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Foto: Doug Mills/The New York Times

L’era di Trump

Nel suo discorso conclusivo alla Ellipse, Kamala Harris ha espresso un forte disprezzo verso Donald J. Trump, descrivendolo come un’eccezione, un personaggio lontano dai valori che rappresentano l’America. “Non è questo che siamo“, ha dichiarato con fermezza. Eppure, i risultati elettorali sembrano dimostrare il contrario: Trump rappresenta, in realtà, una parte consistente del Paese, forse addirittura la maggioranza.

L’idea che fosse una semplice anomalia destinata a passare, uno sfortunato incidente che avrebbe lasciato poche tracce nella storia, è stata letteralmente travolta da un’ondata rossa in tutti gli Stati in bilico. Questa ondata ha frantumato l’immagine che le élite politiche di entrambi i partiti avevano a lungo nutrito dell’America. Non è più possibile liquidare Trump come una breve deviazione dalla marcia costante verso il progresso, come un caso isolato, capitato quasi per sbaglio otto anni fa.

Il ritorno del tycoon alla presidenza lo posiziona ormai come una forza di cambiamento radicale, capace di rimodellare il volto dell’America a sua immagine. Il disincanto verso le élite e il risentimento verso la direzione presa dal Paese si sono rivelati molto più profondi di quanto tanti nei due principali partiti fossero pronti ad ammettere. Trump ha saputo sfruttare questo diffuso malcontento, soprattutto tra chi percepisce l’avanzare della società come una minaccia alla propria identità e ai propri valori.

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Foto: Doug Mills/The New York Times

In una situazione di crescente polarizzazione, decine di milioni di americani hanno scelto di sostenere un leader che prometteva di stravolgere le convenzioni, senza timore di violare norme consolidate o offendere sensibilità. E hanno messo da parte ogni dubbio o remora sul passato del leader che hanno scelto di seguire, ratificando il ritorno di un uomo di 78 anni disposto a tutto per combattere contro un sistema che considera corrotto. Di fatto, per la prima volta nella storia americana, un condannato è stato eletto alla Casa Bianca. Trump è un leader che ha tentato di ribaltare una precedente elezione, ha invocato l’abrogazione della Costituzione per riconquistare il potere, ha manifestato il desiderio di governare con poteri dittatoriali fin dal primo giorno e ha promesso vendetta contro i suoi nemici.

La presidenza di Trump è una testimonianza della profondità dell’emarginazione percepita da coloro che si sentono esclusi dalla vita culturale del Paese“, ha dichiarato Melody C. Barnes, direttrice esecutiva del Karsh Institute of Democracy presso l’Università della Virginia ed ex consigliera del presidente Barack Obama. Piuttosto che sentirsi minacciati dai messaggi aggressivi di Trump, molti americani sembrano averli trovati energizzanti e veri; invece di essere offesi dalle sue bugie e dalle sue teorie complottiste, molti lo vedono come genuino; anziché considerarlo un criminale o un truffatore, molti lo considerano vittima di un sistema persecutorio.

Questa elezione è stata come una radiografia sul popolo americano: ha rivelato una forte affinità per un uomo caratterizzato da corruzione e manipolazione, una realtà che molti osservatori ritenevano impossibile da accettare. “Donald Trump non è più un’eccezione; è diventato la norma“, ha dichiarato Peter H. Wehner, ex consigliere strategico del presidente George W. Bush e noto critico del tycoon.

Il nuovo presidente è riuscito a superare, indomito e ancora una volta imbattuto, ostacoli legali e politici che avrebbero facilmente distrutto qualsiasi altro candidato. Ma la sua vittoria non è soltanto il risultato della sua abilità, riflette anche le carenze dell’amministrazione Biden. Nonostante i programmi di aiuto durante la pandemia e le politiche climatiche, il governo Biden&Harris è stato indebolito dall’aumento dell’inflazione e dalla gestione tardiva dell’immigrazione illegale. Dopo aver fallito nel sanare le divisioni lasciate dall’era Trump, Biden non ha saputo intercettare la rabbia che alimenta il movimento trumpiano né rispondere alle guerre culturali che continuano a infiammare il Paese. Secondo l’ex rappresentante repubblicano della Florida, Carlos Curbelo, “la coalizione che ha eletto Biden e Harris desiderava unità, ma non ha trovato risposta“. Harris ha cercato fino all’ultimo di predicare armonia, ma il suo messaggio di unità è apparso debole di fronte al “combatti, combatti, combatti” di Trump.

