oj simpson processo

Il caso O.J. Simpson

Sono le 11 del mattino del 17 giugno del 1994. Due poliziotti si presentano al 16254 di Mandalay Drive a Encino, uno dei più lussuosi quartieri di Los Angeles. Bussano. A riceverli è Robert Kardashian, il proprietario della villa. Con lui ci sono l’avvocato Robert Shapiro e diversi medici. Ma i poliziotti non sono lì per loro. L’uomo che stanno cercando è l’ex campione di football americano, Orenthal James Simpson.

oj simpson inseguimento
L’inseguimento della Ford Bronco | Foto: Peter Read Miller/Sports Illustrated

Sono le 2 del pomeriggio e circa 75 milioni di americani sono incollati al televisore per vedere in diretta l’inseguimento della polizia di una Ford Bronco bianca. La NBC ha addirittura interrotto la diretta della gara 5 NBA Finals 1994 e l’inaugurazione del Campionato mondiale di calcio. L’auto è di proprietà di AC Cowlings, amico e compagno ai tempi del college di O.J. Simpson. La polizia è stata avvertita che Simpson è nell’auto di Cowlings e gli sta puntando una pistola alla tempia, per questo seguono l’auto senza cercare di speronarla o bloccarla per più di un’ora. Poi la vettura si ferma a Brentwood, dove vive la star americana. Mentre gli agenti circondano la casa, Cowlings scende dall’auto gridando il suo nome con le mani in alto. Simpson, invece, rimane nella vettura per circa un’altra ora, minacciando di uccidersi. Poi, alla fine si arrende. La polizia gli confisca la pistola, dei baffi e un pizzetto falsi, più una foto di famiglia che aveva tenuto con sé durante l’inseguimento. Gli permettono di entrare in casa, usare il bagno e telefonare alla madre, dopodiché in diretta TV lo ammanettano per portarlo al dipartimento di polizia. Inizia così il caso People of the State of California vs Orenthal James Simpson, il processo più famoso della storia degli USA.

O.J. Nicole Brown
O.J. e Nicole Brown | Foto: Ron Galella

Il processo iniziò il 24 gennaio 1995, e vide uno dei più grandi giocatori nella storia del football americano accusato di duplice omicidio. Il 12 giugno 1994 il corpo della sua ex moglie, Nicole Brown, venne trovato trucidato davanti alla sua abitazione all’875 di South Bundy Drive, una via tranquilla di Brentwood, il distretto più ricco di Los Angeles. Accanto a Nicole la polizia trovò un’altra vittima, Ron Lyle Goldman, 25 anni, cameriere che era passato consegnarle gli occhiali da sole che la madre di lei aveva dimenticato poco prima al ristorante. Secondo il referto dell’autopsia, la donna ricevette 12 coltellate e aveva la testa quasi mozzata, sul corpo del giovane invece vennero rinvenuti i segni di 20 coltellate. Fin da subito, i sospetti caddero sull’ex running back, più volte denunciato dalla Brown per violenza domestica. Ad aggravare le accuse, il ritrovamento nel giardino della casa di guanti con macchie di sangue compatibili con quello di Simpson.

oj simpson guanti
La famosa scena in cui Simpson indossa i guanti ritrovati sulla scena del delitto

Se la strategia dell’accusa puntava sul movente della gelosia, sottolineando il carattere violento di Simpson e facendolo apparire come un cattivo padre e marito, mai rassegnatosi alla separazione, quella della difesa, nota come il Dream Team – tra le fila figuravano avvocati noti come da F. Lee Bailey, Robert Blasier, Shawn Chapman Holley, Roberto Shapiro, Alan Dershowitz, Robert Kardashian e Johnnie Cochran – puntò tutto a smontare le prove e, soprattutto, introdusse un elemento che via via divenne il filo conduttore dell’intera linea difensiva: la discriminazione razziale. Simpson era ricco e famoso, ma, soprattutto, nero, e per questo i poliziotti coinvolti, prevalentemente bianchi, secondo la difesa l’avrebbero voluto incastrare. Oltretutto, furono trovati dei nastri in cui il detective Mark Fuhrman, che aveva seguito il caso, si scagliava verbalmente contro i neri con epiteti piuttosto pesanti e dichiarava che quando c’è la certezza della colpevolezza “…in qualche modo le prove saltano fuori”.

