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Attentato allo sport dilettantistico, chi si salverà?

Lo sport dilettantistico, quello delle associazioni sportive che si appoggiano anche sulle strutture pubbliche, come faranno a ripartire? È un tema spinoso e ancora rimasto inevaso che né il governo né tantomeno i comuni sono ancora riusciti ad affrontare. A sollevare la questione è il presidente del CONI, Giovanni Malagò, che si è espresso in maniera piuttosto drastica con parole che lasciano poco spazio all’immaginazione:

Se nelle palestre dovessero applicare le stesse regole che valgono per le aule scolastiche – vale a dire con le regole di distanziamento, evitare i contatti, le precauzioni necessarie da prendere per evitare il contagio e la sanificazione costante dei locali – sarebbe un dramma per le società sportive

Un allarme vero, reale perché di questi problemi ancora non si è parlato e non si è lavorato a dovere. Per carità, è vero che bisogna dare la precedenza alle attività economiche e alle persone che hanno bisogno di lavorare per poter sopravvivere, ma anche lo sport ha diritto di poter guardare al futuro. Soprattutto quello locale, dilettantistico che vive di passione e di volontariato grazie a persone che si mettono in gioco per il bene della propria comunità e che crea una rete di legami in territori che altrimenti non darebbero assolutamente nessuno svago ai più giovani. Le società sportive dilettantistiche nella quasi totalità dei casi non dispongono di strutture di proprietà dove svolgere le proprie attività. È necessario appoggiarsi alle palestre o ai centri sportivi comunali che si mettono a disposizione per ospitare le squadre di calcio, pallavolo, karate e di qualsiasi altra disciplina sportiva praticata da grandi e piccoli. Il futuro per queste società è una strada in salita, piena di imprevisti e con ben poche certezze. Innanzitutto, fino a questo momento – alcune novità dovrebbero arrivare dalla prossima settimana in avanti – nessuno sa come e quando si ricomincerà. Il nodo fondamentale è uno solo: finché non si potrà tornare a giocare, conviene ricominciare? Perché al momento alle società sportive è permesso ricominciare con gli allenamenti all’aperto, tanto che diverse squadre hanno già organizzato degli open day. Tutto questo sempre tenendo conto delle regole di distanziamento e delle precauzioni sanitarie necessarie, cose che spesso sono inapplicabili quando si parla di sport di squadra. Altre società, invece, si chiedono con che motivazione un ragazzino o una ragazzina si iscrive a calcio, a pallavolo o a qualsiasi altra disciplina se l’unica cosa che possono offrire è solo l’allenamento?

Un amante dello sport, grande o piccolo che sia, vuole competere, lottare contro un avversario, non sostenere un paio di sessioni di allenamento alla settimana. Inoltre, le società sportive sono pronte ad assumersi la responsabilità di fronte a un contagio tra i tesserati? Sembra una questione da poco, invece bisogna tener conto di un aspetto: quanti ragazzin sono in giro per le strade e i parchi cittadini che trascorrono il tempo insieme ai propri amici senza tener conto della minima precauzione? E se questi ragazzi che magari hanno contratto il virus, ma sono asintomatici e lo ignorano perché non si sono mai sottoposti a un test per verificarlo, dovessero contagiare la propria squadra, di chi sarebbe a questo punto la colpa? È la società sportiva che deve assumersi la responsabilità o la famiglia? Dovrebbe valere il principio del buonsenso, come in tutte le situazioni della nostra vita, ma quello che è ovvio è che le società sportive dilettantistiche non hanno la forza economica per sottoporre tutti i tesserati ai test sanitari.

Un altro argomento riguarda le società che per portare avanti la loro attività hanno bisogno di usufruire delle palestre all’interno delle scuole. Sappiamo quante discussioni sono nate attualmente riguardo la scuola e le misure da prendere per evitare il contagio. Questo vale anche per le società sportive (private o meno) che sfruttano gli spazi delle palestre scolastiche? Sì, più o meno, boh. Una risposta certa non esiste perché poi da amministrazione comunale ad amministrazione comunale cambia davvero tutto. Le domande sono tante: quante persone possono stare contemporaneamente in questi spazi? Una volta finita l’attività, chi si occupa della sanificazione? Chi deve pagare per fare in modo che tutto sia sempre sicuro? Se ancora oggi, a distanza di quasi due mesi dalla fine del lockdown, stiamo facendo la conta delle attività che non si sono rialzate dalla chiusura forzata, se c’è ancora chi sta aspettando gli aiuti economici promessi, dobbiamo prepararci a una strage di piccole associazioni sportive che, ingarbugliate tra domande senza risposta, scarso supporto da parte delle istituzioni e, soprattutto, senza ingressi economici derivanti dagli sponsor, dalle iscrizioni e dai biglietti per assistere alle partite, sono destinate a tirare giù la serranda. Il grido d’allarme del Coni è stato lanciato, ora sta a chi deve prendere delle decisioni scegliere la strada da seguire. Perché se muore lo sport dal basso, ahinoi, le conseguenze le sentiremo per tanto, tantissimo tempo.

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Pecco Bagnaia
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