nikola jokic

Nikola Jokić, confessioni di un cestista appassionato di cavalli

Sombor, una delle più belle città della Serbia, sicuramente della Vojvodina. Una cittadina che vive di un fascino dimenticato, di un passato incentrato sull’estetica prima di ogni altra cosa. La Green city, come la chiamano in Serbia, piena di pianure e alberi che elencano le sue vie. Ma Sombor è anche la città del vino e del Festival di Ravangrad, delle carrozze e dei cavalli. Ed è proprio tra questi ultimi che si è formato il talento più cristallino del basket europeo: Nikola Jokić. Per i primi 14 anni della sua vita Nikola ha avuto un solo chiodo fisso nel cervello: i cavalli. Un amore mai finito, come si è visto anche nelle imbarazzate dichiarazioni post vittoria delle Finals NBA.

Era tutto incentrato sui cavalli per me. Quando ero piccolo, anche a 13 o 14 anni, andavo alle corse di cavalli. Andavo alle scuderie, solo per essere il garzone di stalla. Quella era la mia vita.

Il basket era ancora un rumore di fondo, portato in casa dai fratelli maggiori, Strahinja e Nemanja, che a differenza sua fin da subito, come molti da quelle parti, si erano fatti trascinare dal fascino della palla a spicchi. Galeotto fu anche un piccolo canestro da basket in casa con cui i fratelli si divertivano a giocare con il piccolo Nikola, causando le ire del vicino di casa al piano di sotto, che non mancava mai di lamentarsi per il troppo rumore che facevano. L’ambiente familiare lo spinse a giocare in una squadra locale, il Vojvodina Srbijagas, dove mise in mostra doti non comuni, anche se era goffo e “davvero grasso“, per usare le sue parole. In una vecchia intervista ad Espn, ha raccontato il suo passato in questi termini: “Bevevo più di tre litri di Coca Cola al giorno“.

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Iniziò a seguire le partite delle nazionali perché quando sei un bambino in Serbia non puoi fare altro. Non seguiva molto l’NBA perché le partite andavano in onda alle 3 o 4 del mattino. Fortunatamente arrivò YouTube, quando aveva circa 15 anni, e così scoprì Magic, Kareem e Jordan su tutti. Nel 2012 il passaggio alla polisportiva del Mega Basket di Belgrado, tra le più importanti del Paese. Crebbe in centimetri e in qualità. I derby contro la Zvezda restano ancora oggi impressi nella sua mente. Nulla di più potente e apocalittico.

Contro la Zvezda, tutto il palazzetto era contro di noi. Sei nel tunnel e senti il “dum, dum, dum” dei tamburi ed è davvero intenso. C’era nebbia in tutta la palestra, i tifosi urlavano, tifavano per tutta la partita.

Poi, la chiamata. In una calda notte di del 2014, suo fratello lo chiamò al telefono mentre stava festeggiando con una bottiglia di champagne: i Denver Nuggets lo avevano scelto. L’NBA gli aveva aperto le sue porte. Ma lui assonnato, sbofonchiò qualcosa e si rimise a dormire.

Non pensavo che fosse una cosa così importante. Pensavo che mi avessero scelto e che sarei rimasto un’altra stagione in Europa. Non pensavo di arrivare subito in NBA.

Dopo l’ambientamento iniziale e l’incredibile crescita, riportò Denver ai Playoff nel 2019 e da allora non ha mai fallito un aggancio in post-season, vincendo due premi di MVP della Regular Season e trascinando i Nuggets fino alla vittoria delle Finals quest’anno contro Miami. I risultati parlano per lui. Il serbo è il primo giocatore a primeggiare in punti (600), rimbalzi (279) e assist (190) in una singola post season. Un dominio assoluto quanto irreale per la semplicità mostrata in campo, ben spiegato da lui stesso:

Gioco a basket nel modo più semplice possibile, non salto in alto, non corro veloce. Quando sono libero tiro, quando sono marcato passo la palla.

Mike Miller, suo ex compagno di squadra, lo ha rinominato The Joker per quel suo ghigno maldestro che trascende un’ironia e una calma spietate anche nelle situazioni di gioco più scomode. Come se nonostante tutto del basket non gli importi più di tanto; è il suo lavoro, certo, ma alla fine della giornata sembra che la sua mente torni sempre lì: alle sue passioni di bambino in quella ridente cittadina del nord della Serbia, quelle con gli zoccoli e le criniere.

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