serena williams madre ritiro
Foto: Corinne Dubreuil

Serena Williams, madre o atleta?

Se sei una donna, qualunque sia la tua professione, la tua estrazione sociale o culturale, prima o poi nella tua vita e nella tua carriera dovrai fare i conti con il famoso double standard. Si tratta di una pratica connaturata alla nostra società, largamente patriarcale, in base alla quale al verificarsi di un evento si fornisce un giudizio diverso in base alla persona coinvolta. Un esempio su tutti: un uomo che sceglie di tornare a lavoro poco tempo dopo essere diventato padre è una persona responsabile e attenta ai bisogni della famiglia, una donna che fa la stessa scelta è una cattiva madre che non si prende cura dei suoi figli. È perfettamente chiaro il modo in cui il double standard si presti in maniera assolutamente perfetta ad un’applicazione in ambito sportivo. In questo caso, ad avvalorarlo è la stessa biologia che, spesso non viene in aiuto alle donne. Ad attirare l’attenzione dell’opinione pubblica, sono state le recenti dichiarazioni della pluricampionessa Serena Williams, la quale, ancora una volta, ha ritenuto importare denunciare la disparità che da sempre regna tra atleti uomini e donne. Una disparità che, purtroppo, non si basa solo sulle evidenti differenze anatomiche tra i due sessi, ma sulla percezione sociale delle sportive rispetto ai colleghi uomini.

serena williams madre ritiro
Foto: Corinne Dubreuil

Quando, ad esempio, si parla dei più grandi tennisti degli ultimi decenni, la Williams viene spesso paragonata alle colleghe Martina Navratilova o Steffi Graf, ma non si fai mai alcun riferimento agli altrettanto noti: Roger Federer, Rafa Nadal o Novak Djokovic. Perché?

Terreno ancora più fertile per la discriminazione delle atlete donne è quello che tiene conto dell’aspetto puramente biologico e fisiologico dell’atleta. Parliamo di maternità. E proprio a questo proposito che Serena Williams ha lanciato la sua invettiva contro il mondo dello sport tutto, poiché è stata messa davanti ad una scelta che nessun uomo ha mai dovuto affrontare: avere altri figli o continuare a giocare.

Sono passata da un taglio cesareo a una seconda embolia polmonare fino a una finale del Grande Slam. Ho giocato mentre allattavo. Ho giocato attraverso la depressione postpartum. […] Se fossi un ragazzo, non lo scriverei perché sarei là fuori a giocare e vincere mentre mia moglie starebbe facendo tutto lo sforzo per espandere la nostra famiglia.

Serena Williams

Federer, 41 anni, ha vinto cinque dei suoi titoli del Grande Slam dopo essere diventato padre per la prima volta nel 2009, e tre dopo che sua moglie ha dato alla luce una seconda coppia di gemelli nel 2014. L’impatto più grande che hanno avuto i quattro figli sul suo corpo è stato il bisogno di un intervento chirurgico nel 2016 perché si era storto il ginocchio mentre stava preparando il bagnetto.

Djokovic, 35 anni, ha vinto cinque dei suoi titoli del Grande Slam dopo la nascita di suo figlio nel 2014, e tre dopo la figlia nel 2017. Un paio di anni fa ha accennato al fatto che vorrebbero avere più figli. Quando Djokovic ha parlato di come la paternità ha influenzato il suo tennis, è spesso in termini di come gli ha insegnato a essere una persona e un giocatore migliore.

Nadal, 36 anni, ha annunciato a giugno che sua moglie sta per avere un bambino. Così ha vinto l’Open di Francia all’inizio di quel mese mentre sua moglie era nelle prime fasi della gravidanza. La Williams, invece, ha vinto gli Australian Open nel 2017 mentre era incinta di due mesi, cosa che, come scrive lei stessa, sembra “quasi impossibile“.

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Foto: Bruno Aveillan

Per gli uomini la paternità è solitamente inquadrata come un’opportunità per una sorta di cambiamento spirituale. Per la Williams diventare madre è stato quello e anche tre cicli di chirurgia d’urgenza: uno in cui le sono stati tagliati lo stomaco e l’utero; un altro in cui hanno trovato l’ematoma che le aveva inondato l’addome; e un terzo in cui hanno inserito un filtro in una vena per fermare dei coaguli di sangue nei polmoni per poi passare sei settimane senza alzarsi dal letto.

Ma, sia nel corso della gravidanza che durante i primi mesi di vita della piccola, non ha mai smesso di collezionare medaglie e vittorie. Purtroppo, però, il suo fisico le richiede sempre più un impegno più grande e, da qui, la decisione di abbandonare lo sport per allargare la famiglia. Il punto centrale, per la Williams, è che anche in questo campo il trattamento riservato a uomini e donne è fortemente impari. Nessuno dei suoi colleghi, infatti, ha mai subito le “conseguenze” del diventare genitore se non in modo positivo: chi è diventato un uomo migliore, chi ha trovato un nuovo stimolo per fare meglio, chi ha coronato l’ennesimo sogno. Nessuno ha mai subito il disagio che tutte le atlete madri vivono ogni giorno, un disagio che è fisico ma, molto più spesso, psicologico.

Nonostante a pochi mesi dalla gravidanza o nei primi mesi di questa, molte atlete scendono in campo e raggiungono traguardi altissimi, il loro ruolo appare comunque sottostimato. Non solo spesso sono considerate la versione B del vero sport praticato dagli atleti uomini, ma il loro stipendio rispecchia perfettamente questo doppio standard di giudizio. Quello che le atlete chiedono è che il loro valore venga riconosciuto al pari dei colleghi uomini e che si cerchino nuove regole all’interno delle società sportive che possano tutelare le donne che decidono di diventare madri, senza metterle davanti ad una scelta terribile. Circola sui social una storia che racconta in modo molto semplice il double standard.

Uomini e donne si prestavano a cominciare una gara di corsa. Subito prima del via alle donne fu dato un carico da portare sulle spalle. Dopodiché scattò il via e tutti partirono. Gli uomini arrivarono per primi. Quando le donne si lamentarono del fatto che il loro carico le aveva rallentate gli uomini dichiararono di non vedere nessun carico.

Il carico esiste ed è fatto di tante piccole differenze biologiche e sociali con le quali ogni giorno le donne, atlete e non, devono confrontarsi. Il compito di tutti è imparare a vederlo.

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