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Marco Pantani: morte, sospetti e una vita sempre in salita

Sabato 14 febbraio 2004, il giorno di San Valentino, Marco Pantani è solo. Si è rifugiato nella camera 5D del residence Le Rose di Rimini. Ha 34 anni e la sua carriera oramai è in declino. Eppure solo pochi anni prima aveva lasciato il segno a Courchevel durante il Tour de France, nella sua epica sfida contro Lance Armstrong. Ancora oggi è la giornata di ciclismo più vista nella storia della televisione italiana. Fu la sua ultima scorribanda: la mano alzata a fatica, il volto tirato, gli occhi malinconici. Il Pirata, l’uomo con bandana, la testa rasata, orecchini e piercing al naso, dava il suo addio; lo faceva a suo modo: soffrendo e vincendo.

Quel 14 febbraio durante la mattina, Pantani, sempre più agitato, ha tre conversazioni telefoniche con la reception. Si lamenta di essere disturbato da persone nella stanza accanto, che però è vuota. L’ultima volta, poco dopo le 11:00, chiede al personale di chiamare la polizia.

Pantani aveva la classica conformazione di un scalatore: magro, piccolo, zigomi pronunciati e polmoni potenti. La sua abilità di prosperare nell’aria sottile delle montagne lo aveva portato alla vittoria sia al Giro d’Italia che al Tour de France nel 1998, un risultato raggiunto solo da sei altri ciclisti nella storia. Ma nel 2004 molte cose sono cambiate. Il suo fisico si è imbolsito, ha messo su 20 chili rispetto al peso gara. È ancora una celebrità di fama mondiale, ma la sua immagine, almeno per alcuni, è compromessa. Nel 1999, mentre guidava il Giro d’Italia con più di cinque minuti di vantaggio a due sole tappe dalla fine, la sua gara era finita inaspettatamente nell’ignominia. La mattina della penultima tappa, i Carabinieri lo avevano scortato fuori dall’hotel della squadra: i suoi testi antidoping erano risultati positivi. Dal balcone dell’hotel, i compagni di squadra avevano applaudito il loro capitano, mentre i fan avevano bloccato la strada in segno di protesta per la sua espulsione dalla gara. Dopo aver spaccato per l’ira un vetro nell’albergo, accerchiato dai giornalisti e accompagnato dalle guardie, pronunciò una frase profetica:

In passato sono tornato da due grandi incidenti, ma questa volta, dal punto di vista morale, abbiamo toccato il fondo. Rialzarsi sarà per me molto difficile.

Da qui il buio, da qui Rimini. Il suo mondo era stato sommerso dall’oscurità dalla quale nemmeno lui era riuscito ad emergere.

In serata, dopo aver consultato il proprietario dell’hotel, il receptionist sale alla camera 5D con il pretesto di fornire degli asciugamani puliti. Bussa alla porta, ma non riceve risposta. Dopo un’altra conversazione con il suo superiore, il receptionist ci riprova. Sblocca la porta con un passepartout, sposta via i mobili che barricavano la porta dall’interno e trova Marco Pantani, disteso accanto al letto, morto.

Pantani ha lasciato un’eredità di gloria, vissuta davanti a un pubblico affezionato. Ma non tutti adoravano Pantani e alcuni potrebbero addirittura aver desiderato la sua morte.

marco pantani

Pantani era considerato una ventata d’aria fresca in un panorama dominato da corridori come Miguel Indurain e Jan Ullrich, freddi calcolatori, difficili da battere, ma anche difficili da amare. Pantani era l’antidoto. Che fosse per la sua passione per la Nutella, il suo rifiuto di indossare un casco o un cardiofrequenzimetro, o la sua predilezione per rimanere fuori fino a tarda notte a cantare al karaoke quando gli altri ciclisti erano già a letto, Pantani era diverso. Era un outsider.

Voleva fare con la sua bicicletta quello che un artista faceva con il suo pennello.

Matt Rendell, biografo di Pantani

Non erano solo le vittorie, ma il modo in cui Pantani vinceva che affascinava i tifosi. Era lo stile, la verve, il modo così pervicace con cui scalava, chinato sul manubrio con le mani in basso e lo sguardo spiritato. Era il modo in cui si allontanava dagli altri, apparentemente senza sudare. Il Pirata correva con il cuore in mano: tutto o niente, vita o morte.

Dopo aver vinto la tappa cruciale del Giro d’Italia del 1998 sulla cima del Montecampione, spiegò la sua strategia:

Pensavo solo: o funziona o perdo tutto. Non avevo alternative. Dovevo vedere, sapere chi era il più forte.

