natura sottomessa
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La natura sottomessa

Qualche giorno fa il ministro Lollobrigida ha dichiarato: “L’uomo è l’unico essere senziente; è una cosa diversa. È l’unico che è in grado di avere dati scientifici che può trasformare in azioni che permettono all’ecosistema di riequilibrarsi“. Al di là dell’inesattezza dell’affermazione, smentita ormai da più ricerche scientifiche, quello che stupisce è la pervicacia di una visione del mondo in cui l’uomo è qualcosa di differente, superiore al mondo naturale. Una prospettiva che ha radici antichissime.

La sottomissione della natura è ormai una prassi globale. Nelle società che si vogliono “illuminate”, spesso fiere delle loro tradizioni cristiane, questa concezione delirante dell’essere umano alle prese con il mondo è particolarmente radicata. Le famiglie e la scuola tendono a perpetuarla, i libri di storia la additano a modello, come del resto fanno i film e i videogiochi, le leggi, le opinioni e persino le barzellette, per il cui tramite il mondo sociale si presenta all’individuo come portatore degli stessi riferimenti.

Philipp Blom

Nel 1933 assiriologi tedeschi trovarono, in quella che una volta era la mitica città sumera di Uruk, un antico vaso di alabastro, datato al 3200 a.C. Il vaso di Uruk è una delle prime testimonianze umane che raffigura una narrativa. Parla di un mondo nel quale gli esseri umani hanno piegato la terra ai loro bisogni. Un mondo che richiama la storia più antica giunta per iscritto fino a noi: l’Epopea di Gilgameš, la storia di un uomo che, accecato dalla sua hybris, prova a soggiogare la natura in cerca dell’immortalità, ma perde tutto ciò che gli è più caro e alla fine, sconfitto, riconosce il suo destino: torna a Uruk dove conclude la sua vita di uomo mortale. Un mito che ci mette in guardia: non è dato sottomettere la natura, spogliarla della sua sacralità, esautorarla. Possiamo avventurarci per mari e per terre, ma torneremo stanchi e vinti al punto di partenza.

Gilgameš
Rappresentazione di Gilgameš che sconfigge un leone

Il giardino biblico che, nella lingua avestica, culla linguistica e culturale del mito, viene chiamato Pairi Daeza, “paradiso”, un giardino recintato e protetto nel cuore della natura selvaggia e pericolosa, è l’immagine sulla quale abbiamo plasmato la nostra idea di relazione uomo-natura. Non è un caso che né i Sumeri né gli Accadi, che forgiarono la leggenda di Uruk e del mito, non avevano una parola per descrivere la natura; per loro non svolgeva nessun ruolo, se non quando “utile” all’uomo. Con la “cattività babilonese”, quando migliaia di persone delle famiglie più in vista della Giudea furono trasferite a forza a Babilonia, prese forma definitiva la Torah, il nocciolo dell’Antico Testamento. Gli esiliati che redissero la Bibbia non attinsero solo alle proprie tradizioni, ma inglobarono anche miti del nuovo ambiente culturale. Episodi, come il già citato Eden o il Diluvio universale, vennero interamente copiati dal mito di Gilgameš. Per questo, quello che ne uscì fu uno scritto pieno di aspetti incoerenti. Yahweh, il Dio che venne fuori da questo processo di fusione e innovazione culturale, era severo e vendicativo, ma aveva anche grandi progetti per il genere umano:

Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra.”

