Alex Schwazer

Alex Schwazer, il sopravvissuto alla Legge di Lynch

La Legge di Lynch risale alla fine del XVIII secolo durante la Guerra di indipendenza americana e fa riferimento al linciaggio e, quindi, alla pena di morte senza processo. Una pratica che, sebbene sia un reato ormai in tutto il mondo, trova, purtroppo, ancora modo di essere presente soprattutto sui canali di informazione (giornali e social media). Ne è un esempio quello che è accaduto ad Alex Schwazer.

Alex Schwazer

La storia di Alex, inizialmente, è simile a quella di molti altri atleti (non moltissimi per la verità) che hanno raggiunto traguardi importanti e che sono caduti nella tentazione di fare tutto il possibile, e oltre, per rimanere su quelle vette. Lo sport di Alex non è certo dei più entusiasmanti, quasi sconosciuto, ricordato ogni 4 anni quando la grande tradizione italiana della marcia batte cassa e rinverdisce il medagliere azzurro insieme alla scherma, al canottaggio, al nuoto e a poche altre eccezioni.

Alex si dopa. Vincerebbe comunque, lo ha ampiamente dimostrato coi risultati, ma sbaglia; forse come tanti altri, ma lui viene scoperto e per questo duramente, e giustamente punito. Ad un certo punto, però, scontata la pena, decide di riprovarci e tutto, invece di migliorare, se possibile, peggiora. Viene seguito, braccato; vengono colpite anche le persone che sono al suo fianco, la sua vita, i suoi affetti. La giustizia sportiva sconfina, esce dalla carreggiata, e invade tutto quello che incontra, come uno tzunami che invece di ritirarsi si cristallizza ricoprendo di vergogna ed infamia tutto quello che ha toccato. Ma l’uomo in questione non è banale, riconosce gli errori e vuole dimostrare che si può avere un’altra possibilità, che lui è veramente forte, che la corsa in marcia è la sua vita, la sua passione, qualcosa che non si può “semplicemente” togliere. Questa sua forza lo porta ad incontrare un angelo custode, un Salvatore, l’ambasciatore dell’Antidoping: Sandro Donati.

sandro donati
Sandro Donati, una vita contro il doping

E proprio qui, dove doveva cominciare la fiaba, che inspiegabilmente nasce il dramma. Il Sistema non ci sta: la redenzione non può essere così semplice. Il Sistema lo aveva aiutato, protetto, sostenuto, ma una volta scoperto è lui stesso che lo condanna e lo disconosce. C’era una volta un Pirata che lo aveva capito, ma non aveva fatto in tempo. Troppo buono, troppo ingenuo, troppo e basta. La storia del cavaliere che salva e sposa la principessa diventa la storia di un Capodanno, quello del 2016, in cui viene prelevata e manipolata una provetta di urina, che sancirà il verdetto definitivo: colpevole di doping recidivo.

L’intrigo è internazionale: prima del fatidico prelievo, il 15 dicembre 2015 Alex testimonia in tribunale contro 2 medici della federazione internazionale di atletica leggera (IAAF); il giorno dopo la stessa Federazione commissiona il controllo a Schwazer per il giorno di Capodanno. L’obiettivo è chiaro: smontare l’accusatore, lederne la credibilità, renderlo innocuo. Ma c’è di più. Donati aveva da poco scoperto alcune “dimenticanze” da parte della stessa IAAF, che aveva soprasseduto a risultati anomali dei valori ematici di molti atleti dai primi anni 2000 fino a quel momento. Era anche lui diventato un soggetto scomodo, forse il vero obiettivo di questo attacco. Ma Donati era anche l’uomo che aveva concesso una seconda possibilità ad un atleta colto sul fatto, ma che aveva avuto il coraggio di riprovarci. Questa novità aveva spiazzato il Sistema, abituato a buttare giù dalla torre senza concedere una seconda chance. Alex viene, qualche mese dopo rispetto al prelievo, sospeso dall’attività sportiva e i pochi, ma importanti, risultati che aveva ottenuto al suo ritorno alle competizioni vengono cancellati e dimenticati.

Alex grida la sua innocenza, ma nessuno sembra sentire le sue urla. Donati stesso insiste sull’innocenza di Alex e dimostra come nei 15 mesi in cui aveva seguito l’atleta aveva organizzato, di comune accordo con l’ospedale San Giovanni di Roma, almeno 40 prelievi a sorpresa che avevano sempre dimostrato la completa “pulizia” del sangue di Schwazer. Alex non si dopava più, era impossibile si fosse dopato in quel periodo. C’è voluto il RIS di Parma, quello venuto alla ribalta coi più famosi casi di cronaca nera, per smascherare il complotto, e ci sono voluti 5 anni di processo, penale e non sportivo, per assolvere Alex e per dimostrare che c’era stata una manomissione delle provette. Poca la solidarietà da parte delle organizzazioni e dei colleghi, almeno fino allo scorso 21 febbraio, quando finalmente dichiarata l’innocenza dell’atleta, il mondo si è svegliato, improvvisamente, dal torpore in cui era caduto.

Alex per sostenere le spese legali ha rinunciato alla marcia e si è trovato un lavoro, ma non rinuncia al sogno di una nuova olimpiade, Tokyo 2021, di una nuova gara, di una nuova sfida. Ora spetta alla Giustizia Sportiva fare il suo dovere. In questo momento Alex è innocente per la giustizia ordinaria ed ancora colpevole per la Corte Federale Svizzera, il TAS, l’organo competente che può esprimersi in merito al caso sportivo. Fu così anche per Lance Armstrong, illibato per la Giustizia Sportiva fino al momento in cui la Giustizia Ordinaria scoprì il vaso di pandora dimostrando le frodi sportive. Un uomo con un sogno nel cassetto, Alex, ma un cassetto ancora chiuso. Speriamo per poco.

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