Nel XVI secolo l’Europa si stava avviando alla conquista dell’America, stava raffinando le tecniche militari grazie alla diffusione della polvere da sparo e stava ponendo le basi della rivoluzione scientifica del secolo successivo. Era un Occidente estremamente vitale, ma i contemporanei non ne erano così convinti. Loro vedevano guerre sanguinose, una cristianità spaccata, orrori, massacri, carestie e sofferenze. Di fronte a questa Europa insanguinata, a questa cristianità lacerata, l’impero ottomano appariva come un luogo che stava prendendo il sopravvento, grazie ad un sovrano illuminato, considerato il nuovo Salomone, al tempo stesso grande legislatore e grande guerriero: Solimano (Süleyman), meglio noto come il Magnifico.
In una lettera del 1553 del bailo di Venezia a Costantinopoli, Solimano è descritto come:
Un uomo magro e di color fosco ed ha in faccia una mirabil grandezza, insieme con una dolcezza che lo fa amabile a tutti che lo veggono. È molto sobrio nel mangiare, mangiando raro e poca carne, né beve vino come è fama che facesse al tempo della sua gioventù, ma acque molto delicate.
L’appellativo Magnifico era diffuso più in Occidente che in Oriente, perché i turchi lo chiamavano Kanuni, il Legislatore, perché Solimano fu un grande configuratore di leggi. A diciassette anni fu governatore di una grande provincia e a ventisei, per la precisione il 30 settembre 1520, divenne sultano degli ottomani. Il terzo giorno della cerimonia della sua incoronazione andò incontro al suo popolo indossando una ricca veste d’oro, ricamata di perle e diamanti, e con in testa un altissimo turbante ornato di una serie di pennacchi formati da piume d’airone che simboleggiavano le diverse parti del mondo soggette al suo potere. Solimano governò per quasi mezzo secolo, fino al 1566, e sotto di lui l’impero ottomano raggiunse non solo il suo apice artistico e culturale, ma anche la sua massima espansione territoriale, diventando la seconda potenza d’Europa e temibile rivale dell’impero di Carlo V, e poi di Filippo II.
Ai piedi del letto aveva fatto incidere uno dei suoi motti preferiti: “Se il Principe non va di persona alla guerra e non affronta il pericolo, sia certo che la più parte delle sue imprese non avranno successo“. E infatti nella sua vita condusse personalmente 13 guerre; nel 1529 arrivò ad assediare Vienna e l’anno prima di morire era in Ungheria a guidare i suoi giannizzeri. Ma non combatté solo contro i cristiani. Ad est sfidò gli altri nemici storici degli ottomani, i persiani, da alcuni turchi considerati ancora più infedeli degli europei perché erano sì musulmani, ma sciiti. Solimano li combatté per tutta la vita, fino ad arrivare a conquistare Baghdad, all’epoca una delle città più grandi del mondo.
I suoi successi militari si basavano sul corpo dei giannizzeri, che sin dal Trecento rappresentavano una delle istituzioni più importanti dell’impero. Era una forza a sé stante, molto difficile da padroneggiare e con un solido legame tra i membri; un corpo d’élite che seguiva ciecamente il sultano finché questi li accontentava. I sultani facevano di tutto per essere amati dai giannizzeri, e Solimano non fece eccezione. Per dimostrare la sua vicinanza fece addirittura risultare di essere arruolato nella prima compagnia, iscritto a libro-paga come gli altri, e il giorno della paga mandava qualcuno a ritirare il suo stipendio perché tutti sapessero che era uno di loro. Fece costruire anche un’enorme flotta per attaccare Rodi, isola a due passi dai confini turchi, in cui erano insediati i Cavalieri di San Giovanni, pirati cristiani che attaccavano e depredavano le navi ottomane. L’imperatore invase l’isola distruggendo le basi cristiane, al punto che, per concessione del re spagnolo, i cavalieri si trasferirono in un’altra isola, Malta, e da lì in poi divennero noti come i Cavalieri di Malta.
