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Dino Baggio e i sospetti di doping

Le dichiarazioni di Dino Baggio sulle ombre di alcune morti nel mondo del calcio sono destinante a restare per lungo tempo nelle discussioni sportive italiane per molte ragioni. Se è vero che le parole dell’ex calciatore e ora allenatore sono dettate dal dolore per la perdita di un amico e di un compagno di squadra, qualcosa di inquietante resta attaccato dopo aver ridimensionato le sue affermazioni. Spaventato, amareggiato, dalla morte di Gianluca Vialli, il 6 gennaio scorso Baggio ha dichiarato che dietro ad alcune morti celebri del mondo del calcio potrebbe nascondersi l’uso (o l’abuso) di alcune sostanze. Il termine usato da Baggio è doping ma, ad analizzare meglio sue parole, si intuisce che il riferimento potrebbe essere anche a sostanze non considerate “dopanti” dalla giustizia sportiva.

Prima di tutto per leggere con chiarezza queste affermazioni bisognerebbe fare almeno due distinguo: cosa è dopante e in quale quantità. Rispondendo a queste domande si può intravedere qualcosa dietro alle affermazioni di Dino Baggio. Premesso che i dubbi sulle sostanze utilizzate ai danni degli atleti non sono certo nati oggi, bisogna ricordare che il mondo dello sport ha già vissuto in passato casi di pratiche per incrementare i risultati sportivi di singoli atleti o squadre intere. I casi più clamorosi si verificarono negli anni Ottanta, in tutt’altro contesto geo-politico, allorché si scoprirono i casi clamorosi di cure ormonali ai danni delle atlete della Germania a dell’Est. In quel caso, tutti gli abusi ebbero un effetto troppo grande sull’opinione pubblica per poter essere nascoste, con casi estremi come quello di Heidi Krieger che si ritrovò con una sessualità cambiata.

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Nel periodo a cui si riferisce Dino Baggio, invece, le sostanze incriminate sarebbero meno potenti e soprattutto con dosaggi meno gravosi. Ma appunto qui sta uno dei primi distinguo da fare per poter far luce sulla questione: quali sostanze sono considerante dopanti? La rispost,a apparentemente semplice, è ambigua perché ad essere considerante dopanti non sono solo alcune sostanze, ma anche il dosaggio e il periodo per cui ci si sottopone alla somministrazione. La legge italiana n. 376 del 14 dicembre 2000, recepita la normativa europea del 1989, sancisce che si considera doping: “la  somministrazione  o  l’assunzione di farmaci  o  di  sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e l’adozione o la sottoposizione a pratiche mediche non giustificate da condizioni   patologiche   ed   idonee  a  modificare  le  condizioni psicofisiche  o  biologiche  dell’organismo  al  fine  di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti”.

Come si evince in maniera molto semplice dalla lettura dell’articolo numero 2 della 376 non solo alcune sostanze specifiche sono da considerarsi dopanti, ma anche l’utilizzo di comuni prodotti farmaceutici che possano alterare le prestazioni degli atleti. Quindi, per fare un esempio banale, anche antidolorifici molto potenti potrebbero risultare sostanze dopanti se in qualche modo influiscono sulla prestazione di un atleta.

Qui c’è una ulteriore da riflessione da sottolineare che verrà buona per il ragionamento successivo: non si cerca in questa legge solo la salvaguardia della lealtà sportiva, ma anche “si applicano i controlli previsti dalle vigenti normative in tema di tutela della salute“. Quindi il sospetto o la possibilità che le sostanze dopanti nuociamo alla salute di chi ne fa abuso sono implicite nella stessa stesura della legge. Un motivo in più per capire cosa sono le sostanze dopanti. Nel Codice mondiale antidoping stilato nel 2016 le sostanze proibite vanno dagli agenti anabolizzanti (steroidi per esempio) agli ormoni peptici, ovvero tutte i fattori di crescita, oltre ai modulatori ormanali e metabolici. Appaiono anche diuretici insieme a stimolanti e narcotici. Leggendo meglio questa lista, con qualche opportuna traduzione, ci si accorge che anche sostanze comuni possono trasformarsi in doping in base alla quantità che ne si assume e alla durata del periodo di assunzione. All’articolo 3 della legge del 2000 si legge infatti che “sono  equiparate al doping la somministrazione  di   farmaci   o   di  sostanze  biologicamente  o farmacologicamente  attive  e  l’adozione  di  pratiche  mediche  non giustificate da condizioni patologiche”, mentre all’articolo 4 si chiarisce che “In presenza di condizioni patologiche dell’atleta documentate e certificate  dal  medico, all’atleta stesso può essere prescritto specifico trattamento purchè sia attuato secondo le modalità indicate nel relativo e specifico decreto di registrazione europea o nazionale ed i dosaggi previsti dalle specifiche esigenze terapeutiche“. Gli articoli di legge, quindi, chiariscono inequivocabilmente che anche l’utilizzo di farmaceutici di uso comune, possa diventare pratica dopante se utilizzati fuori da un stretto uso patologico.

