Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendía si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio. Macondo era allora un villaggio di venti case di argilla e di canna selvatica costruito sulla riva di un fiume dalle acque diafane che rovinavano per un letto di pietre levigate, bianche ed enormi come uova preistoriche. Il mondo era così recente, che molte cose erano prive di nome, e per citarle bisognava indicarle col dito.
Macondo, la cittadina immaginaria che fa da sfondo a Cent’anni di solitudine, è da sempre un simbolo dell’unione tra realtà e magia, dove il quotidiano si mescola con l’impossibile. Gabriel García Márquez rifiutò per anni qualsiasi proposta di adattamento cinematografico del suo capolavoro che lo aiutò a vincere il Nobel per la letteratura nel 1967, temendo che il suo romanzo non potesse mai essere reso fedelmente sullo schermo. Ma Netflix ha raccolto la sfida, costruendo Macondo dal nulla per realizzare il primo adattamento cinematografico dell’opera.
L’ambientazione è stata ricostruita nei pressi di Ibagué, in Colombia, attraverso un set che riproduce con straordinaria fedeltà la cittadina, completa di maestosi alberi, strade polverose e abitazioni dallo stile architettonico dell’epoca. La costruzione della città, frutto di un lavoro durato oltre un anno e che ha coinvolto centinaia di operai, ha permesso a Netflix di dare vita a un mondo ormai scomparso, restituendo nei minimi dettagli la Colombia immaginata da Gabo. Mai prima d’ora una serie di questa portata era stata realizzata nel Paese.
L’obiettivo? Trasformare l’universo letterario di García Márquez in un’esperienza visiva immersiva, capace di catturare il realismo magico che permea ogni pagina del libro.
Un adattamento che rispetta la cultura d’origine e il realismo magico
Uno dei principali ostacoli che García Márquez vedeva in un adattamento era la lingua: il romanzo, radicato nella cultura latinoamericana, non poteva essere credibilmente interpretato da attori anglofoni. Netflix ha superato questa barriera realizzando una produzione interamente in spagnolo, con un cast prevalentemente colombiano. Come sottolineato da Francisco Ramos, vicepresidente dei contenuti per l’America Latina della piattaforma, la serie si inserisce in una tradizione di successi di Netflix che celebrano la cultura ispanica, come Narcos e Roma.

E poi c’è il realismo magico. Nel mondo di Cent’anni di solitudine, il ghiaccio è una scoperta mistica, il sangue può attraversare la città per portare un messaggio di morte, e i fiori possono piovere dal cielo. Spesso, le rappresentazioni cinematografiche di questo stile hanno oscillato tra il fantasy e l’horror, fallendo nel riprodurre l’atmosfera sottile e poetica dell’opera letteraria. Per evitare effetti visivi eccessivi o digitali, i registi hanno scelto tecniche pratiche e analogiche: le scene magiche sono state girate in tempo reale sul set, utilizzando fiori veri, funi per simulare la levitazione e attori in carne e ossa per interpretare i fantasmi. Ad esempio, nella celebre scena in cui il prete levita dopo aver bevuto cioccolata calda, l’attore è stato realmente sollevato con corde e imbracature.
La ricostruzione storica e culturale
Netflix ha investito enormi risorse nella ricostruzione storica, affidandosi a esperti e storici per garantire un’accuratezza senza precedenti. Gli scenografi hanno studiato documenti d’epoca, fotografie e testimonianze per ricostruire ogni dettaglio di Macondo. Per ricreare il contesto del XIX secolo, sono stati coinvolti artigiani locali, che hanno realizzato cappelli, amache e borse tradizionali, mentre la costumista ha consultato schizzi e dipinti dell’epoca per confezionare migliaia di abiti.
Gli attori, poi, hanno ricevuto una formazione speciale per immergersi completamente nel mondo dei Buendía. Hanno imparato a scrivere a mano con l’inchiostro, a cucire, a cucinare secondo le tecniche dell’epoca e a parlare con l’accento costeño. L’approccio della produzione è stato così rigoroso che molti hanno definito l’esperienza “la scuola dei Cent’anni“.

Bárbara Enríquez, scenografa della serie, ha raccontato come il set sia stato costruito con un’attenzione maniacale ai dettagli, trasformando un campo vuoto in una città viva e vibrante. L’obiettivo era creare un’ambientazione che non fosse solo visivamente coerente, ma che si percepisse autentica anche per chi conosce la storia e la cultura colombiana.
Gli attori e la troupe hanno riportato un’esperienza quasi mistica nel lavorare su questo set. La cura nella realizzazione ha reso difficile distinguere dove finisse la finzione e iniziasse la realtà. L’attrice Marleyda Soto, che interpreta Úrsula, ha raccontato di essersi trovata più volte a chiedersi se gli oggetti di scena fossero veri o finti. Del resto, su questo ha sempre giocato Gabo: il confine incerto tra realtà e finzione.