Uno dei principali effetti del secondo conflitto mondiale fu il processo di decolonizzazione, che interessò ampie aree dell’Asia, dell’Africa e del Medio Oriente. Nel mondo arabo-musulmano, questo fenomeno portò all’affermazione di regimi nazionalisti, spesso guidati da forze borghesi legate agli ambienti militari, caratterizzati da una forte spinta modernizzatrice. Tra i principali esponenti di questa fase si ricordano Gamal Abdel Nasser in Egitto (1956), Muammar Gheddafi in Libia (1977), Saddam Hussein in Iraq (1979) e Hafez al-Assad in Siria (1971). Questi governi, pur caratterizzati da un forte autoritarismo e da politiche populiste, non fecero della religione uno strumento politico prioritario: l’Islam rimaneva una questione privata e il loro atteggiamento nei confronti dell’Occidente era sì diffidente, a causa del passato coloniale, ma mai pregiudizievolmente avverso a relazioni commerciali.
L’ascesa dell’Islam politico
Tra gli anni Settanta e Ottanta, diversi eventi geopolitici accelerarono il risveglio dei movimenti islamisti radicali. La caduta dello shah di Persia e l’instaurazione della Repubblica Islamica in Iran sotto l’ayatollah Khomeini nel 1979 segnarono una svolta storica. La resistenza dei Mujahidin in Afghanistan contro l’occupazione sovietica e l’islamizzazione politica del Pakistan contribuirono a rafforzare il fenomeno.
In Iran, Khomeini inaugurò un nuovo modello di governo teocratico basato sul concetto sciita del velayat-e faqih (governo del giurista islamico), secondo cui i dottori della legge islamica (faqih) avrebbero dovuto garantire la conformità dello Stato ai precetti del Corano. Questo trasformò gli imam da semplici guide spirituali a leader politici e amministrativi.
Le radici filosofiche e culturali
Nella storia musulmana, contrariamente a quanto si possa pensare, non è mai esistita né una Chiesa né un clero: l’islam è una religione non separabile dalla vita quotidiana. Lo Stato islamico è uno Stato di Dio, e al concetto di libertà prevale quello di fedeltà alla legge sacra, la shari’ah. L’Islam è una religione totalizzante, che abbraccia ogni aspetto della vita sociale e politica. A questa legge sono tutti sottomessi, anche gli uomini di potere, per questo, in linea di principio, l’islam non riconosce né classi né caste.
Il collante della società è rappresentato dai legami familiari. Come ha evidenziato Albert Hourani, il vero pilastro politico in Medio Oriente è il concetto di ‘asabiyya (lealtà familiare), elaborato dal filosofo arabo Ibn Khaldun (1332-1406). Nel corso della storia, quindi, il senso di giustizia religioso non ha impedito che si formassero dislivelli di ricchezza e gerarchie di potere. Tant’è che le dinastie musulmane hanno spesso fondato il loro potere su legami di sangue e fedeltà tribali, piuttosto che su istituzioni statali centralizzate.
L’evoluzione del fondamentalismo islamico
Precursore delle correnti fondamentaliste contemporanee può essere considerato il potente movimento conservatore wahhabita, nato in Arabia Saudita, che impose una stretta osservanza delle pratiche del culto e della morale pubblica e privata. Ma il fondamentalismo islamico contemporaneo trae origine da una serie di movimenti nati tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo. La convinzione di fondo era che solo un ritorno rigoroso alla legge islamica potesse fermare l’influenza occidentale e restaurare la grandezza della comunità musulmana (umma).
L’atto di nascita ufficiale del fondamentalismo moderno è spesso fatto risalire alla fondazione dei Fratelli Musulmani in Egitto nel 1928 da parte di Hasan al-Banna. L’organizzazione si proponeva di reislamizzare la società dal basso attraverso l’educazione e la creazione di istituzioni sociali. Sayyid Qutb, figura di spicco del movimento, teorizzò una rottura totale con l’Occidente e fu giustiziato in Egitto nel 1966.
In India, Abu ‘l-Ala Mawdudi fondò nel 1941 la Jama’at-i Islami, un movimento che sviluppò il concetto di jihad come lotta per affermare l’islamismo globale. Analogamente, in Palestina i Fratelli Musulmani diedero vita nel 1987 ad Hamas, organizzazione che mescola elementi religiosi e politici.
La questione della Jihad
Il fondamentalismo ha funzionato da sbocco di un malcontento popolare dovuto al persistente autoritarismo politico e all’arretratezza socioeconomica di molti Paesi. Spesso i leader di questi movimenti sono autodidatti, estranei ai centri culturali islamici. La forza del fondamentalismo islamico non risiede perciò in particolari contenuti di programma bensì alla contrapposizione fedele-infedele. Il comandamento della jihad (che non vuol dire “guerra santa”, ma “lotta interiore” o “sforzo”) esorta a rendere universale la rivelazione di Dio. Finché questo traguardo non sarà raggiunto, la terra rimarrà il luogo del conflitto tra dar al Islam (la casa dell’Islam) e dar al harb (la casa della guerra).