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I dromedari del Sahara occidentale

Sono passate poche settimane dallo storico trionfo del Senegal nella Coppa d’Africa per nazioni svoltasi in Camerun. Per i Leoni della Teranga è stata la prima volta sul tetto del continente nero, un successo che è stato a lungo celebrato sia in patria che nelle diaspore senegalesi di tutto il mondo.  La gioia senegalese è stata preceduta da quelle delle comunità comoriane e gambiane che hanno potuto godere dei miracoli sportivi realizzati dalle loro nazionali, date per spacciate alla vigilia e protagoniste invece di un torneo che ha fatto conoscere al mondo territori, storie e culture fino a quel momento poco conosciute. Nella vetrina delle eccellenze del continente africano mancava all’appello una nazionale, rappresentativa di uno Stato riconosciuto da 82 tra nazioni e territori, che non ha potuto prendere parte neppure alle qualificazioni alla fase finale, vuoi perché non è affiliata alla CAF, vuoi perché vive tra i campi profughi nel cuore del Sahara e la Spagna: i Dromedari del Sahara Occidentale. 

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Qui non crescono alberi e piante, ma fioriscono persone

Questo è uno dei tanti motti dipinti sui muri dei campi saharawi di Dajla, Bojador, Ausserd, Smara, El Aaiun e Rabuni, le cosiddette Wilaya (province) poste a sud di Tindouf, Algeria, a pochi chilometri dalla frontiera con la Mauritania. I campi che oggi costituiscono il cuore della RASD, la Repubblica Araba Democratica Saharawi, portano il nome delle terre che un tempo furono la casa della nazione saharawi e che furono perduti a seguito della celebre Marcia Verde, voluta dall’allora re del Marocco Hassan II per costringere la morente Spagna franchista a cedere i territori del Sahara Occidentale. Dalla sua indipendenza, ottenuta nel 1956, il Marocco aveva più volte tentato di incorporare i territori del Sahara, rimasto sotto il governo di Madrid, rivendicando il diritto all’esercizio della propria sovranità sulle terre che invece volevano porre fine alla colonizzazione spagnola e ottenere l’agognata indipendenza. Se la Guerra olvidada di Sidi Ifni del 1957 non aveva spostato gli equilibri, fu proprio a seguito della Marcia Verde che Madrid lasciò il possedimento dei territori del Sahara Occidentale aprendo la strada a una caotica transizione che, anziché favorire il processo di decolonizzazione del popolo saharawi, portò alla spartizione del territorio da parte di Marocco e Mauritania. 

Mentre ogni cosa sembrava arrendersi al proprio destino, ci fu chi cercò di opporsi al fato iniziando una lotta di liberazione senza quartiere: il Fronte di Liberazione del Sahara Occidentale, meglio noto come Polisario, avviò una guerriglia volta alla conquista dei territori saharawi con il sostegno dell’Algeria. Nel cuore del conflitto decine di migliaia di persone saharawi partirono verso l’esilio nel deserto algerino. Chi non riuscì a partire rimase all’interno dei territori conquistati dal Marocco, separato dai propri cari da una nuova frontiera invalicabile. Lo scontro tra il Marocco e il Polisario durò fino al cessate il fuoco del 1991 quando l’ONU promise un referendum sullo status del Sahara Occidentale che, però, non si mai tenuto. Da quel momento in poi la vita del popolo saharawi si è concentrata nelle zone amministrate dal Polisario con la cooperazione dei governi algerini. 

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Madrid, 12 Novembre 2016. Manifestazione a favore del popolo saharawi

Nei campi profughi saharawi vivono oggi circa 174 mila persone sostenute e organizzate dal governo del Polisario con l’aiuto dell’UNHCR, PMA, UE, Mezza Luna Rossa e varie ONG. Ogni provincia è suddivisa in comuni (Dara) e quartieri, e i residenti sono tutti registrati e inquadrati all’interno dei vari comitati per permettere la complessa gestione della vita all’interno di una delle aree più ostili del pianeta, segnata da temperature proibitive, tempeste di sabbia e siccità che impattano sui luoghi carenti di infrastrutture e servizi.  

Dal campo amministrativo di Rabuni il Governo del Polisario amministra – attraverso gli organi della presidenza, i ministeri e servizi pubblici – la nazione saharawi, ed è connesso con tutte le diaspore europee. Compito del governo è quello di fornire ai residenti dei campi un alloggio, l’accesso ai centri di salute e alla scuola nonché organizzare e distribuire gli aiuti umanitari, i generi alimentari e di prima necessità. Tra i cittadini, chi può si guadagna da vivere inventandosi un’attività, allevando le capre ereditate dai propri avi, oppure, cercando occupazione nella vicina città di Tindouf, che già ospita i giovani studenti saharawi impegnati negli studi superiori e universitari (dall’asilo alle scuole professionali si studia nei campi). Ogni saharawi ha la propria cittadinanza ma è dotato di uno speciale passaporto algerino che gli permette di muoversi in Algeria e nei Paesi che riconoscono la RASD. 

