Haenyeo

Haenyeo, le apneiste per necessità

Jeju, 130 chilometri a sud della costa coreana, un’isola subtropicale di origine vulcanica e uno dei luoghi turistici più visitati del Paese. È conosciuta come la Terra del Paradiso o le Hawaii della Korea per le sue bellezze naturalistiche, ma ai più è nota come Samdado perché abbonda di: rocce, vento e… donne. Non donne comuni, ma apneiste, le più vecchie apneiste del mondo. 

Jeju korea
La montagna Songaksan sull’isola di Jeju

Sono chiamate Haenyeo, “donne del mare”, e la loro origine risale almeno al 1629 anche se rimane ad oggi ancora misteriosa. Non sappiamo molto su come e perché le donne iniziarono a praticare la pesca subacquea, anche se esistono diverse teorie. La più accreditata collega la nascita di questo fenomeno alla carenza di uomini: molti, essendo pescatori, erano dispersi in mare e gli altri raccattati per impinguare gli eserciti durante le continue guerre con le nazioni vicine. Sole e senza supporto dei loro mariti, padri e figli queste donne non si persero d’animo e iniziarono a praticare l’apnea per pescare; non c’era altro modo per sopravvivere durante quei tempi bui. 

L’apnea, parola greca che significa “senza respiro”, ha una secolare tradizione nel sud-est asiatico ed è stato per secoli un importante mezzo di sostentamento di alcune culture. Il popolo Sama-Bajau, noto come Zingari del mare della Malesia, ha la fama di pescare in apnea fino a cinque minuti alla volta. Nascono, vivono e muoiono in mare, e poiché la maggior parte di loro ha vissuto sulle barche per tutta la vita, alcuni riferiscono di sentirsi “malati di terra” nelle rare occasioni in cui trascorrono qualche ora sulla terra ferma. 

Haenyeo in azione

I muscoli oculari delle haenyeo si sono adattati per restringere il più possibile le pupille in modo da cambiare la forma della lente e aumentare la rifrazione della luce; la loro vista subacquea è quindi due volte migliore della maggior parte delle persone. Come per tutti gli apneisti, il più grande ostacolo che affrontano è l’impulso di respirare. Erroneamente si pensa che questo desiderio derivi da una mancanza di ossigeno, quando in realtà è l’aumento dell’anidride carbonica che crea il bisogno di respirare. Mentre si trattiene il respiro il livello di ossigeno nei polmoni, nel sangue e nei tessuti è ancora alto, ma non si riesce ad espellere l’anidride carbonica che continua a crescere. In tutti gli apneisti poi, si manifesta il fenomeno noto come Riflesso del tuffo dei mammiferi: l’acqua innesca un’immediata diminuzione della frequenza cardiaca e il nostro organismo riesce a mantenere gli organi come il cervello e il cuore ossigenati più a lungo. 

Ed è quello che succede anche a queste donne che ogni giorno si buttano in mare per mantenere la propria famiglia. Non è una storia di eroismo, ma è la quotidianità di chi tenta disperatamente ogni giorno di arrivare a quello dopo. Sono donne anziane, l’età media è molto alta, si arriva anche a haenyeo di 87 anni. Un’intera vita dedicata al mare, non per piacere ma per necessità. Perché la vita delle haenyeo è un susseguirsi ininterrotto di sacrifici, e il mare è al tempo stesso la loro fonte di sopravvivenza e la loro condanna. Si buttano in acqua con mute di neoprene e maschere recuperate in qualche mercatino di seconda mano (anche se ultimamente le autorità locali hanno messo a disposizione gratuitamente delle mute da sub) alla ricerca di alghe, crostacei e altri frutti di mare. Lo fanno solo con un coltello e la loro abilità. Lo fanno da quando avevano 11 anni. 

Sono donne anziane, l’età media è molto alta, si arriva anche a haenyeo di 87 anni. Un’intera vita dedicata al mare, non per piacere ma per necessità. Perché la vita delle haenyeo è un susseguirsi ininterrotto di sacrifici, e il mare è al tempo stesso la loro fonte di sopravvivenza e la loro condanna.

Haenyeo

Si danno appuntamento nel bulteok, un rifugio di pietra sull’oceano dove custodiscono la loro attrezzatura, fanno il bagno, mangiano e, quando riescono, anche un fugace pisolino. Nel bulteok condividono pasti caldi e le loro esperienze. Mi piace pensare che come tutte le signore che conosciamo spettegolino anche un po’ mentre chiacchierano urlando, dato che l’età e i molti anni di immersioni hanno segnato il loro udito. Ma in fondo in quel rifugio, mondo privato tra il mare e la casa, i due ecosistemi della loro vita, queste signore dagli occhi vispi e l’aria stanca si danno coraggio. Tutto sommato sono sollevate dal fatto che alle loro figlie non toccherà questa vita; i loro sacrifici non sono stati vani.

Non c’è rammarico nel sapere che nel 1960 si registravano trentamila immersioni giornaliere, mentre ultimamente al massimo cinquemila. È il mondo che cambia, che non costringe più le giovane donne ad immolarsi nelle viscere fredde e buie del mare per vivere. Oggi le ultime haenyeo sono in grado di mandare i figli a scuola e garantir loro un futuro dignitoso. 

Haenyeo 2

Pulita la maschera e infilata la muta, le haenyeo si buttano in acqua in gruppi. Ogni gruppo ha con sé una cesta in cui raccogliere i frutti di mare pescati. Scendono fino a circa 20 metri e rimangono in apnea per due-tre minuti; risalgono per prendere aria ed emettono uno strano fischio. Lo chiamano il sumbisori: un respiro simile a un sibilo, e serve da un lato a riprendere fiato e dell’altro ad avvisare le altre della propria presenza, un po’ come fanno i mammiferi marini. Quando la cesta è abbastanza piena, ritornano a riva. Quando non sono in mare, coltivano la terra, si occupano dei lavori di casa e della cura dei figli. Immaginarle dover accudire i piccoli in un posto in cui l’acqua potabile non è scontata e in cui è difficile fare scorta di riso o di pannolini puliti, e al contempo passare ore nelle acque impervie dell’oceano è qualcosa che scuote le coscienze. 

Quando non sono in mare, coltivano la terra, si occupano dei lavori di casa e della cura dei figli. Immaginarle dover accudire i piccoli in un posto in cui l’acqua potabile non è scontata e in cui è difficile fare scorta di riso o di pannolini puliti, e al contempo passare ore nelle acque impervie dell’oceano è qualcosa che scuote le coscienze. 

Come chiarisce CHOA Hye-Kiung, ricercatrice dell’Istituto dello sviluppo di Jeju, le haenyeo non sono solo il pilastro economico dell’isola, ma la spina dorsale dello sviluppo della comunità. La loro pesca sostenibile, che consente alle specie marine di riposarsi e riprodursi, ha protetto l’incredibile ecosistema naturale di questa parte di mondo. Ed è anche per questo che l’UNESCO ha inserito nel 2016 le haenyeo nella sua lista del Patrimonio Culturale Immateriale. 

Un riconoscimento di stima e apprezzamento per quello che queste donne rappresentano: una sorellanza che protegge e cura il proprio ambiente e la propria comunità. E in un Paese in cui il Confucianesimo ha lasciato un indelebile marchio patriarcale, questa sorellanza ha capovolto i ruoli di genere: sono loro che definiscono le sorti dello sviluppo familiare. L’oceano ha dato loro questo potere. 

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