Non solo abbiamo giocato la carta della razza, ma l’abbiamo giocata sottobanco.

Robert Shapiro

La fede nell’innocenza o nella colpevolezza di Simpson si divise in gran parte su posizioni razziali: la maggioranza degli afroamericani erano a sostegno dell’accusato, quella degli americani bianchi credeva nella sua colpevolezza. Milioni di persone guardarono per giorni interi lo svolgimento televisivo di quello che fu definito “il processo del secolo“; non è un caso che le principali figure coinvolte diventarono in seguito delle celebrità.

Celebre fu il momento in cui O.J. Simpson dovette indossare i guanti trovati nell’appartamento di Brentwood. Scena che ispirò la celebre requisitoria finale di Johnnie Cochran, che ricordando l’episodio disse: “If it doesn’t fit, you must acquit“, ovvero “Se non calzano, dovete assolverlo“. Il 3 ottobre 1995, dopo 253 giorni di processo, la giuria decise per l’innocenza di O.J. Simpson, tra le polemiche generali, soprattutto per la velocità con la quale era stato raggiunto il verdetto. Dopo l’assoluzione, i sondaggi dell’opinione pubblica continuarono a dividersi, scatendando accesi dibattiti su questioni come l’uguaglianza razziale, la violenza di genere, gli abusi domestici, la giustizia nei confronti delle persone famose e le condotte a volte discutibili da parte della polizia americana. Se fu scagionato in sede penale, O.J. Simpson fu invece condannato in sede civile per danni alle famiglie della Brown e di Goldman. Il processo si concluse con il verdetto unanime di colpevolezza, e Simpson fu costretto a risarcire le famiglie per un totale di 67 milioni di dollari. Il motivo del ribaltamento della sentenza civile è nel fatto che, a differenza del penale, non è necessario andare “oltre ogni ragionevole dubbio”.

oj simpson processo
Foto: Sam Mircovich/Pool Photo

Nel 2007 uscì If I did it: Confessions of the Killer, un libro che riassumeva l’intervista fatta dal giornalista e sceneggiatore Pablo Fenjves a Simpson sui fatti accaduti nella notte tra il 12 e il 13 giugno del 1994. Il libro, attesissimo, sarebbe dovuto uscire nel 2006, ma la sua pubblicazione fu sospesa a causa delle enormi attenzioni e pressioni mediatiche che si svilupparono. L’anno dopo i diritti del libro passarono ai familiari di Goldman, come parte del risarcimento della causa civile. A creare ancora più mistero e polemica sul caso O.J. Simpson furono le dichiarazioni del 2012 rilasciate dal serial killer, Glen Edward Rogers, detenuto nel braccio della morte, il quale avrebbe confessato al fratello Clay e a un criminologo di essere il vero autore del duplice omicidio, avvenuto durante una rapina commissionata dallo stesso Simpson: le sue dichiarazioni non ebbero mai seguito in tribunale.

La parabola di uno degli sportivi più iconici della storia statunitense si concluse amaramente nel settembre del 2007, quando Simpson e alcuni complici fecero irruzione, armi in pugno, nel Palace Station hotel & casino di Las Vegas, per rubare alcuni memorabilia appartenuti allo stesso campione (palloni e magliette autografate, trofei, e perfino una foto in cui è insieme al capo dell’FBI, J. Edgar Hoover). Venne condannato in primo grado a 33 anni di carcere. Fu rilasciato dopo 9 anni per buona condotta. 

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