Totaalvoetbal cover

Il Totaalvoetbal tra controcultura e architettura

Negli anni Sessanta Amsterdam subì una trasformazione totale, passando dall’essere una provincia tra le più arretrate d’Europa a fucina culturale tra le più influenti del mondo. Una trasformazione che partì da due poli diametralmente opposti e che, seppur in apparente contrasto, erano animati dalla stessa sensibilità sovversiva. Nel centro della città si riconoscevano i primi germogli di quello che divenne il movimento hippie; nella periferia sud-est, intorno al piccolo stadio De Meer, si formava invece, il manipolo di quei talentuosi calciatori che divennero il fulcro dell’Olanda calcistica del decennio successivo. Da un lato, quindi, i figli anarchici e ribelli della borghesia urbana, e dall’altro i figli di una classe operaia conservatrice; due gruppi di giovani che non si conoscevano, non frequentavano gli stessi posti e non condividevano nulla. Eppure entrambi facevano cose simili, nella stessa città e con lo stesso atteggiamento destabilizzante. Era il periodo in cui la pavida Olanda si apriva alle influenze estere, colonizzata dalle radio pirata britanniche e assediata da gruppi di contestatori. Gli anni in cui la musica Nederpop si diffondeva in Europa, dando risalto internazionale a band locali che per prime importarono la musica che andava di moda fuori dal continente. C’è un anno che può essere considerato lo spartiacque tra l’Amsterdam retrograda e quella rivoluzionaria: il 1964.

Loop de loop del gruppo The Fouryo’s fu uno dei grandi successi della Nederpop

Nell’anno in cui Cruijff esordiva tra le file dell’Ajax, un travestito lunatico, ex venditore di gelati ed ex lavavetri, organizzava nel centro di Amsterdam eventi strampalati e provocatori per i giovani della città. Si chiamava Robert Jasper Grootveld, un eteroclito che si era fatto notare già da tempo perché navigava con una zattera tra i canali della città, sbeffeggiando i clienti dei ristoranti di lusso, e vandalizzava i cartelloni pubblicitari delle sigarette scrivendo una “K” (da Kanker,  “Cancro”). Grootveld creò il movimento Provo, il cui obiettivo era quello di mettere alla gogna l’establishment olandese. Attraverso il gioco e il divertimento, i provos segnarono la fine della vecchia Olanda e spalancarono le porte alla controcultura. E mentre Grootveld e i suoi adepti mettevano in imbarazzo la morale borghese, dall’altra parte della città c’è chi metteva alla berlina il calcio olandese. 

Johan Cruijff
Un giovane Johan Cruijff

Il calcio professionistico nei Paesi Bassi arrivò molto tardi, solo nel 1954, e agli inizi degli anni Sessanta ricalcava le orme del calcio europeo degli anni Trenta. Quando Rinus Michels divenne l’allenatore dell’Ajax l’attrezzatura medica consisteva in un tavolo di legno e una coperta. Come Grootveld, anche Michels aveva l’ambizione di allontanare i Paesi Bassi dal conservatorismo e dall’austerità del dopoguerra; rappresentava la nuova classe emergente innovatrice, ambiziosa e tecnocratica. Creò la squadra intorno ad un gruppo di ragazzacci di strada capeggiati da un volubile, litigioso e albagioso Cruijff; introdusse nuovi metodi di allenamento, e radicalizzò la tattica offensiva. Il calcio a cui gli olandesi erano abituati era fatto di linee rigide e posizioni fiisse. Con Michels i giocatori iniziarono a sciamare senza lasciare punti di riferimento agli avversari. Per citare il noto giornalista sportivo Hugh McIlvanney, avevano “un’elettrizzante aggressività nel loro modo di giocare“. Neeskens marcava il regista avversario e, visto che questi tendeva ad arretrare, lo ricorreva per tutto il campo. Dopo un po’ anche i suoi compagni fecero lo stesso, inseguendo gli avversari su tutto il rettangolo da gioco; Michels prese questa ferocia e ne fece un sistema. Al massimo delle loro capacità i giocatori dell’Ajax attaccavano in branco gli avversari, senza sosta e in ogni direzione. 

