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E se la Brexit in Premier League fosse già iniziata?

Il calcio inglese negli ultimi venti anni ha sicuramente fatto da polena per il grande barcone del calcio internazionale con la usa capacità di incantare, per pubblico, colori e, of course, grandissimi campioni. Certo si parla di una ventina di anni perché ricordiamo che dopo la tragedia dell’Heysel alle squadre inglesi furono bandite le competizioni internazionali, con un conseguente calo della qualità della Premier League. Anni bui in cui la Football Association ebbe come primario obiettivo quello di abbattere il fenomeno degli Hooligan fuori e dentro la Gran Bretagna. Misure severe e precisissime, dal controllo degli accessi, alle telecamere a segnalare soggetti malintenzionati o non desiderati, e ovviamente l’esclusione a vita per i responsabili di atti violenti. Battaglia che la Football Association vinse grazie ad una grande determinazione, sprone che fu da esempio per tutte le federazioni europee che seguirono molti dei dettami. Pensate solo all’introduzione in Italia della tessera del tifoso o del provvedimento del Daspo (di cui si iniziò a parlare a livello europeo subito dopo l’Heysel), norme di sicuro figlie del modello inglese. Però a distanza di trent’anni dal reintegro delle squadre inglesi nelle competizioni europee ci ritroviamo a parlare di quanto il calcio inglese peserà sulla platea mondiale in futuro. Perché diciamolo chiaro e tondo, quando vinci in Europa vinci nel Mondo, prova ne sono le ultime dieci edizioni della Coppa del Mondo per Club.

I motivi per cui è legittimo domandarsi cosa succederà in Premier League sono molti e non per forza attengono tutti alla ragione economica, almeno non in prima analisi. Con la liberazione degli ingaggi agli stranieri (la famosa sentenza Bosman del 1995), la Premier League si è avvalsa del contributo di centinaia di giocatori provenienti da tutta Europa a condizioni vantaggiose, potendo permettersi di costruire squadre fatte da piccoli gioielli provenienti da tutti i campionati comunitari. Esempio ne sono i belgi, i portoghesi, gli spagnoli ma anche gli italiani che militano o hanno militato brillantemente nella prima divisione inglese.
Con l’uscita dalla comunità europea molti di questi giocatori diverrebbero a tutti gli effetti extracomunitari e quindi, sottoposti a leggi differenti sia per il reclutamento sia per il trattamento fiscale e sanitario. Apparentemente la questione potrebbe apparire da poco conto, ma analizzata nei particolari non è per niente semplice da districare. Basti pensare che attualmente in Premier League militano circa 400 giocatori interessati dalla questione e che potrebbero vedersi far fuori da questioni di tesseramento entro i limiti delle regole che governano l’apporto di extracomunitari al campionato inglese. Regole che sono il vero dibattito fra le due anime del calcio inglese, ovvero la FA e la Premier League. Se la prima basa la propria auctoritas sul primo regolamento della storia del calcio e su una certa autarchia di matrice inglese che tanto sembra far da contorno all’ideologia della Brexit, l’altra ha nella propria origine e la nella finalità principale ragioni economiche internazionali. Ovvio che due punti di vista così lontani e diversi non potessero che sfociare in una battaglia su un punto fondamentale: quanti extracomunitari posso giocare in una squadra inglese? La Premier League si sta battendo per non abbassare il numero degli extracomunitari a 12, la Football Association l’esatto contrario, in virtù di un fantomatico ritorno alla ricerca di campioni sul territorio britannico. Sembra abbastanza assurdo visto da qui questo scontro fra mentalità, ma le vittorie esaltanti di Boris Johnson e l’entusiasmo (non più solo fuori da Londra) per il “leave” ormai di fatto avvenuto, vi danno la complessità e la fragilità della questione. Ricordiamo inoltre, che se per portare un calciatore “famoso” in Premier League un modo lo si potrebbe trovare comunque, i problemi veri sorgono in almeno altri due casi interessanti.

Se la FA basa la propria auctoritas sul primo regolamento della storia del calcio e su una certa autarchia di matrice inglese che tanto sembra far da contorno all’ideologia della Brexit, la Premier League ha nella propria origine e la nella finalità principale ragioni economiche internazionali.

Il primo caso, esulando un attimo da calcio, é quello di portare un ingegnere italiano per la Formula Uno, un preparatore atletico o un nutrizionista tedesco (vedi Liverpool), o altre figure meno facilmente giustificabili come “necessarie”. In generale diventerà con tutta probabilità più difficile accaparrarsi le migliori menti che si occupano di sport con le nuove regole comunitarie. Un altro aspetto, forse ancora più importante, riguarda la libera circolazione dei minorenni che i club vorrebbero portare in Inghilterra prima del compimento del diciottesimo compleanno. Su questo punto la regola della Fifa è molto chiara: nessun minorenne si muove se non in ambito comunitario. Punto centrale perché grazie alle risorse economiche le scuole calcio inglesi hanno potuto arricchirsi davvero grazie ai talenti minorenni, spesso acquistati, cresciuti e rivenduti a parametri ben diversi da quelli di acquisto. Rimangono molte le questioni confuse riguardanti l’uscita dall’Inghilterra dalla Comunità Europea, quello che di sicuro sembra essere già partito è un generale stato di allerta che ha portato in poche settimane tanti talenti extracomunitari nei campionati europei. Su tutti basti pensare al mercato di Gennaio dell’Inter che dalla Premier League ha strappato già ben quattro talenti (escluso Lukaku ovviamente). E questa è proprio la domanda con cui vorrei concludere questo articolo: chi si avvantaggerà di un possibile ridimensionamento della Premier League?

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