Genesi, 1:28

Per la prima volta nella storia dell’umanità, il mondo naturale non veniva più descritto come una realtà animata, popolata di attori eterogenei con cui l’uomo doveva continuamente scendere a compromessi, ma era un’entità senza anima, priva di significato se non quello che Yahweh gli donava. Quest’idea si diffuse come un virus, anche grazie ad un carismatico predicatore, Yehoshua ben Yosef (Gesù), le cui parole trovarono terreno fertile nel clima incandescente della Giudea romana che sfociò poi nell’assedio romano di Gerusalemme nel 72 d.C. e che diede inizio alla “diaspora”. Il Cristianesimo sprigionò un potenziale sociale e filosofico che le conferì un fascino irresistibile, fino a diventare religione ufficiale dell’Impero Romano nel 380 d.C. con l’Editto di Tessalonica. Nella dialettica teologica sul rapporto uomo-natura, Agostino fece un un ulteriore passo avanti, trovando una sintesi con il neoplatonismo. Era la ragione, purgata di ogni scoria passionale, a rendere l’uomo l’essere superiore.

Dio creò pure l’uomo a sua immagine, affinché, come egli con la sua onnipotenza è a capo dell’intera creazione, così l’uomo, con la sua intelligenza, tramite cui è in grado di conoscere e venerare anche il suo Creatore, sovrastasse tutti gli animali della terra.

Prima catechesi cristiana

La nascita degli ordini religiosi monastici, come i benedettini e i cistercensi, che operarono una massiccia attività di disboscamento per convertire terreni “inutili” in attività agricole, scolpì definitivamente nella concezione sociale il concetto biblico dell’uomo che poteva disporre a proprio piacimento del mondo naturale.

L’ambizione di soggiogare la natura si formò in Medio Oriente, ma si sviluppò in Europa e da lì in epoca moderna in quasi tutto il globo. Ma perché proprio in Europa? Nulla poteva lasciar credere che un continente popolato da solo sessantacinque milioni di persone, percorso da fratture politiche e religiose, tartassato dalle guerre e impantanato nella miseria, avrebbe ricercato e ottenuto il dominio del Pianeta. È un fatto che la società cinese del XV secolo fosse largamente superiore su quasi tutti i fronti rispetto agli europei. I contadini cinesi mangiavano meglio e vivevano più a lungo delle loro controparti europee; all’inventiva cinese si dovevano poi la polvere da sparo, i cannoni, la stampa a caratteri mobili, la carta, gli istituti bancari e la bussola. La Cina poteva vantare anche un’antica e lunga tradizione filosofica. Il Confucianesimo insisteva sull’armonia sociale e si completava con i precetti del Dao che spingeva l’uomo a ricercare la vera felicità nello scorrere delle cose, nella sottomissione ai ritmi dell’essere, nell’abbandonare la pretesa di controllare il mondo esterno. La Cina era la prima potenza asiatica e, a parte i tentativi dei mongoli di provare a sfondare da nord, nessuno era in grado di mettere in discussione la sua potenza militare ed economica. In questo contesto non emergeva nessuna necessità di cambiamento o di ricerca di soluzioni innovative. In poche parole, mancavano gli stimoli a migliorarsi. Stesso discorso vale l’Impero Ottomano, i cui limiti allo sviluppo tecnologico erano gli stessi di quello cinese: rivolte locali e nemici che si muovevano a cavallo per cui il moschetto era pressoché inservibile. Al contrario, in Europa si combattevano guerre d’assedio, per cui i pezzi di artiglieria, continuamente migliorati, erano un fattore determinante. C’è poi da sottolineare come le autorità religiose della Sublime Porta erano particolarmente ostili con le novità tecnologiche.

L’Europa aveva una caratteristica che le altre potenze mondiali non avevano: la sua debolezza. Non c’era un regno in grado di sovrastare gli altri, non un re o un imperatore in grado di prevalere sui rivali. L’Europa era un coacervo di piccole potenze in continuo contrasto. E fu questo tutti contro tutti che le permise di emergere. Il predominio europeo dipese dal processo di distruzione creatrice delle guerre. E mentre le altre potenze mondiali promuovevano una politica isolazionista, privilegiando le caste e insistendo sulla purezza religiosa e culturale, in Europa si faceva a gara ad ottenere le menti migliori. Menti come quella di Cartesio, il quale nel Discorso sul Metodo, giustificava la violenza gratuita sugli animali. Questi, secondo le sue osservazioni, non erano solo privi della ragione, ma anche di un’anima. In uno dei suoi trattati Descartes descrive la vivisezione di un cuore canino, che dice di aver sentito battere nel palmo della mano; in un altro scritto spiega come l’uso sistematico delle percosse possa condizionare i cani a odiare il suono del violino. Considerava gli animali come mera res extensa, semplice materia, contrapposta alla res cogitans, la sostanza pensante.

