proteste piazza

Perché le nostre proteste non sono più efficaci?

Nel Libro I della Repubblica Socrate fa la conoscenza dell’impulsivo Trasimaco e della sua idea di giustizia “realista”, sintetizzabile nel laconico: “Il giusto è l’utile del più forte“. Trasimaco ci dice che ogni legge viene promulgata dal potere, il cui solo interesse è il suo mantenimento. Ciò che è giusto, dunque, equivale a ciò che è reputato giusto dal potere, dal più forte; il potere ha se stesso come solo argomento. Un pensiero che si è silenziosamente insinuato nel pensiero politico e filosofico dell’Occidente, al punto che Marx ne L’Ideologia Tedesca scrive: “Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti“.

Ancora oggi, la stragrande maggioranza delle persone continua ad essere dominata da un piccolo sottogruppo della popolazione, che possiede un’estrema ricchezza. Il Rapporto sulla disuguaglianza mondiale del 2022 ha rilevato che il 10% della popolazione assorbe il 52% del reddito globale, lasciando alla metà più povera solo l’8,5%. Il possesso della gran parte del capitale e della terra consente loro di esercitare il controllo sulla politica e sui media, e pertanto di creare un sistema tale per cui queste enormi fortune vengono trasmesse ai propri discendenti, stabilendo di fatto un’aristocrazia moderna. Vilfredo Pareto sosteneva che “la storia è un cimitero di aristocrazie“, a sottolineare come queste élite abbiano un rapporto gravitazionale con il potere: orbitano intorno ad esso. Immaginiamo sempre che in opposizione a questo potere dell’élite ci sia il potere del popolo. Ma come la storia ci ha insegnato, ciò che conta non è la semplice maggioranza, ma la maggioranza organizzata. Gaetano Mosca sosteneva che in qualsiasi società prevale l’istinto oligarchico di una minoranza organizzata su una maggioranza disorganizzata. Senza solidarietà e organizzazione il vantaggio numerico non significa molto. Non importa se ci sono milioni di cittadini contro un solo dittatore se le persone sono troppo atomizzate e hanno paura di provare a rovesciare il regime.

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La fine della schiavitù o della sottomissione legale delle donne dimostrano che quando il popolo è riuscito ad organizzarsi contro la classe dominante i risultati sono stati notevoli. Se non fosse per le persone che agiscono di concerto, il suffragio universale non esisterebbe, e nemmeno la giornata lavorativa di otto ore. Non ci sarebbero i servizi sociali né l’istruzione pubblica. Sarebbe ancora un crimine essere gay o trans. Le donne sarebbero ancora sotto il controllo dei loro mariti e alla mercé di datori di lavoro sessisti, e l’aborto non sarebbe mai stato legalizzato, per quanto si tenti costantemente di criminalizzarlo. Le persone disabili non avrebbero i diritti civili fondamentali. La natura sarebbe totalmente indifesa e ancor più inquinata. Senza l’azione collettiva, i popoli colonizzati non avrebbero mai spodestato i loro oppressori, gli indigeni non sarebbero sopravvissuti agli attacchi dei coloni e l’apartheid non sarebbe stato rovesciata.

Spesso i potenti amano prendersi il merito di un cambiamento sociale di tal fatta, dipingendo il progresso come il risultato di una leadership illuminata e benefica. Lodiamo il presidente Abraham Lincoln per aver abolito la schiavitù, senza rendere omaggio ai martiri e ai diversi movimenti, anche religiosi, come i quaccheri, che ben prima hanno lavorato ai fianchi del pensiero razzista dell’epoca. Ricordiamo Martin Luther King per i successi del movimento per i diritti civili degli afroamericani, ma non elogiamo mai Walter Reuther e a tutti i leader dei sindacati che diedero sostegno politico e finanziario al movimento.

Walter Reuther
Walter Reuther durante una marcia per i diritti civili

Gli studiosi hanno documentato il modo in cui la fine del XX secolo è stata, per la sinistra progressista, caratterizzata dal passaggio a un modello di “advocacy” superficiale, di una élite che parla a nome di collegi elettorali verso i quali non è direttamente responsabile. Invece di organizzare le persone affinché combattano per se stesse, questi gruppi promuovono professionisti che tentano di influenzare il potere all’interno della stanza dei bottoni. Invece di proteste, pubblicano libri; al posto di organizzare scioperi diffondono comunicati; invece di coltivare la solidarietà cercano la scalata sociale. Questo approccio, dall’alto verso il basso, ripone fiducia nelle capacità persuasive di pochissimi e nega il fatto che la politica sia una lotta collettiva. La sociologa Theda Skocpol usa l’espressione “democrazia diminuita” per descrivere il passaggio dalle iniziative associative alle iniziative guidate da manager della politica. Come ha scritto Norberto Bobbio ne Il futuro della democrazia, qualsivoglia ordine democratico è ancora in debito con in suoi membri “di sei promesse non mantenute, rispetto a ciò che è stato effettivamente attuato del pensiero liberale e democratico di Locke, Rousseau, Tocqueville, Bentham e Stuart Mill: la nascita della società pluralista, la rivincita degli interessi di parte su quelli politici, la persistenza delle oligarchie, lo spazio limitato, il potere invisibile, il cittadino non educato“.

