mata hari

La vera storia di Mata Hari

Quando alle prime ore del mattino suor Léonide apre la cella della prigione di Saint-Lazare, il carcere femminile del X arrondissement di Parigi, non è sola. Con lei ci sono il colonnello Somprou, il capitano Thibaud e l’avvocato Clunet. Nella cella ci sono 3 prigioniere, ma loro sono lì solo per una. Il capitano Thibaud le se si avvicina, la sveglia dolcemente e le sussurra: “Madame, fatevi coraggio. Il Presidente della Repubblica ha respinto la vostra domanda di grazia. Mi dispiace, madame. È ora“. Gli occhi neri e avvolgenti della donna prendono vigore dal torpore del sonno. Guarda tutti, persino il  suo avvocato e amante disilluso, monsieur Clunet, che a fatica trattiene le lacrime. Lei rimane impassibile. Dopo che un prete la battezza, come da sue volontà, mentre gli uomini escono, suor Léonide le porge biancheria pulita e il suo abito, l’ultimo che indosserà in questa vita. Un abito grigio di haute couture, una pelliccia, lunghi guanti bianchi e un cappello di Firenze. La condannata a morte più elegante che quelle prigioni abbiamo mai visto e mai vedranno. Un’altra suora, suor Marie entra nella cella per accompagnarla fuori. Anche lei non trattiene le lacrime. “Non abbiate paura per me, sorella. Saprò morire. State per assistere ad una bella morte.

Scortata dalle due suore, la donna viene portata su una vettura verso il poligono di tiro dello Château de Vincennes. Davanti a lei un drappello di dragoni a cavallo che sembrano indirizzarle la via verso il plotone di esecuzione. Si posiziona nel punto indicato dalle guardie; di fronte giovani uomini che probabilmente anni prima avevano fantasticato o semplicemente ascoltato voci su quella donna, che ora con lo stesso sguardo sensuale e ammaliante con cui la immaginavano fissa le canne dei loro fucili. Il capitano Thibaud legge ad alta voce: “Con sentenza del terzo tribunale di guerra, la nominata Zelle è stata condannata a morte per spionaggio.

Sono le sei del mattino del 15 ottobre del 1917 e Margaretha Geertruida Zelle, più nota come Mata Hari, è pronta a morire.

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Nata in Frisia e svezzata nell’agiatezza, si trovò presto a dover fare i conti con l’indigenza dopo il tracollo finanziario della sua famiglia. Iniziò una danza di abbandoni (il padre abbandonò la famiglia per andarsene con un’altra donna), lutti (la madre morì l’anno seguente), parenti come tutori e continui spostamenti da una città a un’altra. Il padrino a cui era affidata la tutela della giovane Zelle decise che la cosa migliore per lei fosse una carriera da maestra elementare, così la mandò a Leida. Zelle era una ragazza di una bellezza rara. Un suo compagno la paragonò a un’orchidea in un campo di denti di leone, per via di quella sua bellezza mediterranea, dai lineamenti esotici e dagli occhi neri e piacenti. Una bellezza che conquistò anche il suo insegnante che le dedicò attenzioni speciali, fin troppe. Il padrino allora se ne sbarazzò affidandola ad uno zio. Ma la 18enne decise che era ora di prendere il controllo della propria vita; rispose a un annuncio pubblicato sul giornale da un ufficiale del Regio Esercito olandese, un certo capitano Rudolph MacLeod, che voleva conoscere e sposare “una ragazza dal carattere amabile“. Le sembrava la via più facile per una vita migliore. Si sbagliava.

Nell’afa dell’isola di Sumatra dove il capitano era stanziato, non c’era posto per le comodità alle quali Margaretha era abituata. Non sopportava nulla di quell’isola. Non intravedeva nessun futuro. Il marito, più vecchio di lei, era geloso e un accanito bevitore. A peggiorare la situazione, la giovane donna scoprì che le aveva trasmesso la sifilide, una malattia molto diffusa tra i soldati coloniali. La coppia ebbe 2 figli: Louise Jeanne e Norman. Un giorno entrambi i figli si ammalarono, probabilmente di sifilide congenita. Il medico militare, non avendo nessuna esperienza come pediatra e abituato a trattare adulti, somministrava ai piccoli delle dosi di farmaci eccessive, che questi rigettavano contorcendosi dal dolore. Alla fine Norman morì quando aveva appena 2 anni. Maldicenze dicono che fosse stata la domestica batak ad avvelenare il bambino. Ma tutti sapevano cosa avesse causato la morte del piccolo, al punto che il capitano MacLeod fu declassato e confinato in una piccola stazione remota. In quel posto sperduto sull’isola di Giava la coppia viveva senza neppure nascondere l’odio reciproco. Lì all’estrema periferia della civiltà Margaretha consumò il suo odio e la sua disperazione. Ma una notte, invitata da un signorotto del posto ad uno spettacolo di danza tradizionale, rimase folgorata; si rianimò. Quelle movenze sinuose a ritmo del Gamelan le avevano sconvolto i sensi. Dagli scalini dello joglo, l’edificio giavanese che aveva ospitato quell’esibizione, non uscì più Margaretha Geertruida Zelle, moglie infelice di un capitano ubriacone e sifilitico, ma Mata Hari, Occhio del sole, misteriosa danzatrice pronta alla conquista del centro del mondo, l’Europa, Parigi.

