“Verità e falsità si scontrano“, sosteneva John Milton nel suo Areopagitica, un opuscolo pubblicato nel 1644 in difesa della libertà di stampa. Questa libertà, riconosceva, avrebbe permesso la diffusione di opere scorrette o fuorvianti, ma le cattive idee si sarebbero comunque propagate, anche senza la stampa. Perciò, secondo Milton, era preferibile consentire la pubblicazione di tutto e lasciare che le opinioni rivali si confrontassero nel campo di battaglia delle idee. Milton era convinto che le buone informazioni avrebbero prevalso su quelle cattive: la “polvere e la cenere” della falsità “potrebbero ancora servire a lucidare e illuminare l’armeria della verità“.
Yuval Noah Harari, storico israeliano, ha criticato aspramente questa posizione, considerandola una “visione ingenua“, nel suo nuovo libro, Nexus. Breve storia delle reti di informazione dall’età della pietra all’IA. È errato, afferma, pensare che più informazioni portino sempre alla verità e che Internet abbia posto fine al totalitarismo. Inoltre, sostiene che il razzismo non può essere sconfitto solo attraverso la verifica dei fatti. Harari si oppone anche a una “visione populista” che nega l’esistenza di una verità oggettiva e considera l’informazione un’arma da brandire. È ironico, osserva, che l’idea della verità come illusoria, oggi abbracciata da politici di destra, abbia radici nei pensatori di sinistra come Karl Marx e Michel Foucault.
Pochi storici hanno ottenuto la fama mondiale di Harari, che ha venduto oltre 45 milioni di copie delle sue opere, tra cui Sapiens, e tra i suoi ammiratori ci sono Barack Obama e Mark Zuckerberg. Tecnofuturista che contempla scenari apocalittici, Harari ha spesso messo in guardia sugli effetti negativi della tecnologia nei suoi libri e discorsi. Eppure continua ad affascinare i dirigenti della Silicon Valley, nonostante le critiche che rivolge alle loro innovazioni.
In Nexus, un racconto che attraversa l’era della pietra fino all’era dell’intelligenza artificiale (IA), Harari si propone di fornire “una migliore comprensione di cosa siano le informazioni, di come contribuiscano a costruire reti umane e di come si relazionino alla verità e al potere“. Le lezioni della storia, secondo Harari, possono offrire una guida per affrontare le sfide contemporanee legate all’informazione, in particolare l’impatto politico dell’AI e i rischi per la democrazia posti dalla disinformazione. In un’impressionante capacità di cogliere lo spirito del tempo, lo storico è riuscito a catturare perfettamente lo zeitgeist attuale. Con 70 nazioni, che rappresentano circa metà della popolazione mondiale, che si recano alle urne quest’anno, le questioni riguardanti la verità e la disinformazione sono centrali sia per gli elettori che per i lettori.
Il punto di partenza di Harari è una nuova definizione dell’informazione stessa. La maggior parte delle informazioni, sostiene, non rappresenta nulla e non ha alcun legame essenziale con la verità. La caratteristica distintiva dell’informazione non è la rappresentazione, ma la connessione; non è un mezzo per catturare la realtà, ma per collegare e organizzare idee e, soprattutto, persone: è un “nesso sociale“, scrive. Le prime tecnologie dell’informazione, come le storie, le tavolette d’argilla o i testi religiosi, e successivamente giornali e radio, sono stati strumenti per orchestrare l’ordine sociale.

Harari si basa su un argomento già presente nei suoi libri precedenti, come Sapiens e Homo Deus: gli esseri umani hanno prevalso sulle altre specie grazie alla loro capacità di cooperare in modo flessibile su larga scala, e storie e miti condivisi hanno permesso di ampliare tali interazioni oltre il contatto diretto tra individui. Leggi, divinità, monete e nazionalità sono tutte costruzioni intangibili, evocate attraverso narrazioni condivise. Queste storie non devono necessariamente essere accurate; la finzione ha il vantaggio di poter semplificare e ignorare verità scomode o dolorose.
L’opposto del mito, che è coinvolgente ma potenzialmente inaccurato, è l’elenco, che tenta noiosamente di catturare la realtà, portando alla burocrazia. Le società hanno bisogno sia della mitologia che della burocrazia per mantenere l’ordine. Harari considera la creazione e l’interpretazione dei testi sacri, e l’emergere del metodo scientifico come approcci contrapposti alle questioni di fiducia, fallibilità e mantenimento dell’ordine rispetto alla ricerca della verità. Questa teoria viene applicata anche alla politica, trattando democrazia e totalitarismo come “tipi contrapposti di reti informative“. Dal XIX secolo, i mass media hanno reso possibile la democrazia su scala nazionale, ma hanno anche “aperto la porta a regimi totalitari di vasta portata“. In una democrazia, i flussi informativi sono decentralizzati e i governanti sono considerati fallibili; sotto il totalitarismo, vale l’opposto. Ora i media digitali, in tutte le loro forme, stanno producendo effetti politici autonomi. Le nuove tecnologie dell’informazione sono catalizzatori di cambiamenti storici significativi.
La scrittura di Harari è sicura, ampia e permeata di umorismo. Attinge a storia, religione, epidemiologia, mitologia, letteratura, biologia evolutiva e alla sua biografia familiare, passando spesso da un’epoca all’altra nello spazio di pochi paragrafi. Alcuni lettori lo troveranno stimolante; altri, invece, potrebbero sentirsi sopraffatti.
Molti potrebbero anche chiedersi perché, in un libro sull’informazione che promette nuove prospettive sull’IA, Harari si soffermi così tanto sulla storia religiosa, e in particolare sulla Bibbia. Il motivo, secondo l’autore, è che i testi sacri e l’IA condividono un obiettivo: creare un'”autorità sovrumana e infallibile“.
A differenza di storie, elenchi o giornali, le IA possono agire attivamente nelle reti informative, come le persone. I pericoli informatici esistenti, come i pregiudizi algoritmici, la radicalizzazione online, gli attacchi cibernetici e la sorveglianza onnipresente, saranno, secondo lui, aggravati dall’intelligenza artificiale. Alcuni dei suoi scenari distopici, però, appaiono poco plausibili. Immagina, per esempio, un autocrate che diventa schiavo del suo sistema di sorveglianza o un altro che, sospettoso del suo ministro della Difesa, delega il controllo del suo arsenale nucleare a un’intelligenza artificiale. Alcune preoccupazioni poi sembrano eccessive: Harari attacca persino TripAdvisor, un sito in cui i turisti valutano ristoranti e hotel, descrivendolo come un inquietante “sistema di sorveglianza peer-to-peer“. Inoltre, tende a confondere ogni forma di elaborazione dati con l’intelligenza artificiale, e la sua definizione di “rete informativa” è così flessibile da includere tutto, dai grandi modelli linguistici come ChatGPT ai gruppi di caccia alle streghe nell’Europa moderna.
Nonostante ciò, la narrazione di Harari è affascinante e la sua impostazione intellettuale sorprendentemente originale. È, come ammette lui stesso, un outsider quando si tratta di informatica e intelligenza artificiale, il che gli consente una prospettiva piacevolmente diversa. I tecnofili si troveranno a esplorare aspetti inattesi della storia, mentre gli storici acquisiranno una nuova comprensione del dibattito sull’intelligenza artificiale.