Ma Solimano non fu solo un guerriero. Come detto, i suoi sudditi lo chiamavano il Legislatore. Voleva essere il nuovo Giustiniano e imitare ciò che l’allora imperatore d’Oriente aveva fatto con il Corpus iuris civilis. Avviò una vasta e imponente opera di codificazione giuridica che fu per secoli la base del diritto ottomano. Nell’impero nonc’era differenza tra sacro e civile, e la legge era la sharia, interpretata da religiosi, gli ulema, che il sultano teneva saldamente sotto controllo. Il più importante di tutti gli ulema era il muftì di Costantinopoli. Durante il suo regno, Solimano fu affiancato da uno dei più importanti muftì della storia musulmana, Ebussuud, colui che interpretava il Corano risolvendo qualunque dubbio i sudditi potessero avere sulle loro modalità di comportamento nei più svariati ambiti della vita. Al tempo di Solimano, però, c’erano ambiti in cui la sharia non era chiara: diverse scuole giuridiche che interpretavano il Corano in modo e ambiti diversi. Con l’aiuto del muftì e degli ulema, Solimano creò un codice amministrativo che permise ai tutti i sudditi di seguire le disposizioni del sultano e al tempo stesso la legge islamica senza fraintendimenti.
Sebbene la cultura della corte fosse religiosa, con Solimano divenne anche una cultura del piacere. Al centro di tutto c’era la poesia. Per i turchi la poesia ha avuto sempre un ruolo centrale: era inconcepibile che un sultano non leggesse e scrivesse poesie. Solimano componeva con lo pseudonimo di Muhibbi, che vuol dire l’Innamorato, perché per la maggior parte della sua vita scrisse poesie d’amore. Anche se poi da vecchio, cambiò tono scrivendo solo versi religiosi.
L’amore lo guidò anche nella vita privata. Sebbene la legge islamica consentisse ai sultani di avere svariate concubine, Solimano percorse una strada diversa. Dalla sua concubina favorita, Gulbahar (“Fiore della primavera“), ebbe il suo figlio preferito, Mustafà. Ma poi si innamorò di un’altra concubina, Hürrem, in Europa nota come Roxelana o Rossolana (che vuol dire “la Russa“), e contravvenendo a tutte le regole, la sposò. Dalla loro unione nacque Selim. Un figlio problematico, le cronache occidentali lo descrivevano come un alcolizzato, ubriaco già dal mattino. Ma Rossolana ebbe una tale influenza su Solimano che alla fine Selim scalzò Mustafà dal piedistallo di figlio prediletto, e quest’ultimo, vittima delle trame di Hürrem, sempre più burattinaia di un Solimano vecchio e debole, morì strangolato.
Alla sua corte Solimano si circondò di grandi artisti, tra tutti l’architetto Mimar Sinan, considerato uno dei più grandi architetti islamici di tutti i tempi. Sinan è l’autore di straordinarie opere, inclusa la moschea Süleymaniye, la moschea di Solimano, e la restaurazione della Cupola della Roccia a Gerusalemme. Il sultano ordinò anche il rifacimento di acquedotti e strade e predispose altri importanti lavori pubblici. In tutto l’impero non vi era alcuna città che egli non avesse abbellito in modo considerevole. Durante il suo regno si ebbe poi una grande fioritura nel campo dell’arte, e gli scrittori dell’epoca gettarono le basi per la fondazione di una letteratura nazionale; Istanbul divenne il centro intellettuale dell’islam.
Nonostante l’impero fosse marcatamente musulmano, Solimano favorì quel clima di tolleranza, iniziato già con il figlio di Maometto il Conquistatore, Beyazit II, verso le minoranze cristiane ed ebraiche. Al contrario di quanto accadeva nei regni occidentali, in quello ottamano non c’era nessuna costrizione alla conversione all’islam. Le minoranze religiose erano organizzate in millet, letteralmente le “comunità dei non musulmani”. Ogni millet aveva un leader religioso nominato dal sultano ed era a tutti gli effetti un funzionario dell’impero. I fedeli dunque potevano tranquillamente praticare la propria religione liberamente, a patto che pagassero una tassa in cambio della protezione che ricevevano dall’imperatore. Non era un caso che mentre in Europa gli infedeli ebrei e ortodossi venivano cacciati (come nel caso degli ebrei sefarditi) o costretti alla conversione al cattolicesimo, tantissimi decidevano di trasferirsi dall’altro lato del Mediterraneo, contribuendo ad accrescere il multiculturalismo ottomano e a creare un sincretismo religioso unico del tempo.