempo trascorso all’estero e l’incontro con persone di culture diverse lo avessero portato a comprendere che “il mondo è più colorato perché non siamo tutti uguali e che l’amore, l’accettazione e la tolleranza sono le cose più importanti“. Questo post suscitò una reazione immediata in Ungheria, in particolare da parte di Zsolt Petry, allenatore dei portieri dell’Hertha Berlino. In un’intervista rilasciata al quotidiano Magyar Nemzet, vicino al partito Fidesz, Petry dichiarò che, sebbene Gulacsi avesse diritto alla propria opinione, “l’Europa è un continente cristiano e non sopporto di assistere al degrado morale che sta dilagando nel nostro continente“. Le affermazioni di Petry hanno portato al suo licenziamento da parte dell’Hertha Berlino.

Questi episodi sollevano interrogativi sul progetto calcistico di Orbán e sui suoi legami con la rinascita della nazionale ungherese. Quanto del recente successo è dovuto agli investimenti miliardari del governo? Mentre i piccoli club locali hanno beneficiato di nuove strutture e attrezzature, molti dei giocatori chiave della nazionale, come Willy Orban (RB Lipsia) e Callum Styles (Barnsley), sono cresciuti all’estero e hanno giocato per l’Ungheria grazie ai legami familiari. Altri, come Loic Nego, nato a Parigi senza legami diretti con l’Ungheria, hanno ottenuto la cittadinanza dopo aver giocato nel Paese per otto anni.

Ma per Orbán, i simboli e l’immagine sono forse più potenti dei singoli individui. Il suo progetto calcistico ha aggiunto un nuovo capitolo alla storia ungherese, un Paese in cui coesistono palazzi dell’era comunista, grandiosi edifici austro-ungarici , antichi bagni ottomani e la Pancho Arena di Felcsút. Ma il progetto più ambizioso è lo stadio nazionale di Budapest, il Puskas Arena. Simile per dimensioni e design all’Allianz Arena del Bayern Monaco, ma costruito a un costo tre volte superiore, lo stadio sorge sul sito del vecchio Nepstadion, un tempo simbolo della storia calcistica ungherese, ora sostituito da un imponente simbolo del potere politico attuale.

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