Il pensiero cartesiano segnò un punto di svolta, soprattutto per le idee illuministe: il momento in cui la propaganda liquidava l’evidenza fattuale per evitare che la realtà compromettesse la purezza del dogma. Ridotta a oggetto inerme e meccanico, la natura era pronta ad essere conquistata. Eppure solo poche generazioni prima, Michel de Montaigne aveva evidenziato la morbosità dell’uomo nel cercare delle differenze tra sé e la natura.

La presunzione è la nostra malattia naturale e originaria. La più calamitosa e fragile di tutte le creature è l’uomo, e al tempo stesso la più orgogliosa […]: e con l’immaginazione va ponendosi al di sopra del cerchio della luna, e mettendosi il cielo sotto i piedi.

Saggi

Erano la presunzione e l’avidità dell’uomo a ridurre gli animali in schiavitù, e non solo quelli, perché l’uomo schiavizzava anche i propri simili, giudicandosi superiore. A fargli eco un secolo dopo, Baruch Spinoza. Il filosofo olandese evidenziava tutte le contraddizioni di questo senso di superiorità, che spingeva l’uomo a considerare la natura qualcosa di esterno e differente da sé. In sintesi, Spinoza affermava che se Dio è in ogni cosa, se la sua volontà ha creato il mondo com’è, Dio non era solo immanente a tutto ciò che esiste, ma come idea diventava superfluo. Dio altro non era che la materia. Deus sive natura, Dio ovvero natura. Ma le loro rimasero voci nel vuoto.

Ne è una dimostrazione il quadro An experiment on a bird in an air pump di Joseph Wright of Derby del 1768. Un’opera che sintetizza il pensiero illuminista nella sua essenza. La pompa pneumatica, figlia dell’ingegno umano, veniva testata in casa e come cavia veniva usato un pappagallino. Il momento esatto in cui Wright riprese la scena è quello più cruento: l’uccellino è allo stremo e nessuno, ad eccezione delle piccole di casa, mostra orrore per quello che sta succedendo; anzi, molti sembrano disinteressati. Quali erano le intenzioni di Wright? Celebrare l’ingegno dei contemporanei o mostrare il lato oscuro del progresso?

An experiment on a bird in an air pump
An experiment on a bird in an air pump, Joseph Wright of Derby

Sebbene l’Illuminismo si formò con modalità e forme diverse, spesso anche contrastanti tra loro – basti pensare alle nette differenze tra Montesquieu e Rousseau – trovò un comun denominatore non solo nell’attaccare il pensiero dominante, ma, e questo è l’aspetto più stupefacente, mantenendo un sottotesto cristiano-teologico nell’idea che il posto dell’uomo fosse al di fuori e non all’interno della natura. Dal momento che l’illuminismo moderato reinterpretava e propagava concetti teologici, come la superiorità del genere umano, il pensiero giudaico-cristiano di sottomissione violenta del mondo naturale rimase un dogma. Emblematico è il pensiero dello scrittore inglese Soame Jenys che liquidò il problema dell’ingiustizia e della sofferenza umana, paragonandola a quelle che gli animali subiscono per mano dell’uomo, perché inferiori:

Guardiamo sotto di noi: che cosa vediamo? Innumerevoli specie di essere inferiori la cui felicità e la cui sopravvivenza dipendono dal nostro volere; vediamo l’uomo rivestire le loro spoglie, cibarsi della loro sventura e della loro distruzione, farne schiavi alcuni, torturarne altri e assassinarne a milioni per svago o divertimento.