Nel Tour de France del 1994, Pantani batté il record di velocità sulla salita dell’Alpe d’Huez, una salita quasi mitica con 21 tornanti stretti; un record entrato nella storia della Grande Boucle. Ci riprovò 3 anni dopo, quando si avvicinò a quattro secondi dal suo stesso record. Ma la gloria eterna arrivò un anno dopo.

marco pantani

Il Tour del 1998 fu controverso: un dirigente del team Festina fu scoperto a portare sostanze dopanti e la squadra fu espulsa, i corridori furono arrestati e il peloton entrò in sciopero. La corsa era in crisi e aveva bisogno di un eroe. Pantani aveva tre minuti di ritardo sul campione in carica, Ullrich. Era una fredda e piovosa giornata sulle Alpi. Il Pirata attaccò Ullrich sul Colle del Galibier, guadagnando quasi tre minuti, e scese velocemente dall’altro lato della montagna, correndo rischi enormi in condizioni che dovevano sembrare apocalittiche. Ullrich giocò prudente, credendo che Pantani avrebbe ceduto nell’ultima salita. Ma non lo fece.

Il Pirata scompariva dalla riprese televisive e ricompariva come un anacoreta, avanzando in solitaria attraverso la nebbia, verso Les Deux Alpes e verso il traguardo. Alla fine della quindicesima tappa, aveva guadagnato nove minuti su Ullrich, il cui calcolo si era rivelato terribilmente errato.

Quella del 1998 sembrava l’inizio di qualcosa di più grande, il culmine di una carriera famelica di altri successi, e invece dieci mesi dopo l’inizio della fine. Pantani aveva dominato il Giro d’Italia del 1999 e sembrava sicuro di vincere con due tappe ancora da disputare quando fu espulso dalla gara. Tutti – il peloton, i giornalisti e i tifosi – caddero in uno stato di shock. Il Pirata divenne una figura liminale, sospesa tra l’attesa di una vittoria storica davanti al suo pubblico e la frustata di un risveglio improvviso, rapido e brutale. I suoi livelli di ematocrito erano due punti oltre il limite del 50%. Per Pantani fu l’inizio della fine.

Coloro che gli erano stati vicino dicono che è stato in quel momento che ha iniziato a fare uso regolare di cocaina. La sua paranoia aumentava, convinto di essere preso di mira ingiustamente mentre il ciclismo cercava di ripulire la propria immagine. Fu ricoverato in una clinica per disintossicarsi e nell’ottobre del 2003 disse ai suoi fan di “dimenticare Pantani l’atleta“.

Mentre era in vacanza a Cuba, Pantani scarabocchiò sul suo passaporto:

Il campione che ero non esiste più. È lontano dall’uomo che sono diventato. Se i miei fan ancora mi applaudono, non è per affetto, ma per bisogno di una personalità. Sono stato umiliato senza motivo. Per quattro anni, ho affrontato ogni tribunale. Regole, sì, ma uguali per tutti.

Quattro mesi dopo era morto, e quelle parole passarono di bocca in bocca dopo che il passaporto fu trovato nella sua camera d’albergo. Al suo funerale, la madre Tonina denunciò i media che erano apparsi, gridando: “Siete tutti responsabili della morte di mio figlio. Cosa ci fate qui?” Oltre 20.000 persone si riversarono per le strade di Cesenatico mentre la sua bara veniva portata fuori dalla chiesa. Un’indagine sulla morte di Pantani stabilì che era morto a causa di un’overdose accidentale di cocaina. Ma nel novembre 2021, grazie a nuove prove scoperte quasi per caso, fu annunciato in modo sensazionale l’apertura di un’altra inchiesta che collegava la sua squalifica dal Giro d’Italia del 1999 e la sua morte a una possibile connessione con la mafia.

Nel 2016, durante una conversazione intercettata da un’indagine della polizia del tutto slegata dal caso Pantani, uno dei due interlocutori menzionò il coinvolgimento della mafia di Napoli – la Camorra – nella morte di Pantani.

Lorenzo Bodrero, Pantani: Morte di un Pirata

Le voci sul coinvolgimento della mafia nella morte di Pantani erano circolate per anni. Ora la polizia aveva trovato prove che sembravano sostenere questa teoria. C’era anche la testimonianza di Fabio Miradossa, il pusher del ciclista.

Quest’uomo era il suo fornitore, quello che gli vendeva cocaina. È convinto che Marco non sia morto per cause naturali. Miradossa ha detto che Pantani usava cocaina, ma non era un consumatore così abituale da portarsi alla morte nel giro di pochi giorni.