Negli ultimi anni milioni di cittadini hanno sostenuto cause di giustizia sociale e ambientale, ma sempre con scarsi risultati. Il 15 febbraio 2003 circa 10 milioni di persone in tutto il mondo hanno protestato contro la guerra in Iraq. Nel 2017, la Marcia delle donne, tenutasi il giorno dopo l’insediamento di Donald Trump, ha attirato circa 5 milioni di persone. Il 2019 ha visto più di 6 milioni di persone protestare in 150 Paesi in favore dell’ambiente. Nel 2020, dopo l’omicidio di George Floyd, si stima che dai 15 ai 26 milioni di persone abbiano manifestato per oltre un mese. E, sebbene ci sia molto di cui rallegrarsi per la mole di persone scese in piazza (metà di coloro che hanno partecipato al movimento Black Lives Matter, ad esempio, ha riferito che era la prima volta che lo faceva), i risultati di queste proteste sono stati deludenti. Il presidente George W. Bush ha liquidato le proteste del 2003 come un “focus group” e ha portato avanti una guerra illegale costata più di 1 milione di vite; le proteste della Marcia delle donne sono state significative e stimolanti per i partecipanti, ma non hanno minimamente influenzato il cursus politico degli anni trumpiani; i giovani leader delle proteste per il clima speravano in qualcosa di più conflittuale e non sono riusciti neanche a coinvolgere i capi politici nella loro lotta; e le contestazioni del movimento Black Lives Matter sono state storiche e hanno cambiato i termini del dibattito internazionale, ma la portata di questa vittoria difficilmente corrisponde alla massiccia protesta e alla profondità del sostegno pubblico ricevuto.

Le proteste della Primavera araba hanno coinvolto, come mai prima, un numero enorme di persone in tutto il Medio Oriente, dalla Tunisia e dall’Egitto, dal Bahrein e alla Siria. Eppure, la mancanza di organizzazione ha fatto sì che i risultati non fossero necessariamente dei miglioramenti. La Siria è precipitata in una guerra civile devastante; l’Egitto ha visto la fine del trentennale regime di Mubarak per una dittatura militare; la Tunisia è stata l’unica nazione nella regione ad aver adottato la democrazia, ma un decennio dopo le proteste del 2011, il suo presidente stava già riconsolidando il suo potere. Per non parlare poi delle proteste in Iran per la morte di Mahsa Amini che non hanno ottenuto nessun risultato concreto, se non una condanna formale di parte del mondo contro il regime dell’ayatollah Khamenei. Le rivolte spesso hanno creato un miraggio di potere popolare, ma senza l’organizzazione e la strategia, i grandi numeri non sono sufficienti per produrre trasformazioni rilevanti.

proteste iran

Per lasciare un segno reale e duraturo, la protesta deve comportare l’espansione del numero di sostenitori e allo stesso tempo il rafforzamento delle relazioni tra i partecipanti. Prendiamo il movimento per i diritti civili. Oggi tutti conoscono il boicottaggio degli autobus guidato da Rosa Parks, ma pochi si rendono conto che durò 381 giorni, e raramente ci si ricorda degli sforzi precedenti che aiutarono ad affinare il boicottaggio a Montgomery, incluso il boicottaggio degli autobus di Baton Rouge del 1953. Allo stesso modo, riconosciamo alle suffragette il peso avuto nel garantire il diritto di voto alle donne, ma spesso facciamo fatica a collegarle ad atti terroristici che includevano anche la distruzione di proprietà. Queste organizzazioni non si sono limitate al dibattito civile, ma si sono impegnate in uno scontro ad alto rischio, senza esclusioni di colpi.

I cambiamenti non avvengono spontaneamente o semplicemente scendendo in piazza. Hanno bisogno di essere organizzati. La vera organizzazione è una sorta di alchimia: un processo che trasforma l’alienazione in connessione, la disperazione in dedizione e l’oppressione in forza, modellando un insieme che è più forte delle sue parti. Facciamo ancora fatica ad inquadrare in storie collettive tutti quei movimenti della storia, che attraverso questa formula, sono riusciti ad ottenere successi rilevanti. Troppo spesso la storia del “Noi” viene ridotta alla storia di un “io” – la storia di un liberatore visionario o di un santo altruista che ha cambiato il mondo. Trasformiamo una manciata di manifestanti e ribelli in icone, ma sentiamo relativamente poco parlare delle comunità che li hanno formati e sostenuti, o di quelle che hanno continuato la lotta per portare avanti i loro sforzi. Il nostro atteggiamento a semplificare tutto e ossessionato dalle celebrità distorce l’eredità dei grandi movimenti di lotta in favore di una manciata di attivisti telegenici. Ci immaginiamo che i movimenti sociali siano costituiti da individui carismatici da un lato e da masse senza nome dall’altro. Ma la vera organizzazione è tutta un’altra cosa. Ogni sforzo riuscito per sfidare lo status quo ha richiesto una moltitudine di persone che ricoprivano una vasta gamma di ruoli. Consentire questa diversità è un modo per far crescere i numeri e dare loro un senso. Quando ci riuniamo in modo organizzato, abbracciando visioni radicali e agendo strategicamente, possiamo esercitare il potere dei numeri per interrompere il business as usual, strappare concessioni e aprire la strada a vittorie future.

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