Alla base di questa trasformazione non c’era soltanto il talento strafottente di Cruijff&Co. o la sagacia tattica di Michels, né la sua sensibilità nel capire lo Zeitgeist (Lo spirito del tempo). La filosofia di gioco dell’Ajax aveva un nesso – forse non del tutto chiaro agli stessi protagonisti – con l’architettura della loro città. L’ossessione per la gestione degli spazi nelle tattiche di Michels rispecchiava l’atavico rapporto che i Paesi Bassi avevano e hanno con la propria terra. L’incessante lotta contro l’acqua, la vita nei polder e l’ambiguità di vivere nella natura lì dove tutto è artificiale avevano radicalizzato i concetti di spazio e astrazione geometrica. L’architettura di Amsterdam, a differenza di quella dei vicini belgi ad esempio, ha in sé più i tratti stilistici nordici che quelli della Mitteleuropa; un’architettura, quindi, che ha sempre dovuto fare i conti con la natura impervia e per questo ha sempre avuto un tratto razionale predominante.

Come un antico discepolo di tutti gli ingegneri che si erano occupati delle bonifiche e del drenaggio della terra, Cruijff entrava in campo studiando le distanze e le grandezze del campo di gioco. Una sensibilità propria anche dei pittori olandesi Mondrian e Saenredam. Non è un caso che, come affermato anche dallo storico d’arte Rudi Fuchs, esiste un nesso tra le peculiarità geografiche, l’arte e il calcio.

Il catenaccio è come un dipinto di Tiziano: morbido, seducente e languido. Gli italiani ti accolgono, ti blandiscono e ti cullano in un morbido abbraccio, per poi segnare un gol che sembra una pugnalata. Gli olandesi costruiscono schemi geometrici. In un quadro di Vermeer la perla luccica. Si può dire, in effetti, che il luccichio della perla sia la vera ragione di un Vermeer. L’intero dipinto porta a questo dettaglio, allo stesso modo in cui nel calcio ogni tocco porta alla rovesciata di Van Basten.

architettura olandese
La tipica architettura di Amsterdam

L’Ajax di Cruijff e Michels divenne la squadra più forte del mondo vincendo la Coppa dei Campioni per tre anni consecutivi, e probabilmente avrebbe continuato a vincere se nel 1973 Cruijff, offeso perché i suoi compagni non lo avevano eletto capitano, preferendogli Keizer, non fosse passato al Barcellona. In Catalogna il Pelè bianco portò le sue conoscenze ed educò una nuova generazione di talenti, tra cui il più importante fu Pep Guardiola. Con gli anni il Totaalvoetbal fece discepoli ovunque, da Louis van Gaal ad Arrigo Sacchi, e, come accadde per la cristianità, il suo credo venne adottato da interi Paesi. Il calcio contemporaneo vive tuttora sui precetti olandesi: pressing e posizioni fluide sono la prassi. Eppure oggi più che mai il suo trionfo ha il sapore della sua decadenza. L’Olanda ha posto le basi per quel cambiamento che vediamo oggi, ma la sua propulsione all’innovazione non è continuata, si è fermata agli anni Settanta. Il mondo no. Il mondo è partito dalle lezioni degli olandesi e ha continuato ad evolversi fino a superarli. La storia procede per cicli e quelle circostanze economiche, sociali e culturali che avevano prodotto quell’unicum non possono essere replicate. Forse tra qualche decade ci sarà un calcio olandese bello come quello, ma in modo diverso. Forse ci saranno un nuovo Cruijff e un nuovo Michels. Oggi però l’Olanda, che continua a vivere con i demoni del razzismo e del populismo, e con l’incessante ricerca di un equilibrio tra natura selvaggia e agricoltura, sembra aver perso quella linfa sovversiva che è alla base di ogni rivoluzione. 

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