Il Confucianesimo è una delle filosofie più influenti della storia cinese, nata nel VI secolo a.C. grazie agli insegnamenti di Confucio (K’ung-fu-Tze, Kong Fuzi, “Maestro Kong”, 551-479 a.C.). Per alcuni, il Confucianesimo è un sistema di valori umanista e secolare; per altri, è una religione; altri ancora lo vedono come un codice sociale. Ma qualunque sia l’interpretazione, sta di fatto che ha avuto un impatto duraturo sulla cultura orientale per oltre duemila anni.
Contesto storico
Confucio nacque nel settembre del 551 a.C. nel villaggio di Qufu, nello Stato di Lu (nell’attuale provincia dello Shandong), sotto la dinastia Zhou orientale (771-256 a.C.), durante il Periodo delle Primavere e degli Autunni. Suo padre, Kong He, era un comandante militare di nobili origini, ma morì quando il figlio aveva solo tre anni. La famiglia, priva di sostentamento, cadde in povertà, costringendo il giovane Confucio a lavorare sin da piccolo per mantenere sé e sua madre. Nonostante le difficoltà economiche, ricevette un’istruzione nelle Sei Arti – Riti, Musica, Tiro con l’arco, Auriga, Calligrafia e Matematica – e sviluppò una passione per lo studio. Scrive lo storico Forrest E. Baird:
Dotato di un profondo amore per l’apprendimento fin da ragazzino, Confucio divenne uno degli uomini più istruiti dell’epoca già intorno ai vent’anni.
Divenuto adulto, si sposò ed ebbe almeno un figlio e forse anche due figlie. Determinato a migliorare la propria condizione, sostenne l’esame di qualificazione per diventare insegnante, intraprendendo così la carriera che lo avrebbe reso famoso. Dopo aver acquisito una solida reputazione come insegnante e intellettuale, Confucio entrò nel governo dello Stato di Lu, arrivando a ricoprire il ruolo di magistrato (o governatore). Ma il suo desiderio di riformare la politica incontrò ostacoli insormontabili: il duca di Lu, più interessato ai piaceri della vita di corte che alla buona amministrazione, e le lotte di potere tra le principali famiglie aristocratiche gli impedirono di realizzare le sue idee di governo etico e giusto. Deluso, lasciò la carica e iniziò a viaggiare per la Cina, sperando di trovare dei governanti disposti ad adottare il suo pensiero.
Era un’epoca di forte instabilità, segnata dal declino del potere centrale e dalle continue lotte tra gli Stati regionali per la supremazia. Questo scenario culminò nel Periodo degli Stati Combattenti (481-221 a.C.), in cui i conflitti divennero ancora più feroci e la violenza si diffuse in tutto il Paese. Il crollo delle istituzioni tradizionali lasciò senza impiego numerosi amministratori, studiosi e funzionari, alimentando la necessità di nuove idee su come riorganizzare la società e il governo. Nacquero così numerose scuole di pensiero, ciascuna con la propria visione del futuro. La Contesa delle Cento Scuole fu un periodo di straordinario fermento filosofico, durante il quale il Confucianesimo si trovò a competere con dottrine come il Legalismo e il Taoismo.
Confucio tentò più volte di convincere i governanti ad adottare le sue idee, sostenendo che un governo giusto doveva basarsi sull’etica e sulla virtù del sovrano, piuttosto che sulla paura e sulla coercizione. Ma non trovò mai un leader disposto a seguirlo. Dopo anni di viaggi, tornò infine nella sua città natale, dove si dedicò all’insegnamento e alla trasmissione del suo pensiero. Convinto che il miglioramento della società dovesse partire dall’individuo, fondò una scuola basata su un’educazione che non fosse esclusivamente destinata ai nobili, ma aperta a tutti coloro che fossero disposti a imparare, incoraggiando il pensiero critico e la riflessione etica.