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Mata Hari posa con un vestito di pizzo agli inizi del XX secolo
Foto: Robert Hunt / Age Fotostock

I grandi boulevard, illuminati di giorno e di notte, dell’urbanista Georges-Eugène Haussmann; i lussuosissimi Maxim’s e Le Train bleu; l’Art Nouveau, la gioielleria Tecla, la cioccolateria Debauve&Gallais e l’iconico Lavirotte; il Trocadéro café, Montmartre e le avanguardie, l’esposizione universale e la Torre Eiffel. Era la Belle Époque e Parigi era la capitale del mondo. Mata Hari, lasciati marito e figlia, si catapultò in quella metropoli dalle mille luci. Ma la sua ingenuità era più grande della sua ambizione. Sola, senza un franco, tirava a campare come modella per pittori scapestrati, con qualche particina in infimi teatri e anche come meretrice. Tutto questo fin quando non trovò un amante dal portafoglio pieno, il primo di una lunga serie, il barone Henri de Marguérie, che la introdusse nel suo mondo. 

Fu così che nel 1905 apparve sulla scena parigina una danzatrice esotica di nome Mata Hari. La sua prima performance fu un’esibizione presso un centro di arte orientale, il Museo Guimet. Gli invitati erano 600 rappresentanti dell’élite economica della capitale. Mata Hari, vestita con un abito trasparente, un reggiseno tempestato di pietre preziose e un affascinante copricapo, si esibì in danze assolutamente inedite. Fu un successo. Fu uno scandalo. Le signore furono sconvolte e i signori si innamorarono. Tutti la cercavano; era la femme fatale. Si esibiva nei salotti dei potenti che volevano essere a-la-page. I suoi balli rimandavano a storie di lussuria, gelosia, passione e vendetta. Ogni movimento svelava parte di sé, fin quando alla fine dell’esibizione rimaneva denudata, coperta solo da cascate di gioielli e collane. Per evitare di finire arrestata per indecenza, Mata Hari anticipava ogni esibizione raccontando che si trattava di danze sacre, apprese nei templi indù accessibili solo a pochi.

La mia danza è un poema sacro […] Bisogna sempre trasmettere le tre tappe che corrispondono agli attributi divini di Brahma, Vishnu e Shiva: creazione, fecondità e distruzione

Alimentava i pettegolezzi; si faceva vedere in compagnia di aristocratici, diplomatici, finanzieri e alti ufficiali. Giravano persino voci sulle sue abilità nel creare elisir d’amore. Si esibiva al Trocadéro, al Moulin Rouge, all’Olympia e in tutti i più importanti teatri d’Europa. Il Times la descrisse come “..un’avvenenza che sconfina nell’incredibile, con una figura dal fascino strano e dalle movenze di una belva divina che si conduca in una foresta incantata.”

Poi la guerra e tutto finì. Era a Berlino per uno spettacolo quando il principe ereditario Francesco Ferdinando veniva assassinato. Fine della Belle Époque e fine di Mata Hari. O forse no?

Apolide, senza più un soldo e alla mercé dei suoi amanti. Tentò di ritornare a Parigi, ma venne bloccata in Svizzera e rimandata indietro. Con l’aiuto di un amante, l’ennesimo, riuscì a ritornare nei Paesi Bassi, all’Aia. Lì nell’autunno del 1915 ricevette la visita Karl Kroemer, il console onorario tedesco ad Amsterdam. Voleva arruolarla come spia tedesca e per questo le offrì 20mila franchi. Mata Hari accettò la somma, che considerò un risarcimento per le pellicce, i gioielli e i soldi che i tedeschi le avevano fatto perdere spedendo i suoi bagagli chissà dove, ma non accettò l’incarico. Con i soldi di Kroemer s’imbarcò su una nave verso la Francia, facente scalo a Folkestone, un porto britannico. Mata Hari fu interrogata da un ufficiale dei servizi segreti e perquisita, ma non fu trovato nulla di incriminante, anche se l’ufficiale annotò: “Parla francese, inglese, italiano, neerlandese e probabilmente tedesco. Bella, un tipo coraggioso. Vestita alla moda. Non è esente da sospetti […] Non dovrebbe esserle concesso il permesso di tornare nel Regno Unito“.