Il ritorno politico del tycoon newyorkese rivela una verità spesso ignorata: nel corso dei suoi 248 anni, la democrazia americana ha attraversato momenti, in tempo di guerra soprattutto, in cui i cittadini hanno cercato un leader forte, disposto a ignorare le regole per guidarli attraverso crisi reali o percepite. Trump con la sua visione di un’America assediata culturalmente, economicamente e demograficamente ha creato una narrativa di conflitto permanente, richiamando a sé quella figura dell’uomo carismatico. Ruth Ben-Ghiat, storica e autrice di Strongmen: Mussolini to the Present, afferma che Trump “ha preparato gli americani all’autocrazia” adottando un linguaggio ripreso dai regimi totalitari. Accusando gli oppositori di “avvelenare il sangue del nostro Paese” e dipingendo gli immigrati come una minaccia, ha rafforzato una visione dell’America segnata dalla violenza come soluzione ai problemi politici.

Il suo trionfo solleva anche la questione dell’accettazione di una donna nello Studio Ovale. Per due volte Trump ha sconfitto delle candidate con più esperienza di lui. Il senso di déjà vu rispetto alla sconfitta di Hillary Clinton era tangibile tra i democratici mercoledì mattina, e solleva interrogativi sulla prontezza del Paese ad eleggere una donna come presidente.

Il ritorno di Trump promette di essere segnato dalla vendetta, mirato a demolire le istituzioni che considera corrotte e a consolidare il suo potere. Durante il suo primo mandato ha acquisito esperienza su come utilizzare le leve del potere; ora, con un team di consiglieri più allineati e con più libertà di manovra, è pronto a governare senza remore. È un ritorno a un’antica idea di America, ostile agli stranieri, disillusa dagli scambi commerciali e sospettosa delle alleanze internazionali. Le sue politiche potrebbero condurre a un periodo di isolamento e incertezza globale. All’interno del Paese, l’impatto economico delle sue proposte — dai dazi alle deportazioni di massa — potrebbe rivelarsi disastroso, innescando una spirale inflazionistica. Anche i suoi piani di massiccia deregolamentazione potrebbero favorire i suoi alleati più ricchi piuttosto che l’americano medio.

In politica estera, rischia di destabilizzare le alleanze e incoraggiare regimi autoritari in tutto il mondo. Quale potere avrà la garanzia di mutua difesa dell’articolo 5 della NATO con un presidente americano che ha dichiarato pubblicamente che, per quanto lo riguarda, la Russia può fare tutto ciò che vuole ai membri che, secondo lui, non pagano la loro giusta quota? E che dire dell’Ucraina assediata, la cui capacità di combattere contro la Russia è stata sostenuta da miliardi di dollari di aiuti militari statunitensi a cui Trump si è opposto? Ha promesso che può porre fine alla guerra in ventiquattro ore: come lo farà, se non facendo pressione sull’Ucraina affinché ceda parte del suo territorio alla Russia in cambio di una pace alle condizioni di Putin?

In questo quadro, l’America stessa si trova in bilico. La sua economia rimane tra le più forti al mondo, ma senza una guida illuminata, il mondo potrebbe cadere preda della legge del più forte, con i Paesi più piccoli costretti a scendere a compromessi o a capitolare. Anche l’Europa potrebbe cambiare la sua politica. Se temesse di non poter contare sull’appoggio americano i Paesi membri dell’EU sarebbero costretti a spendere di più per la propria difesa, nella migliore delle ipotesi creando un esercito europeo, nella peggiore ogni Paese potrebbe seguire l’esempio della Gran Bretagna e della Francia e cercare di acquisire armi nucleari. Trump potrebbe ribattere che questi problemi sono del mondo, non dell’America, ma la storia ci insegna che l’America non può permettersi il lusso di isolarsi. All’inizio, il Paese potrebbe anche prosperare, ma prima o poi il peso delle sue scelte si farà sentire.

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