A Free Inquiry into the Nature and Origin of Evil

L’idea di un mandato divino che avrebbe autorizzato l’uomo a soggiogare la natura si trova nel mito della fondazione degli Stati Uniti d’America e nella progressiva conquista dei territori. Già John Winthrop il Vecchio, primo governatore della Massachusetts Bay Colony, sosteneva che i terreni del Nord America “non avevano proprietari e non erano mai stati smossi e concimati per cui sarebbero appartenuti al primo che [avesse voluto] possederli e migliorarli“. Senza agricoltura, le praterie e le aree montuose del nuovo continente non erano che terre deserte. La proprietà privata e lo sfruttamento della terra diventavano il simbolo della dominazione umana. Dire “è mio” implicava l’appropriazione di qualcosa che era considerato al di fuori, o meglio al di sotto, e per questo sfruttabile a proprio piacimento. È Rousseau tra i primi critici di questo pensiero. Lo “stato di natura”, la presunta condizione primogenita dell’uomo, era fatto di bisogni molto semplici: i nostri antenati, secondo Rousseau, vivevano in gruppi poliamorosi e poco strutturati; non erano né buoni né cattivi, ma semplicemente si attenevano alle leggi della natura. Quell’idillio ha fine quando un uomo prende sul serio quanto scritto nella Genesi:

Il primo che, avendo cinto un terreno, pensò di affermare: ‘questo è mio’, e trovò persone abbastanza semplici per crederlo, fu il  vero fondatore della società civile.

Discorso sulle origini

Come scrive sempre Blom: “L’illuminismo moderato, da Descartes a Kant, passando per Voltaire, non si è mai del tutto emancipato dal catechismo e dalle relative concezioni teologiche. […] Solo i materialisti radicali hanno il coraggio di porsi la domanda: l’uomo è davvero così diverso dagli animali? Occupa davvero un rango privilegiato nel sistema della natura?” La rivoluzione intellettuale scatentata dall’Origine della specie di Darwin, inflisse a quella schiera di pensatori occidentali la più grande ferita narcisistica della storia. Dai neoplatonici agli illuministi moderati, il pensiero dominante si basava su l’indiscusso eccezionalismo umano; l’evoluzione naturale dimostrava, al contrario, che uomini e animali avevano dei progenitori in comune: Darwin aveva detronizzato l’uomo della Bibbia.

Già Coleridge ne La ballata del vecchio marinaio (1798) ammonì gli uomini, rimarcando le ripercussioni di un rapporto puramente strumentale con la natura. La figura dell’uomo che perde la propria umanità per aver ucciso arbitrariamente un albatros fa da eco a tutto il movimento artistico romantico: dal dottor Frankenstein, lo spietato demiurgo che trasforma la natura in qualcosa di mostruoso, al capitano Achab di Melville, da Blake a Turner: il rapporto gerarchico uomo-natura, per la prima volta da secoli, si era rovesciato; l’uomo veniva percepito come minaccioso. 

Pioggia, vapore e velocità – The Great Western Railway fece scalpore per la violenza scioccante con cui Turner mostra la locomotiva, simbolo della tecnica dell’uomo, braccare una lepre; e se quest’ultima sembra essere integrata con il contesto, al punto da essere quasi impercettibile nel quadro, la pioggia, il valore e la velocità fanno della locomotiva un corpo estraneo.  Questo accenno di modernità trovò la sua massima e drammatica espressione con la Grande Guerra, quando gli uomini rintanati nelle trincee si resero conto che le macchine potevano strappare loro la signoria della natura, diventando dominatrici dei dominatori. Tutta la cultura degli anni Venti e Trenta del Novecento è ossessionata da questo rapporto uomo-macchina: Metropolis di Fritz Lang e Tempi moderni di Charlie Chaplin sono, di certo, i più noti esempi dell’autosoggiogamento dell’essere umano.

