Il lago Aculeo, in Cile, nel 2014 e nel 2019

Il turismo last chance, l’ultima moda che potrebbe condannare o salvare le bellezze del nostro Pianeta

Alla fine no, non siamo (ancora) nell’Antropocene. Dopo un dibattito durato 15 anni, un gruppo di esperti ha respinto la proposta di dichiarare ufficiale l’inizio di un nuovo intervallo di tempo geologico, definito dai cambiamenti dell’umanità sul Pianeta. Secondo l’attuale cronologia dei geologi della storia della Terra, il nostro mondo in questo momento si trova, dunque, ancora nell’Olocene, iniziato 11.700 anni fa con il più recente ritiro dei grandi ghiacciai. Come anticipato dalla rivista Nature la decisione non è stata pacifica e lineare. La Subcommission on Quaternary Stratigraphy ha bocciato la proposta con dodici voti contrari e quattro a favore, ma il capo della Commissione, Jan Zalasiewicz, ha fatto sapere che il voto è stato condotto “in violazione delle nostre regole, a partire da chi ha il diritto di votare” e ha chiesto che venga aperta un’inchiesta, perché il processo scientifico non è stato sicuro e certo come dovrebbe essere. L’inchiesta potrebbe confermare o far riconsiderare la decisione, con anche la possibilità che l’Antropocene venga considerato non un’era geologica ma un evento. Ma nonostante le discussioni interne alla comunità scientifica, Antropocene resta un termine con una forte valenza culturale e politica per descrivere una Terra che non è più come ce la ricordavamo. Scavalcati gli steccati scientifici, il termine è diventato terreno di incontro speculativo tra filosofi della scienza, storici del clima, giornalisti ambientalisti, artisti e attivisti. Un dibattito che sottace un malessere di fondo rispetto all’ambiente che ci circonda. 

Il lago Aculeo, in Cile, nel 2014 e nel 2019

Febbraio è stato il nono mese consecutivo più caldo di sempre, in Italia è stato 3.09°C più caldo rispetto al periodo di riferimento 1991-2020; l’inverno meteorologico italiano è stato di 2.19°C più caldo, sono dati assolutamente fuori scala. Come raccontato da Giulio Betti, climatologo del CNR:

È difficile trovare le parole giuste per qualcosa che va così al di fuori dell’eccezionalità statistica, il sistema termodinamico della Terra ci sta comunicando qualcosa che non riusciamo a capire. C’è uno scalino enorme tra quello che sapevamo e quello che stiamo osservando; questi valori vanno fuori da ogni modello.

Molti sono ormai consapevoli di un cambiamento epocale che rivoluzionerà il nostro rapporto con l’ambiente, i nostri usi e le nostre abitudini. Una consapevolezza che trova conferma anche nel nostro modo di viaggiare. L’ultimo segnale è un nuovo trend nel mercato del turismo, quello last chance, dell’ultima occasione. Come ha scritto Paige McClanahan sul Times

Per migliaia di anni, gli esseri umani hanno gareggiato per essere i primi a scalare una vetta, attraversare una frontiera o documentare una nuova specie o un nuovo paesaggio. Ora, in alcuni casi, stiamo correndo per essere gli ultimi.

È il turismo macabro dell’addio: quella consapevolezza di avere un’ultima occasione per vedere quella montagna, quel paesaggio, quel lago, consapevoli che nel giro di pochi anni non ci sarà più; il turismo della cronaca nera dei ghiacciai. Un’emozione a buon mercato di vedere un pezzo di Pianeta che muore lentamente davanti ai nostri occhi. Difficile stabilire se sia giusto e sbagliato. Forse è semplicemente umano: diventare turisti della nostra stessa fine è uno degli infiniti modi che abbiamo per processare questi eventi. Ma in alcuni casi può avere anche un effetto positivo. Un sondaggio del 2020 sui visitatori estivi della Mer de Glace, il ghiacciaio più grande delle Alpi francesi, ha rilevato come l’80% sarebbe disposto “a saperne di più sull’ambiente e su come proteggerlo“. Un altro 82% ha affermato che smetterebbe di visitare i ghiacciai se ciò potesse proteggerli, mentre il 77% ha affermato che ridurrebbe il consumo di acqua ed energia. Basandosi sui risultati dell’indagine, i ricercatori hanno concluso che il turismo last chance potrebbe rappresentare un’opportunità per educare i turisti sui cambiamenti climatici, facendo leva direttamente sulle loro emozioni. Alcune località turistiche hanno già adottato questo metodo. In Perù, il percorso di trekking sul ghiacciaio Pastoruri è stato ribattezzato La Ruta del Cambio Climático. E alla Mer de Glace, una mostra sul cambiamento climatico, chiamata Glaciorium, aprirà entro la fine dell’anno.

Isola di East Island

Tuttavia, non tutti la pensano così. C’è chi mette in dubbio il valore del turismo last chance, consapevole che visitare ambienti fragili possa fare più male che bene. Nella sua ricerca, Place stewardship among last chance tourists, la professoressa Karla Boluk parla della questione morale del turismo last chance per la quale i turisti non sono in grado di riconoscere il danno che procurano. Alcune persone viaggiano in Antartide perché percepiscono che il cambiamento climatico annullerà le loro opportunità future di vivere quei luoghi nella loro forma autentica e incontaminata. Ma, come ha sottolineato Sara Clemence in un articolo su The Atlantic, viaggiare in quelle aree non solo richiede molto carburante, ma i turisti possono introdurre germi e malattie, danneggiando la fauna selvatica. Nonostante riconoscano il cambiamento climatico e allo stesso tempo si sentano legati a un luogo, visitando destinazioni remote questi turisti sembrano non rendersi conto del danno causato dal loro viaggio. Analogamente, i media contribuiscono a creare un senso di urgenza, amplificando le narrazioni del declino irrevocabile delle destinazioni, ma senza dar peso alle questioni ambientali, come il cambiamento del sistema terrestre/marino e la perdita della biodiversità.

Ghiacciaio vulcano Ok

Sebbene il il turismo last chance sembri guadagnare popolarità come nuova tendenza di viaggio contemporanea (sia Forbes che Lonely Planet lo hanno proclamato il trend di viaggio dominante degli ultimi anni), rientra in quello che Marx definiva il feticismo della merce, secondo cui i consumatori dimostrano una conoscenza limitata dei beni che consumano. Il turismo last chance crea quel paradosso etico di cui parla la Boruk in cui la preoccupazione per il luogo stride con la pratica di andarlo a visitare. La preoccupazione per il cambiamento climatico, il senso di connessione con una destinazione a rischio e la mancanza di un coinvolgimento personale e diretto sembrano non essere dissonanti per molti turisti. In effetti, la ricerca della professoressa Boluk ha dimostrato come la motivazione del turismo last chance è legata agli interessi della promozione di un’immagine positiva di sé, una sorta di elitarismo; il riflesso di un mercato turistico di nicchia in cui, invece di servire come piattaforma per praticare un’etica di cura ambientale, l’esperienza del luogo, o meglio il suo declino, è confezionato, commercializzato e normalizzato come valore fine a se stesso.

Tutte le immagini sono tratte dal progetto Images of Change della NASA.
1. Il lago Aculeo, in Cile, nel 2014 e nel 2019
2. L’isola di East Island, scomparsa dopo l’uragano Walaka, nell’ottobre 2018
3. Il ghiacciaio sopra il vulcano Ok, in Islanda, nel 1986 e nel 2019.

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