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Riccardo Agricola (destra) e Antonio Giraudo (sinistra) durante il processo per abuso di farmaci della Juventus nel 2004 | Foto: LaPresse

Di per sè l’attività degli sportivi è evidentemente esposta ad un abuso di sostanze farmaceutiche (antidolorifici, integratori, ricostituenti chimici); quello che Dino Baggio fa intendere è che anche l’utilizzo di questi farmaci sia spesso praticato come abuso, con evidenti ricadute sulla salute di apparati importanti.

Ad avallare i dubbi di Dino Baggio ci sono alcuni indizi che complicano la faccenda. Il periodo in cui Dino Baggio fu compagno alla Juventus di Vialli, quindi il periodo a cui si riferiscono le sue affermazioni, sarebbe quello tra il 1992 e il 1994. Fa impressione notare che sono proprio gli anni in cui la Juventus dovette affrontare una causa per la somministrazione di EPO che vedeva come principale imputato Riccardo Agricola, allora responsabile sanitario della società bianconera, condannato in primo grado a un anno e dieci mesi per tali vicende (il reato cadde in prescrizione). Fa ancora più impressione osservare che Dino Baggio giocava nel Parma in quel fatidico 1999, anno in cui la squadra andava a giocarsi la finale della Coppa UEFA. Quella partita, poi vinta, fu resa famosa per il video in cui Cannavaro si riprende mentre si sottopone ad un’iniezione di Neoton (sostanza consentita n.b.) facendo una dichiarazione quantomai inquietante:

Come siamo ridotti, ho 25 anni e mi stanno ammazzando.

Video per la cui diffusione Cannavaro chiese 4 milioni di danni alla Rai, causa poi persa in prima istanza. Un periodo concitato quello per il calcio italiano, che difatti portò alla stesura della già citata legge 374 del 2000. Persino il pubblico ministero Raffaele Guariniello, che condusse l’inchiesta anti-doping sulla Juventus che condannò il dottor Agricola, ha sollevato più di un dubbio su tutto il tema tanto dichiarare al Fatto Quotidiano in occasione della morte di Sinisa Mihajlović:

Prima di parlare serve cautela, in questo momento sarebbe indelicato e completamente inutile fermarsi al caso singolo. Il fenomeno va studiato nel complesso a livello epidemiologico. Sul doping siamo tornati indietro di 30 anni.

I controlli e le leggi sul doping, seppure presenti dal 1966 nel mondo del calcio, arrivarono ad una buona attendibilità scientifica solo dopo il 1988, anno in cui scoppiò il caso Ben Johnson alle Olimpiadi di Seul, venendo completamente recepiti nel modo del calcio solo a metà degli anni Novanta. Questo sta a significare che la pratica dei “cocktail” di sostanze singolarmente non dopanti (o a bassi dosaggi) fu perpetrata sulla pelle dei calciatori tra gli anni Settanta e Ottanta, ma probabilmente anche fino a metà degli anni Novanta. Tali pratiche, facile immaginarlo a questo punto, si sono assopite solo con l’arrivo di controlli più specifici e mirati. A rivendicare questo fenomeno diffuso nel calcio di quarant’anni fa, ci sono anche le parole allusive di Walter Sabatini, ex direttore sportivo di Roma e Salernitana, che ha non solo avallato i dubbi di Dino Baggio, ma ripensando alla sua gioventù negli anni Settanta ha ricordato punture sospette da parte dei medici prima di alcune partite, senza che i calciatori venissero avvisati sul contenuto iniettato. Le parole di Dino Baggio sono destinate a far discutere ancora a lungo, ma perché si possa arrivare a smentirle senza ombra di dubbio dovrà passare ancora molto tempo e, soprattutto, la  conoscenza scientifica e medica dovrà fare grandi passi per poterci fornire risposte rassicuranti.

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