Alla base della sua filosofia vi era la convinzione che la moralità personale e l’armonia sociale potessero essere raggiunte attraverso la pratica di virtù fondamentali, come il rispetto per la famiglia, la benevolenza e il senso del dovere. L’insegnamento della pietà filiale (Xiao) era particolarmente centrale: per Confucio, una società ben governata doveva basarsi sul rispetto dell’autorità, partendo dalla famiglia fino ad arrivare allo Stato. Sebbene non fosse sua intenzione fondare una religione, il suo pensiero influenzò profondamente la cultura cinese, tanto che, nei secoli successivi, il Confucianesimo divenne la base del sistema educativo e amministrativo della Cina imperiale.
I Dialoghi
Confucio vagò per gli Stati vicini accompagnandosi a un piccolo gruppo di studenti, ai quali continuò a insegnare. Offrì consigli politici ai governanti locali e talvolta accettò da loro incarichi temporanei. C’erano delle difficoltà da sopportare: il rifiuto, la persecuzione, il tentato omicidio. (Baird)
Come Socrate, Confucio non lasciò alcuno scritto. I suoi insegnamenti furono tramandati oralmente e successivamente raccolti dai suoi discepoli in un’opera nota come Dialoghi, una raccolta di conversazioni e massime che esprimono il cuore del suo pensiero filosofico. Il motivo per cui Confucio non mise mai per iscritto il suo insegnamento rimane incerto, ma si possono formulare alcune ipotesi.
La prima è che egli attribuisse grande valore all’insegnamento diretto, ritenendo il dialogo e la comunicazione tra maestro e allievo fondamentali per l’apprendimento. Considerava il sapere qualcosa da acquisire attraverso l’esperienza e il ragionamento personale, piuttosto che un insieme di dogmi da accettare passivamente. Questo spiegherebbe la sua enfasi sul pensiero critico e sull’importanza di imparare a trarre conclusioni autonomamente. Come afferma nei Dialoghi:
Quando ho indicato un angolo di un quadrato a qualcuno e lui non torna con gli altri tre, non glielo indicherò una seconda volta. (Dialoghi, 7:8)
Inoltre, il suo insegnamento era profondamente contestualizzato: non si basava su principi rigidi e universali, ma su norme morali che dovevano essere applicate in base alla situazione specifica. Questo potrebbe essere un altro motivo per cui evitò di fissare il suo pensiero in forma scritta, preferendo che i suoi allievi sviluppassero la capacità di discernere e adattare i suoi principi alle circostanze reali.
I Dialoghi furono quindi il frutto del lavoro dei suoi discepoli, che misero insieme frammenti di conversazioni e ricordi del maestro. Cionondimeno, questi testi sono per loro natura fonti secondarie, scritte dopo la sua morte e soggette a successive modifiche. Tant’è che si parla poco dei Dialoghi fino alla dinastia Han (202 a.C.-220 d.C.), diversi secoli dopo la scomparsa del filosofo. Durante il periodo Han, infatti, il confucianesimo divenne la filosofia ufficiale di Stato e il governo si dedicò alla raccolta e alla conservazione del sapere. Gli Han furono grandi bibliotecari e curatori della conoscenza, ma in alcuni casi modificarono i testi antichi per adattarli alle loro necessità politiche e ideologiche. Per questo motivo, gli studiosi moderni ritengono che i primi quindici capitoli dei Dialoghi siano una rappresentazione piuttosto fedele del pensiero confuciano, mentre gli ultimi cinque potrebbero contenere aggiunte posteriori, influenzate da funzionari Han.
I principi fondamentali del confucianesimo
Confucio credeva che gli esseri umani fossero intrinsecamente buoni, ovvero capaci di distinguere tra giusto e sbagliato e naturalmente inclini a scegliere ciò che è giusto. Una visione basata sull’osservazione, da parte del filosofo, delle reazioni spontanee delle persone di fronte a situazioni di emergenza. Il filosofo Mencio, uno dei più importanti interpreti del pensiero confuciano, illustrò questa idea con un celebre esempio: se una persona vede un bambino cadere in un pozzo, il suo primo istinto sarà quello di salvarlo, indipendentemente dal fatto che conosca o meno il bambino o la sua famiglia. Questa reazione dimostra, secondo Mencio, che l’uomo ha una naturale inclinazione alla benevolenza. Al contrario, se qualcuno non intervenisse per salvare il bambino, ciò non indicherebbe una predisposizione al male, ma piuttosto una mancanza di educazione morale o l’assenza di un adeguato modello di condotta.
