Il mondo delle lingue è un po’ come un enorme museo vivente, pieno di storie, suoni e tradizioni che raccontano la storia dell’umanità. Ma, ahinoi, non tutte le lingue riescono a sopravvivere al passare del tempo. Alcune diventano dominanti, altre finiscono per scomparire in silenzio, quasi senza che ce ne accorgiamo. Il processo è spietato, una sorta di darwinismo linguistico che non lascia scampo alle lingue meno “fortunate”. E spesso dietro queste estinzioni non ci sono solo motivi naturali, ma questioni politiche, sociali ed economiche.
Per capirci, ci sono stati momenti nella storia in cui le lingue sono state deliberatamente soppresse. Governi e imperi hanno imposto le loro lingue dominanti per consolidare il potere e creare identità nazionali uniformi. Parlare la lingua sbagliata significava, in molti casi, essere esclusi dalla società o addirittura perseguitati. Ancora oggi, in alcune parti del mondo, questa politica repressiva continua a minacciare lingue minoritarie.
Ma non è sempre la politica a spegnere una lingua. Spesso è il pragmatismo che la condanna. Le generazioni più giovani, spinte dalla necessità di trovare lavoro o di integrarsi in società dominate da lingue più “potenti”, iniziano ad abbandonare la lingua madre. Diventano bilingui e poi, lentamente, smettono di trasmettere la lingua tradizionale ai loro figli. Quando nessuno la parla più come prima lingua, la lingua entra in coma profondo. Da lì a morire il passo è breve.
Ora, facciamo un salto indietro nel tempo. Quante lingue sono scomparse nel corso della storia? Troppe per contarle. Soprattutto se pensiamo che non abbiamo praticamente traccia delle lingue preistoriche, parlate da migliaia di anni in tribù sparse in tutto il globo. Sono scomparse senza lasciare documenti, suoni o vocabolari. Un patrimonio immenso, perso per sempre.
Eppure, in qualche caso, le lingue morte non muoiono davvero. Prendiamo il latino, per esempio. Nessuno va al bar e ordina un caffè in latino (anche se sarebbe divertente), ma rimane vivo nei testi antichi, nel diritto, nella Chiesa cattolica e nelle lingue romanze moderne. Lo stesso vale per lingue come l’antico egiziano o il sanscrito, studiate e preservate più per curiosità accademica che per un uso quotidiano.
Ma cosa succede alle lingue che sono sul punto di scomparire? Beh, qui le cose si fanno interessanti. Le lingue non passano dall’essere vive all’essere morte dall’oggi al domani. C’è una scala di declino: si parte da “minacciata”, si passa a “in mutamento”, poi “moribonda”, “quasi estinta” e infine “dormiente”. Quest’ultima è la fase in cui una lingua non ha più parlanti nativi. Oggi, si stima che circa 88 milioni di persone parlino lingue che stanno per scomparire. Non proprio un numero trascurabile.
In termini geografici, ci sono delle vere e proprie “zone rosse” della linguistica. L’Oceania, ad esempio, è un vero epicentro di lingue in pericolo. In questa regione ci sono migliaia di lingue, molte delle quali parlate da pochissime persone, spesso anziani. Negli Stati Uniti la situazione non è migliore: il 98% delle lingue indigene è a rischio estinzione.

Ma non tutto è perduto. Alcune lingue hanno fatto ritorni clamorosi. Pensiamo all’hawaiano, al māori in Nuova Zelanda o al gaelico irlandese. Lingue che sembravano spacciate e che oggi vengono insegnate nelle scuole, parlate dai giovani e celebrate nelle loro culture di origine. Come ci sono riuscite? Attraverso programmi educativi, campagne di sensibilizzazione e un forte senso di identità culturale.
Certo, non tutte le lingue hanno la stessa fortuna. Alcune sono talmente vicine alla scomparsa che salvarle sembra quasi impossibile. L’Hokkaido Ainu, ad esempio, parlato nel nord del Giappone, ha solo due parlanti nativi rimasti. Sì, due. Eppure ci sono più di 30.000 persone che si identificano come Ainu. Il problema? Nessuno parla più la lingua come prima lingua, e riportarla in vita richiederebbe uno sforzo monumentale, cambiando anche il modo in cui viene percepita dalla stessa comunità.
Ma c’è speranza. Grazie agli etnolinguisti, che studiano e documentano queste lingue moribonde, abbiamo ancora tracce di molte lingue ormai estinte. Registrazioni audio, dizionari, testi scritti: tutto questo potrebbe, un giorno, servire per farle rinascere. Magari qualcuno, tra qualche secolo, si metterà a studiare l’Hokkaido Ainu, digitando qualche parola su una tastiera futuristica.
Ecco il paradosso: mentre alcune lingue muoiono, altre trovano nuove vite, nuovi usi, nuove comunità. Il destino delle lingue è fluido, mutevole, proprio come le società che le parlano. Ma una cosa è certa: ogni lingua che scompare porta via con sé un intero universo di conoscenze, tradizioni e storie. E questo è un vero colpo al cuore. Quindi, se vi capita l’occasione, imparate qualche parola in una lingua in via d’estinzione. Non salverete il mondo, ma contribuirete a tenere vivo un pezzetto di cultura che potrebbe scomparire per sempre.