Ogni provincia è suddivisa in comuni (Dara) e quartieri, e i residenti sono tutti registrati e inquadrati all’interno dei vari comitati per permettere la complessa gestione della vita all’interno di una delle aree più ostili del pianeta.

Per visitare i campi, i visitatori e gli operatori umanitari stranieri devono ottenere un visto presso gli uffici diplomatici della RASD presenti in Algeria e in Europa dopodiché, occorre avere un visto algerino e volare a Tindouf via, Algeri o Orano. Giungere alla fine di ogni mondo non è cosa per turisti: ogni viaggiatore viene per una ragione e tutta la sua visita sarà organizzata al dettaglio dalle autorità saharawi. Con l’avvento della pandemia, i campi si sono chiusi a doppia mandata nel tentativo di contenere l’impatto del Coronavirus. Ciò ha portato alla perdita del lavoro e delle altre fonti di reddito per molti rifugiati, rimasti colpiti nello stesso tempo dall’epidemia polmonare che ha causato la morte di 1700 ovini, utili al fabbisogno di carne e latte.  Nel periodo di lockdown prolungato è diventato più complesso ricevere gli aiuti umanitari e le scorte alimentari che in questi luoghi aridi aiutano a rispondere al fabbisogno della popolazione.  Inoltre, la pandemia ha penalizzato una delle politiche più importanti del Polisario, quella di inviare la propria gioventù in giro per il mondo mediante programmi di interscambio culturale e le vacanze solidali che portano i bambini dei campi nelle comunità di Spagna e Francia.  Scopo di questa politica è costruire ponti con le famiglie e le istituzioni che si sono rese disponibili ad accogliere i minori che lasciano per brevi o lunghi periodi i campi con l’obiettivo di apprendere e sviluppare all’estero tutte quelle competenze che in futuro serviranno alla RASD. 

La pandemia ha penalizzato una delle politiche più importanti del Polisario, quella di inviare la propria gioventù in giro per il mondo mediante programmi di interscambio culturale

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Una donna saharawi riposa su una duna con il villaggio Dakhla sullo sfondo

Giunti in Andalusia, Comunità Valenciana e Paesi Baschi, i minori saharawi crescono all’interno di famiglie che non possono adottarli (in tal senso, c’è un esplicito veto saharawi) ma li sostengono come se fossero figli acquisiti. Diventati adulti, i figli della patria restano ancorati con la loro terra d’origine rendendosi utili negli ambiti del sapere in cui si sono specializzati. Non sorprende, quindi, che la Federazione Calcistica Saharawi sia operativa in Spagna, a pochi chilometri da Valencia, gestita da Baba Abdalahi, uno di quei bimbi venuti per una vacanza solidale e oggi affermato imprenditore al servizio della comunità saharawi. 

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Bambini giocano a calcio nel campo profughi di Smara a Tindouf, Algeria

Prima dell’avvento della selezione nazionale, varie rappresentative hanno portato il nome del popolo e della causa saharawi negli stadi di tutta l’Algeria, per poi estendersi a incontri amichevoli contro club e vecchie glorie in giro per l’Europa. L’esordio ufficiale dei dromedari è avvenuto nel 1988 contro lo storico club transalpino FC Le Mans in un match amichevole vinto dai francesi per 3-2. Da quel momento in poi si è dovuto aspettare il 2001 per assistere a una nuova uscita della selezione saharawi, questa volta sotto la canicola di Tindouf contro una selezione di vecchie glorie basche che si aggiudicherà la partita dopo una sospensione del gioco dovuta al troppo calore. 

Non rispondendo ai parametri FIFA e CAF la Federcalcio decise di iscriversi nel 2003 alla NF-Board, la prima confederazione al mondo a dare spazio alle rappresentative extra-FIFA. In quel periodo iniziò a prendere piede l’idea di strutturare una nazionale che potesse unire i migliori talenti provenienti dai campi profughi con i figli della diaspora spagnola inseriti nel sistema calcistico iberico. Molti degli atleti cresciuti in Spagna hanno avuto modo di giocare a buoni livelli, alcuni sono arrivati anche a solcare i campi della terza divisione nazionale, contribuendo a far crescere il movimento calcistico e allo stesso tempo portare avanti la causa nazionale. Nel 2012, il Sahara Occidentale volò nel Kurdistan iracheno per partecipare alla Viva World Cup, il mondiale per le nazioni non affiliate alla FIFA. 

Non rispondendo ai parametri FIFA e CAF la Federcalcio decise di iscriversi nel 2003 alla NF-Board, la prima confederazione al mondo a dare spazio alle rappresentative extra-FIFA.