L’aspetto etico del confucianesimo è anche ciò che porta alcuni a considerarlo una religione. Confucio credeva nel concetto di Tian (Cielo), inteso come un principio ordinatore dell’universo, paragonabile al Tao del taoismo. Tian rappresenta la forza che genera e mantiene l’ordine nel mondo, regolando il flusso costante di opposti, come Yin e Yang. Tuttavia, Confucio non enfatizzava l’adorazione delle divinità né attribuiva ai sacrifici religiosi un valore intrinseco, ritenendo che questi avessero più un significato simbolico per chi li compie che per le divinità stesse. Secondo lui, la fede in una forza superiore, qualunque essa fosse, poteva ridurre l’ego dell’individuo e spingerlo a privilegiare il benessere collettivo rispetto agli interessi personali. Tuttavia, non riteneva che la sola credenza in Tian fosse sufficiente per sviluppare una condotta morale: per vivere in armonia con il mondo e con gli altri, era essenziale seguire una disciplina rigorosa basata su principi etici ben definiti.
Le qualità fondamentali del confucianesimo possono essere riassunte nelle cinque costanti e nelle quattro virtù principali. Le cinque costanti sono: Ren (benevolenza), Yi (rettitudine), Li (rituale e rispetto delle convenzioni sociali), Zhi (conoscenza) e Xin (integrità). A queste si affiancano le quattro virtù fondamentali: Xiao (pietà filiale), Zhong (lealtà), Jie (autodisciplina) e Yi (giustizia).
Tra queste, la pietà filiale occupava un ruolo centrale. Confucio riteneva che il rispetto per i genitori e gli anziani fosse il fondamento di una società armoniosa. Ogni individuo aveva il dovere di onorare la propria famiglia e di rispettarne la gerarchia: i figli dovevano obbedire ai genitori, i fratelli minori dovevano mostrare deferenza verso i fratelli maggiori e le donne seguire gli uomini, secondo le convenzioni sociali dell’epoca. Secondo questa visione, una famiglia in cui ciascun membro rispettava il proprio ruolo avrebbe dato origine a una comunità stabile, che a sua volta avrebbe contribuito alla formazione di uno Stato giusto e prospero.
Un altro principio chiave del confucianesimo è la reciprocità, nota come Shu, considerata la guida principale per la benevolenza. Confucio espresse questa idea in una delle sue massime più celebri:
Non imporre agli altri ciò che tu stesso non desideri.
Per Confucio, le virtù non erano innate, ma dovevano essere apprese e praticate costantemente. In questo senso, il suo pensiero si avvicina a quello di Aristotele, che considerava la moralità come il risultato dell’abitudine e dell’educazione. Inoltre, Confucio sosteneva che le regole morali non fossero fisse e immutabili, ma dovessero essere adattate al contesto e alle circostanze. Il pensiero critico e la riflessione personale erano quindi essenziali per determinare il comportamento più appropriato in ogni situazione.
Altro aspetto fondamentale della sua filosofia era l’importanza dei riti e delle tradizioni. Confucio credeva che i rituali non fossero solo cerimonie formali, ma strumenti per rafforzare la moralità individuale e garantire l’ordine sociale. Dai piccoli gesti di cortesia ai riti funebri, ogni pratica aveva un significato più profondo che aiutava a coltivare la virtù. Confucio non vedeva nei rituali un semplice codice di comportamento, ma un mezzo per rafforzare la consapevolezza morale e costruire una società armoniosa. Come Aristotele, credeva che una persona virtuosa sapesse quando e come applicare le regole in base alle circostanze: il rispetto delle tradizioni non doveva essere cieco, ma doveva essere interpretato alla luce della benevolenza e della giustizia. I rituali diventavano così un’espressione concreta della moralità, piuttosto che una semplice imposizione sociale.
Confucianesimo e Politica
Confucio riteneva che il governante doveva essere un modello di virtù, poiché “il popolo segue l’esempio del proprio leader“. Questo principio si esprime nel concetto di Junzi, il “gentiluomo” o “uomo nobile”, colui che incarna la virtù e la rettitudine.
