Canto-degli-uccelli

Come gli scienziati hanno iniziato a decodificare il canto degli uccelli

I suoni emessi dagli uccelli offrono, per parecchi aspetti, l’analogia più vicina al linguaggio, perché tutti gli individui della stessa specie emettono grida istintive che esprimono le loro emozioni; e tutte le specie che cantano esercitano la loro facoltà istintivamente.

Charles Darwin

Una giornata piovosa a Grünau im Almtal, in Austria, può sembrare ordinaria, ma per un gruppo di oche selvatiche, quella giornata era tutt’altro che banale. Accampate su un prato vicino a un ruscello, le oche si concedevano un momento di tranquillità. Tra loro, un’oca a cui gli scienziati avevano dato il nome di Edes, stava tranquillamente lisciando le sue piume, mentre le altre riposavano serene. La pace del gruppo fu però improvvisamente interrotta quando un altoparlante, nascosto tra l’erba, iniziò a riprodurre un verso registrato. Il primo suono proveniva da un’oca maschio, Joshua, non appartenente al gruppo, ma non destò l’interesse né di Edes né delle altre oche. Fu solo al secondo richiamo, un verso più basso e profondo, che l’attenzione di Edes si risvegliò. Alzò lo sguardo, percependo qualcosa di familiare: era il richiamo della sua compagna di vita, un’oca femmina chiamata Bon Jovi, registrato dagli scienziati.

Edes e le altre oche selvatiche vivono nelle vicinanze del Konrad Lorenz Research Center for Behavior and Cognition, un centro di ricerca che prende il nome dal celebre scienziato e premio Nobel Konrad Lorenz, uno dei pionieri nello studio del comportamento animale, famoso per i suoi esperimenti sull’imprinting, un fenomeno che portava i paperotti a seguirlo come se fosse la loro madre. Da allora, la ricerca sulle oche selvatiche non si è mai fermata, e questo ha permesso agli studiosi di scoprire dettagli affascinanti sulle strutture sociali di questi uccelli. Le oche non sono solo animali che volano in stormi: mantengono legami familiari complessi, navigano migliaia di chilometri durante le migrazioni e sviluppano dinamiche affettive profonde, come si vede nel caso di Edes e Bon Jovi.

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Le ricerche condotte hanno rivelato che il loro comportamento è strettamente legato al concetto di appartenenza sociale. In situazioni di conflitto, per esempio, un’oca senza partner mostra un aumento significativo della frequenza cardiaca rispetto a un’oca con un compagno; e quando un’oca perde il suo partner, può rimanere depressa per circa un anno. Questi studi ci permettono di capire che le oche comunicano e interagiscono molto più di quanto il loro semplice starnazzare possa suggerire.

Infatti, contrariamente alla percezione comune, le oche selvatiche possiedono un repertorio vocale sorprendentemente variegato. Secondo Sonia Kleindorfer, direttrice del Konrad Lorenz Research Center, le oche utilizzano almeno dieci diversi tipi di richiami per comunicare tra loro: esistono richiami di partenza, richiami di contatto e altri segnali che indicano la presenza di alleati o la presenza di oche più coraggiose nel gruppo.

Ciò che rende ancora più intrigante la comunicazione delle oche, e degli uccelli in generale, è la loro anatomia. A differenza degli esseri umani, che usano la laringe per produrre suoni, gli uccelli possiedono una struttura chiamata siringe, che permette agli uccelli di emettere suoni distinti in contemporanea, grazie alla sua capacità di agire come due laringi separate. Questo meccanismo complesso è alla base della varietà e dell’accuratezza dei loro richiami.

La Kleindorfer è una vera e propria “nomade della ricerca”. Passa gran parte dell’anno a studiare diverse specie di uccelli in tutto il mondo: dai fringuelli di Darwin nelle Galápagos agli uccelli canterini in Australia. Uno dei suoi studi più interessanti riguarda lo scricciolo delle fate, un piccolo uccello australiano noto per le sue complesse dinamiche sociali. Questi uccelli, socialmente monogami ma sessualmente promiscui, vivono in comunità dove la cura dei piccoli è condivisa da tutto il gruppo. Kleindorfer e il suo team hanno scoperto che le madri degli scriccioli emettono un richiamo speciale alle uova durante la cova, una sorta di “ninna nanna” che le uova sembrano essere in grado di percepire. Sorprendentemente, i pulcini nascono con una familiarità nei confronti di questo richiamo, che suggerisce come gli uccelli possano imparare i primi rudimenti del loro “linguaggio” già nell’uovo.

La capacità di apprendere nuovi suoni e di adattare il proprio repertorio vocale è una delle caratteristiche distintive che ci accomuna agli uccelli canterini. E questa affinità solleva domande più profonde sul concetto stesso di linguaggio. Per lungo tempo, gli esseri umani hanno cercato di definirsi come unici nel regno animale, attribuendosi capacità come l’autocoscienza, l’uso degli strumenti e il linguaggio. Ma studi come quelli condotti sulle oche selvatiche e sugli scriccioli delle fate stanno mettendo in discussione questi assiomi.

Anche altri uccelli, come le ghiandaie siberiane, mostrano una sorprendente capacità di comunicazione. Le loro vocalizzazioni di allarme, ad esempio, sono in grado di trasmettere informazioni specifiche riguardo al tipo di predatore in avvicinamento. Mentre alcuni uccelli, come i drongo codaforcuta, sono persino in grado di mentire, emettendo falsi richiami di allarme per ingannare altre specie e rubare loro il cibo. Questi comportamenti dimostrano una sofisticazione cognitiva che sfida l’idea che il linguaggio sia una prerogativa esclusivamente umana.

La ricerca nel campo delle vocalizzazioni animali ha conosciuto una svolta significativa grazie all’uso delle moderne tecnologie di registrazione e analisi. Le prime registrazioni di canti di uccelli risalgono alla fine dell’Ottocento, quando un bambino di nome Ludwig Paul Koch registrò il canto del suo uccello domestico con un fonografo Edison. Oggi, istituzioni come la Macaulay Library della Cornell University hanno creato vasti archivi sonori che permettono agli scienziati di studiare dettagliatamente i suoni degli uccelli.

Con l’avanzare dell’intelligenza artificiale, poi, progetti di riconoscimento vocale e visivo, come quello condotto da Grant Van Horn alla UC San Diego, stanno permettendo di classificare e comprendere meglio le vocalizzazioni e i loro comportamenti. Questi studi non solo ci aiutano a capire meglio il mondo naturale, ma ci invitano a riflettere su cosa significhi davvero “comunicare” e su come possiamo abbattere le barriere che ci separano dagli altri esseri viventi.

Del resto, gli uccelli, con le loro intricate vocalizzazioni e complesse dinamiche sociali, ci offrono una finestra su un mondo che, per troppo tempo, abbiamo sottovalutato. Forse, come suggerisce Kleindorfer, è giunto il momento di ascoltare davvero cosa hanno da dire.

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