In quell’occasione la federazione scelse di affidarsi solamente ai talenti cresciuti all’interno della RASD. Tale scelta depotenziò molto la nazionale che nell’esordio del torneo contro i padroni di casa del Kurdistan patì una cocente sconfitta per 6-0 davanti ai 9mila tifosi presenti allo stadio di Erbil. A quella sconfitta seguì una nuova goleada per mano della selezione dell’Occitania (6-2) prima della riscossa contro il Darfur e la Rezia (5-1 e 3-0) che diedero ai dromedari il sesto posto finale. Non mancarono le polemiche nel torneo quando le rappresentanze governative marocchine in Kurdistan chiesero formalmente che i saharawi non giocassero sotto la bandiera della RASD. In quell’occasione, la delegazione saharawi decise di non scendere in campo fino a quando non sarebbe stato loro concesso di rappresentare pienamente la propria terra.  Anni dopo, è scoppiata una nuova tensione durante il prestigioso torneo giovanile a Valencia quando, una volta appresa la partecipazione di una squadra saharawi, la rappresentativa del Marocco decise di abbandonare la manifestazione senza giocare neppure una partita. 

Se il Marocco ha un’idea dichiaratamente contraria alla legittimità dello status saharawi, la Spagna sente il peso del dominio coloniale e delle promesse di libertà e indipendenza venute meno nel 1976.  Nel paese iberico diversi enti pubblici e privati, movimenti solidali e associazioni civili sostengono attivamente i progetti umanitari e quelli sportivi a favore delle comunità residenti nei campi, i minori e le persone con disabilità. 

Grazie alle amichevoli contro le selezioni autonome, come la Galizia, e i club spagnoli del Serrana, Celta Vigo, Noia e Puçol, la selezione saharawi ha negli anni tessuto delle reti volte a portare i portatori di interesse a diretto contatto con i bisogni delle persone in stato di vulnerabilità. Semplici partite di calcio che hanno permesso alla federazione di stringere importanti alleanze con le dirigenze e le fondazioni dei club della Liga, come quelle del Levante, Espanyol, Zaragoza, Valencia, Villareal e Atletico Madrid che hanno direttamente sostenuto i campi profughi mediante l’invio di materiale tecnico e generi di prima necessità, avviato progetti di inclusione attraverso lo sport dei minori e delle persone con disabilità, nonché partecipato alla creazione di centri aggregativi all’interno dei campi dove poter svolgere attività ricreative e vedere gratuitamente le partite della Liga. 

Se il Marocco ha un’idea dichiaratamente contraria alla legittimità dello status saharawi, la Spagna sente il peso del dominio coloniale e delle promesse di libertà e indipendenza venute meno nel 1976. 

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È così che la nazionale saharawi si è convertita in uno strumento di pace, dialogo e conoscenza di un popolo altrimenti conosciuto per la disputa in corso con il Marocco e per le problematiche umanitarie che da oltre 40 anni colpiscono duramene un popolo confinato nel mezzo del Sahara. 

Conscio del suo ruolo di agente sociale e politico, la federazione in alleanza con il Ministero della Gioventù e dello Sport della RASD, sceglie con cura le manifestazioni e gli eventi a cui partecipare, come il Torneo dei popoli, culture e tribù svoltosi a Marsiglia nel 2013, dove malgrado le sonore batoste contro le selezioni di Armenia, Kurdistan e Tibet sono riusciti a stringere delle partnership importanti con l’associazionismo francese. 

Dal 2013 la federazione saharawi ha aderito alla Confederation of Indepedent Football Associations (CONIFA), istituzione senza scopo di lucro con base legale in Svezia che ha raccolto l’eredità della NF-Board, diventando la più importante organizzazione al mondo dedicata allo sviluppo del calcio nei territori extra-FIFA. In questo periodo i saharawi hanno disputato e vinto la Coppa Zamenhof contro la selezione Esperanto (vittoria per 4-0) per poi tornare a disputare le partite nel deserto contro la selezione dell’UNHCR e il club algerino dell’AEK Tindouf. Di pari passo, la federazione ha avviato una stretta collaborazione con le istituzioni della comunità valenciana per trasformare l’annuale viaggio dei minori dei campi verso la Spagna in un’occasione unica per organizzare un mundialito junior, destinato alle selezioni rappresentative delle regioni, popoli e minoranze etniche d’Europa e nel mondo. Nell’attesa che si compia l’agognato processo di pieno riconoscimento internazionale della nazione saharawi, e con esso la possibilità di poter gareggiare per un posto ai trofei continentali e ai mondiali di calcio della FIFA, i dromedari continuano imperterriti a giocare il calcio della polvere e dell’incontro tra i popoli, degni ambasciatori di un popolo fiero che lotta per il diritto di esistere. 

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