Confucio affermava che:
Se il popolo è guidato dalle leggi e si cerca di stabilire un’armonia per mezzo di punizioni, questo cercherà di evitare la punizione, ma non avrà alcun senso di vergogna. Se saranno guidati dalla virtù, e l’armonia sarà data loro per mezzo di regole del decoro, le persone avranno il senso della vergogna e, inoltre, diventeranno buone. (Dialoghi, 2:3)
Nonostante la sua enfasi sulla reciprocità e sull’armonia sociale, Confucio è stato spesso criticato per aver sostenuto una struttura sociale gerarchica. È vero che riteneva la posizione sociale un elemento importante, ma il suo approccio era più sottile di quanto possa sembrare. Egli insegnava che lo status non doveva essere un privilegio ereditato, ma una responsabilità da meritare attraverso la virtù e la conoscenza. Un governante, ad esempio, non aveva diritto al potere solo per nascita, ma doveva dimostrare di essere un modello morale per i suoi sudditi.
L’influenza del confucianesimo nella storia
Un altro importante sviluppo della tradizione confuciana venne da Xunzi (Xun Kuang, 310-235 a.C.), considerato l’ultimo dei cinque grandi saggi del confucianesimo. Il suo approccio, più pragmatico e talvolta persino pessimista, avvicinò il confucianesimo ad alcuni principi del legalismo. Nonostante la crescente influenza della scuola confuciana, la dinastia Qin ne decretò una brusca battuta d’arresto. Il primo imperatore, Qin Shi Huangdi (221-210 a.C.), adottò il legalismo come dottrina di Stato e avviò una violenta repressione delle altre scuole di pensiero. Questo periodo culminò nel Rogo dei libri e nella sepoltura degli studiosi (213-210 a.C.), durante il quale i testi confuciani vennero bruciati e molti intellettuali perseguitati. Il confucianesimo sembrava destinato a scomparire, ma alcuni studiosi coraggiosi riuscirono a preservare le opere fondamentali, nascondendole alle autorità.
Fu con la dinastia Han che il confucianesimo venne definitivamente restaurato e istituzionalizzato. L’imperatore Gaozu (202-195 a.C.) ne favorì la rinascita, mentre il suo successore, Wu il Grande (141-87 a.C.), lo proclamò filosofia ufficiale di Stato. Per oltre 2.000 anni, il confucianesimo dominò il pensiero cinese, influenzando profondamente l’educazione, la politica e l’etica pubblica. Anche durante la dinastia Tang (618-907 d.C.), quando il taoismo conobbe una maggiore diffusione, il confucianesimo continuò a rappresentare un pilastro della cultura cinese.
La filosofia di Confucio giunse in Occidente nel XVII secolo grazie ai missionari gesuiti, che la presentarono come un sistema morale altamente sofisticato. Nel XX secolo, con l’avvento dei movimenti di riforma e l’ascesa del Partito Comunista Cinese, il confucianesimo venne nuovamente messo in discussione. Considerato un sistema obsoleto e incompatibile con l’ideologia comunista per la sua enfasi sulla gerarchia sociale, fu progressivamente sostituito da altre dottrine, come il moismo, che promuoveva valori di uguaglianza sociale e amore universale. Tuttavia, gli insegnamenti confuciani erano ormai così profondamente radicati nella cultura cinese che non poterono mai essere completamente eliminati.
Ancora oggi, il confucianesimo continua a influenzare il pensiero cinese, sia come sistema etico sia come parte integrante della cultura e dei valori sociali. Sebbene non abbia ricevuto la stessa attenzione riservata agli antichi filosofi greci, il suo pensiero resta straordinariamente attuale, offrendo spunti significativi su come condurre una vita virtuosa. I suoi insegnamenti non solo permettono di comprendere più a fondo la cultura e la filosofia cinese, ma offrono anche preziose indicazioni su come costruire una società armoniosa attraverso il rispetto dei rituali, la pratica delle virtù e la benevolenza verso gli altri.