procrastinazione

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L’economista George Akerlof nel suo Procrastinazione e Obbedienza del 1991 racconta un aneddoto personale: doveva spedire una scatola di vestiti dimenticati dal suo amico e collega Joseph Stiglitz durante una visita in India, dove Akerlof risiedeva. Nonostante la buona intenzione, le complesse procedure burocratiche indiane e quella che lui stesso definì la sua “inettitudine in tali questioni” lo portarono a rimandare l’invio giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, fino a quando, dopo otto mesi, riuscì finalmente a risolvere il problema affidando la scatola a un amico che stava tornando negli Stati Uniti.

Questo racconto, oltre a confortarci sul fatto che persino i premi Nobel procrastinano, ci insegna come la procrastinazione potrebbe essere più di una semplice cattiva abitudine: è un fenomeno che mette in luce i limiti del pensiero razionale e rivela i complessi meccanismi interiori che spaziano dal risparmio alle dipendenze.

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Il libro The Thief of Time, curato da Chrisoula Andreou e Mark D. White, raccoglie diversi saggi che esplorano la procrastinazione da angolazioni filosofiche e pratiche, e sostiene che il rimandare le attività riveli questioni profonde legate al tempo e all’identità umana. Secondo alcuni filosofi, la scelta di procrastinare potrebbe rivelare la nostra complessa relazione con il tempo e la natura mutevole delle nostre preferenze. Già nel diciottesimo secolo Samuel Johnson descriveva la procrastinazione come una debolezza comune che colpiva tutti. Mentre l’economista George Ainslie sostiene che temporeggiare è un impulso umano fondamentale, una risposta al modo in cui percepiamo e interpretiamo il tempo.

Esistono tre aspetti della procrastinazione. Il primo è la procrastinazione basata sull’identità. Questo tipo di rimando avviene quando il nostro desiderio di perfezione diventa un ostacolo all’azione. Immaginiamo di essere i migliori e ci preoccupiamo che, se il risultato non sarà all’altezza, la nostra identità verrà compromessa. Un noto esempio è quello del generale unionista George McClellan: nonostante avesse il doppio dei soldati dei sudisti, McClellan temporeggiava, rimandando azioni decisive per paura di non essere sufficientemente preparato.

La procrastinazione emotiva, invece, si manifesta quando ci troviamo di fronte a compiti che suscitano forti emozioni negative. Si tratta spesso di dover affrontare situazioni scomode o stressanti, come comunicare una notizia difficile. Anche se questi compiti possono richiedere solo pochi minuti, il carico emotivo associato li rende pesanti e difficili da affrontare. Infine, c’è la procrastinazione operativa, che si presenta quando un obiettivo è troppo complesso o poco chiaro, e non capiamo da dove iniziare.

Gli psicologi vedono la procrastinazione come una manifestazione dell’akrasia, termine greco che indica una debolezza di volontà. Piers Steel la definisce come il ritardo volontario di un compito nonostante si preveda che il rimando peggiorerà la situazione. La procrastinazione, quindi, non è semplicemente un comportamento, ma una scelta consapevole di non fare ciò che si pensa sia meglio. Oltretutto, rimandare compiti spiacevoli non genera necessariamente piacere: anzi, spesso ci rende infelici.

Perché dunque procrastiniamo? Una spiegazione risiede nel nostro rapporto con il tempo, e in particolare nel fenomeno dello “sconto iperbolico”. Un bias cognitivo che vede le persone preferire ricompense o guadagni immediati rispetto a quelli futuri, anche se questi ultimi hanno più valore. Questo fenomeno riflette una dinamica simile a quella osservata quando scegliamo un film da guardare subito e uno per il futuro: se dobbiamo guardare un film stasera, tendiamo a scegliere qualcosa di leggero, ma, se pensiamo al film da guardare più avanti, preferiamo opere più impegnative.

Un altro aspetto che contribuisce alla procrastinazione è la “fallacia della pianificazione”: tendiamo a sottovalutare il tempo che servirà per completare un compito. Questo fenomeno ci porta spesso a pianificare in modo irrealistico, immaginando uno scenario in cui tutto procede senza intoppi, cosa che raramente accade. Spesso procrastiniamo svolgendo lavori alternativi che ci sembrano meno pressanti, ma ugualmente utili per evitare ciò che realmente dovremmo fare.

Alcuni economisti comportamentali sostengono che il fenomeno della procrastinazione possa essere meglio compreso pensando al “sé diviso”: la persona che fa piani e quella che non li realizza non sono la stessa persona, ma entità diverse in conflitto tra loro. Ian McEwan, nel suo romanzo Solar, descrive la mente come un parlamento, in cui diverse fazioni si oppongono, si alleano e si contendono il potere. Questo modello può aiutare a comprendere la procrastinazione non solo come una debolezza personale, ma come un conflitto interno tra desideri a breve e lungo termine.

Se il nostro “sé responsabile” e il nostro “sé tentatore” sono costantemente in competizione, come possiamo affrontare la procrastinazione? La risposta non risiede semplicemente nella forza di volontà, ma piuttosto in ciò che Joseph Heath e Joel Anderson definiscono “volontà estesa“: l’uso di strumenti esterni per supportare la parte di noi che vuole fare le cose, come impostare scadenze, bloccare distrazioni, fare promesse o scommesse con gli amici per aumentare la responsabilità. Tra questi strumenti c’è anche il programma Freedom, creato per bloccare l’accesso a Internet fino a otto ore. E sebbene molti lo trovano efficace, alcuni filosofi, come Mark D. White, ritengono che affidarsi a questo tipo di supporti esterni possa indebolire la volontà, suggerendo invece di coltivarla come un muscolo, attraverso l’esercizio costante. Numerosi studi, però, mostrano che la forza di volontà è una risorsa limitata che si esaurisce facilmente.

In alcuni casi, ridurre la procrastinazione significa anche limitare le opzioni: di fronte a troppi scelte, le persone tendono a non fare nulla. Il filosofo Mark Kingwell osserva che, in un certo senso, essa nasce dalla percezione che ci siano troppe cose da fare, nessuna delle quali veramente significativa. Forse, quindi, il primo passo non è solo combattere la procrastinazione, ma distinguere tra ciò che è davvero importante e ciò che può aspettare. La vera sfida è capire cosa davvero conta.

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