Lorenzo Bodrero, Pantani: Morte di un Pirata
marco pantani

Nella vicenda del test antidoping di Pantani al Giro d’Italia del 1999, Renato Vallanzasca sostenne che i suoi contatti con la mafia avevano previsto la drammatica conclusione della corsa.

Un membro di un clan camorristico, mio vicino di cella, mi consigliò fin dalle prime tappe di puntare tutti i soldi che avevo sulla vittoria dei rivali di Pantani. Alle mie obiezioni sulla forza dimostrata in salita dal Pirata, rispondeva: “Non so come, ma il pelatino non arriva a Milano. Fidati”.

Renato Vallanzasca

La Commissione Antimafia aveva riscontrato “diverse e gravi” anomalie intorno al campione di sangue prelevato al Giro del 1999. Scoprirono che il flacone contenente il sangue di Pantani era stato contrassegnato con il suo nome quando, secondo le regole per garantire l’anonimato dei ciclisti, avrebbe dovuto essere identificabile solo da un numero. La commissione aveva anche scoperto che il campione di sangue di Pantani era stato prelevato un’ora prima di quanto indicato in un caso giudiziario precedente, aprendo una finestra di tempo in cui il suo campione poteva essere manomesso.

Ci sono altre anomalie legate alle circostanze della sua morte che non sono mai state completamente spiegate. Secondo il professor Giuseppe Fortuni, all’epoca docente di medicina legale presso l’Università di Bologna, il corpo di Pantani conteneva oltre sei volte la dose letale di cocaina, una quantità praticamente impossibile da assumere per scopi ricreativi.

Sono convinto che Marco sia stato ucciso. Stava cercando la verità. Stava cercando qualcosa. Dalla mia esperienza e dalle foto e video che ho visto, Marco non ha assunto droghe in quella stanza. Non c’erano attrezzature per fumare cocaina, che era il metodo preferito di Pantani per assumerla. Ma c’era cocaina in parti del suo corpo che suggerivano che l’avesse sniffata. Marco non sniffava, quindi chi ha gestito la scena del crimine non era a conoscenza di questo fatto.

Fabio Miradossa

Tonina Pantani è stata il propulsore che ha spinto per per ulteriori indagini sulla morte del figlio.

Sono convinta che Marco non sia morto lì. C’erano troppe cose. Cose strane…non sue abitudini. Lui si addormentava davanti alla TV. In quell’hotel, la TV era nell’atrio con i divani. Sono sicura che non ha dormito sopra [nel soppalco della camera d’albergo dove c’era il letto e dove è stato trovato il suo corpo], ma sotto invece. Sopra era tutto in ordine, niente disordine. Ma sotto c’era il caos. La stanza era capovolta. Ho chiesto al direttore dell’hotel se ci fossero danni da pagare; mi ha detto: ‘No signora, niente è stato rotto, tutto è stato semplicemente smontato’. Cosa stavano cercando? […] Vidi Marco nella bara. L’ho toccato, le sue mani. Come avrebbe potuto fare un tale disordine in camera senza un graffio? C’erano graffi sul suo viso che mi hanno fatto pensare se lo avessero picchiato prima di morire.

Tonina ha anche sostenuto che il berretto da baseball di suo figlio fosse scomparso, mentre due giacche trovate in camera non gli appartenevano.

Altri indizi, dettagli e voci sono emersi in questi ultimi anni. C’è chi sostiene che una somma di denaro di qualche decina di migliaia di euro fosse scomparsa dalla camera del ciclista. Chi che fossero stati trovati due contenitori di cibo cinese, ed era risaputo che Pantani lo detestava.

Ci sono anche altre spiegazioni. È possibile che Pantani, paranoico e sotto l’influenza della droga, abbia smontato da solo la stanza? In vacanza a Cuba aveva distrutto mobili mentre era sotto l’effetto della cocaina. L’ultima indagine sulla sua morte è ancora in corso. Forse finalmente sapremo la verità o forse no. E anche se così fosse, se continueremo ancora a nutrirci di voci e sospetti, avremo pur sempre una solida certezza: la leggenda del Pirata non morirà mai. E ogni volta che guarderemo una salita ci tornerà alla mente quanto scritto da Adriano De Zan:

Non c’è niente da fare… quando la strada si rizza sotto i pedali Pantani è il più forte.

Questo post si rifà all’articolo scritto da Drew Savage e pubblicato su BBC Sport

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