A Parigi, tra le camere del Grand Hôtel, uno dei pochi edifici risparmiati dalle devastazioni della guerra, le sembrò di ritornare alla vita di qualche anno prima. Circondata da spasimanti, ammirata, richiesta. In quella ridda di uomini, allarmi e bombe non si accorse di essere seguita. Georges Ladoux, a capo del Deuxième Bureau de l’État-major général, i servizi segreti francesi, aveva ordinato ai suoi agenti di pedinarla. Le controllavano persino la corrispondenza, ma nessuna prova fu trovata. Era il periodo del carnaio delle Somme e dei primi tentativi tedeschi di usare le armi chimiche. Ignara delle trame che si tessevano attorno a lei, Mata Hari si innamorò perdutamente di Vladimir “Vadim” Maslov, un giovane e pluridecorato capitano russo, vittima del fosgene che lo aveva reso orbo. Mata Hari accettò con entusiasmo la sua proposta di matrimonio. Nella speranza di ottenere un lasciapassare per l’ospedale in cui era ricoverato il suo futuro marito, la donna chiese aiuto a un suo amante, Jean Hallaure, il quale lavorava per il ministero della guerra. Ma Hallaure, a insaputa della danzatrice, lavorava anche per il Deuxième Bureau. L’accordo era semplice: il lasciapassare in cambio dei suoi servigi come spia. Mata Hari accettò in cambio di un milione di franchi, cifra che le avrebbe permesso di mantenere Vadim dopo il matrimonio nel caso in cui la sua famiglia di lui lo avesse ripudiato. Come da ordini, si imbarcò dalla Spagna in direzione Olanda, in attesa di nuove missioni. Ma durante il viaggio venne fermata di nuovo in Inghilterra e questa volta gli agenti la trattennero. Nel tentativo disperato di farsi rilasciare, disse di essere una spia francese in missione. Quando gli agenti contattarono Ladoux, questi rispose: “Non capisco nulla. Rimandate Mata Hari in Spagna“. Nei registri britannici la risposta di Ladoux fu interpretata così: “Sospettava da tempo di lei e aveva finto di assumerla al suo servizio per cercare di ottenere la prova definitiva che lavorava per i tedeschi. Sarebbe stato felice di sapere che erano stati trovati indizi concreti della sua colpevolezza“. Tornata in Spagna entrò in contatto con il maggiore tedesco Arnold Kalle e riuscì a carpire informazioni strategiche su alcune manovre dei sottomarini tedeschi. Provò più volte a contattare Ladoux, ma questi, che nel frattempo ordinò l’intercettazione e il controllo di tutti i messaggi radio tra la capitale spagnola e Berlino tramite una stazione installata sulla torre Eiffel, non rispose mai ai suoi messaggi. Il 12 febbraio del 1917, Mata Hari disperata, senza soldi e senza più notizie sul suo amato Vadim, venne arrestata in un’infima camera d’albergo con l’accusa di spionaggio in favore della Germania.

Foto segnaletica di Margaretha Zelle, cattata poco dopo il suo arresto il 13 febbraio del 1917 – Foto: Dea / Getty Images

Fu interrogata dal più terribile giudice francese, Pierre Bouchardon, un uomo duro e odiatore seriale delle donne “dai costumi immorali” e mangiatrici di uomini, come la bella olandese. Bouchardon la fece incarcerare nel terribile carcere di Saint-Lazare, dove la danzatrice era costretta a dormire in una cella infestata dalle pulci e dai ratti. Privata di contatti con l’esterno e senza accesso a medicine, vestiti e biancheria pulita, fu rinviata a giudizio con otto capi di accusa. L’unica prova contro di lei erano i telegrammi di Ladoux e i messaggi radio, che oggi risultano manipolati. Tant’è che lo stesso Ladoux venne arrestato qualche mese dopo con l’accusa di spionaggio. Durante i mesi di processo, maldicenze e dicerie saltavano di bocca in bocca. Si diceva che Mata Hari avesse causato la morte “di circa 50mila dei nostri figli, senza contare quelli che erano a bordo delle imbarcazioni silurate nel Mediterraneo grazie alle informazioni da lei fornite.

Le accuse contro di lei erano vaghe e fu sempre più chiaro che quel processo non era contro Mata Hari la spia, ma contro Mata Hari la danzatrice, l’amante sensuale. Nessuno però prese in modo netto le sue difese, ad eccezione di Henri de Marguerie, amante di Mata Hari dal 1905.

Non si è mai verificato nulla che possa compromettere la buona opinione che ho di questa donna.

Henri de Marguerie

Il barone accusò Bouchardon per aver messo in scena uno spettacolo che si reggeva su menzogne. Di fatto, lo stesso procuratore avrebbe in seguito confessato che non c’erano abbastanza prove. Ma dopo due giorni di giudizio i sette membri della giuria condannarono a morte Margaretha Zelle per attività spionistica a favore della Germania.

Così eccola sul patibolo quel 15 ottobre, fiera e impavida. Il sergente maggiore alza la lama. “Charger!
Viser!
Feu!

Mata Hari cadde e nel silenzio del freddo mattino invernale si ode solo il commento del comandante: “Per Dio! Questa donna sa come morire“.

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