Pioggia, vapore e velocità - The Great Western Railway
Pioggia, vapore e velocità – The Great Western Railway, William Turner

La bomba atomica, lo sbarco sulla Luna, lo sfruttamento dei giacimenti di gas e di petrolio, in una parola l’Antropocene. Nessuna epoca ha glorificato la signoria dell’uomo sulla natura più della seconda metà del Novecento. Già nel 1928 John Widtsoe, direttore dello U.S. Federal Bureau of Reclamation, affermava:

È destino del genere umano rivendicare per sé la totalità del globo, e il destino della terra è di essere sottomessa dalla mano dell’uomo. Finché ampie porzioni della superficie continueranno a sottrarsi al nostro controllo, tuttavia, il Pianeta non potrà essere conquistato fino in fondo, e il cuore dell’uomo non sarà in pace.

Gli faceva eco Trockij:

L’attuale distribuzione delle montagne e dei fiumi, dei prati, delle steppe, dei boschi e delle coste, non si può considerare definitiva. La macchina consentirà all’uomo socialista di imporre alla natura il proprio volere. […] Sarà lui a stabilire dove sorgeranno montagne e valichi. Modificheremo il corso dei fiumi e piegheremo gli oceani alle nostre regole.

Messi alle spalle gli orrori delle guerre mondiali, l’unica priorità sembrava essere una crescita economica illimitata, fondata sullo sfruttamento sistematico della natura. Anche la dottrina della scuola di Chicago, la scienza economica di stampo liberista che nei Paesi occidentali si affermò come il paradigma dominante, presupponeva come l’agire economico fosse indipendente dai sistemi naturali. L’aria respirabile o l’acqua pulita erano delle variabili da non tenere in considerazione nella pianificazione imprenditoriale e macroeconomica. Analizzando le carote di ghiaccio è stato possibile ricostruire l’andamento del tenore di CO2 nell’atmosfera terrestre nel corso di ottocentomila anni. Fino al 1950 si osserva un’alternanza di periodi caldi ed ere glaciali; da quella data in poi inizia una drammatica impennata di temperature calde senza soluzione di continuità. 

Il biologo Merlin Sheldrake ha passato la vita studiando i miceli, dei funghi silvestri. I suoi studi lo hanno portato a scoprire come questi funghi influiscono nella vita dei boschi. Il micelio consente agli alberi di comunicare tra loro e permette persino ad un albero di trasmettere sostanze nutritive al altri fusti malati o più giovani. È il Wood Wide Web, la rete dei funghi, un sistema di comunicazione interno dei boschi. Un funzionamento simile è quello del microbiota intestinale umano, un continente di organismi che studi, come lo Human Microbiome Project, hanno scoperto che influisce in tutti gli aspetti dell’esistenza umana. Ecco che si forma così uno scenario di complessità biologica in cui tutti gli esseri, incluso quello umano, sono attori interconnessi tra di loro. Secondo le ultime scoperte, il corpo umano ospiterebbe più di quaranta trilioni di batteri, funghi e virus. Un esercito di microbi che rappresenta un genoma collettivo di più di due milioni di geni supplementari ai ventimila che descrivono l’uomo. Questa scoperta scientifica dell’uomo e dell’ecosistema natura destituisce quell’immagine teologica dell’uomo come essere superiore, grazie alla sua intelligenza o anima. La natura oggi si ridefinisce come non più soggiogata, ma infinitamente interconnessa. Natura e uomo sono dunque due concetti il cui significato si mescola, perde di definizioni chiare. La visione di quella parte di mondo, ossessionata dalla crescita, dalla concezione biblica di uomo come ente superiore e diverso dalla natura, non è più reale né tanto meno sopportabile. Blom scrive che l’uomo è “un primate che ce l’ha a morte con se stesso, perché non riesce a onorare l’immagine lusinghiera che si è fatta di sé”. Un’immagine che trasuda eredità teologiche non più credibili, non solo perché dimostrate errate, ma perché con la crisi climatica che incombe non possiamo più permettercela. 

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