Paola Egonu

Paola Egonu, lo specchio della nostra società

Qualche settimana fa scrissi un post su Paola Egonu. Era il 25 aprile e in poche parole dicevo che lei era il simbolo contemporaneo della libertà che in quello stesso giorno del 1945 i nostri bisnonni conquistarono con la lotta. Sotto il post ci sono stati commenti disparati. Alcuni erano d’accordo perché immaginare alcuni anni fa che un atleta di colore, dalla personale identità sessuale, con un cognome nigeriano anche se nata a Cittadella, potesse essere la rappresentante più alta dello sport italiano era impossibile. E questo non può che essere un segno di libertà.
Altri invece non erano d’accordo e si dividevano in due parti. C’erano alcuni i quali erano contrari all’idea che Paola Egonu potesse rappresentare una nuova libertà, perché non vedono in Paola Egonu nessun orizzonte nuovo e appunto libertario per la nostra società. Per loro è semplicemente una pallavolista, se è anche brava meglio così.
I secondi invece criticavano il fatto che lei potesse essere un’icona rappresentante quelle libertà a cui facevo riferimento, perché nessuno glielo ha chiesto e magari lei non ha nessuna voglia di rappresentare un bel niente.

Paola Egonu

Con chi era d’accordo con me non so cosa dire, sono contento che Paola Egonu possa essere l’idea di una nuova Italia, nella speranza anzi che diventino ancora più labili i confini tra ogni categoria.
Con i primi che non erano d’accordo con me, purtroppo, in loro vedo ancora una riflessione un po’ troppo impaurita per quello che bene o male Paola Egonu rappresenta. In loro leggo ancora un desiderio di rivendicare che “quelli non siamo noi”, pensando addirittura a popoli diversi che, malgrado tutte le loro resistenze, stanno meravigliosamente scomparendo.
Con i secondi, invece, c’è da riflettere meglio insieme, perché ne facevano anche un discorso semantico. Non si è icone perché ci si sveglia la mattina e lo si vuole essere. Si è icone perché un pezzo di società ti vede come modello possibile. Quando i bizantini pensano all’εἰκόνα riflettono proprio sull’idea di mostrare un orizzonte di senso a cui far tendere.

Verso questo orizzonte semantico le persone devono da un certo punto di vista conformarsi nelle idee e nei comportamenti, così da essere meglio governati, ma da un altro spingersi verso quell’orizzonte, andando anche oltre se stessi e le loro credenze acquisite. Nell’icona c’è il desiderio sociale di migliorare, di superare delle barriere e dei limiti di pensiero, fisici, antropologici, sociologici con cui abbiamo sempre combattuto. Certo, le icone sono state usate anche dai dittatori, ma lo scopo a 360° era sempre lo stesso: far guardare l’uomo un po’ più in là, cosa che accade perfettamente anche con l’icona-Egonu. Quindi non del de-iconizzare Paola Egonu si deve parlare, perché anche in questo caso si può cadere nel “noi e loro” che non ha nessun motivo per esistere.

La mia pelle e le mie scelte

La riflessione che invece i secondi critici mi hanno fatto fare è la necessità ormai non più obbligatoria di categorizzazione semantica che l’icona porta con sé. L’icona deve essere comprensibile al primo sguardo. I bizantini con le icone rappresentavano immagini ideali, perché i significati e i valori da mostrare e comunicare a tutti dovevano essere di facile lettura e di presto assorbimento celebrale. Non serve un critico d’arte per innamorarsi di un’icona e volerla imitare.
Paola Egonu, e alcuni di chi commentava il post diceva proprio questo, è più di questo, ma non altro da questo. Definirla con le categorie identificate all’inizio è la semplice “spiegazione al popolo” per un collegamento storico-sociale. E può essere una forzatura, adesso lo ammetto.


Paola Egonu invece è senza categorie e per questo non incasellabile per un racconto univoco. È “in tanti sensi” e come tale deve essere raccontata, senza appiccicarle una bandiera, fosse anche quella della libertà. Sì, perché Paola Egonu – e con Paola Egonu, penso si sia capito, sto parlando di tutti noi, nessuno escluso – è oltre le libertà, in una società che dobbiamo iniziare a pensare forse senza traguardi perché ognuno si sceglie il proprio, completamente diverso da quello degli altri. L’icona non è più lo specchio di un tendere verso, ma di un calarsi dentro soggettività sempre più profonde e per questo motivo più belle. Dobbiamo scavare e non correre, immergerci e non volare. Paola Egonu è Paola Egonu e bisogna raccontarla sprofondando nella sua complessità (che ancora una volta è la tua complessità, il discorso è sempre lo stesso), il modo migliore per farne una bandiera. Adesso l’ho capito e ringrazio chi ha scritto e mi ha fatto riflettere. Parlo sempre di opinione obbligatoria come male dei social media, ma questa volta mi devo ricredere.

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