Major League Baseball

Major League Baseball, questa volta non sarà una maratona

Tra qualche ora, nel cuore della notte tra oggi e domani ed in ritardo di quasi quattro mesi rispetto ai piani originari a causa della pandemia in corso partirà finalmente la stagione 2020 della MLB, ovvero il più importante e prestigioso campionato professionistico di baseball a livello mondiale. Purtroppo non c’è stato solo il Coronavirus a prolungare l’attesa degli appassionati, troncata sul nascere giusto all’inizio dello Spring Training a metà marzo, ma anche un lungo braccio di ferro tra i proprietari delle franchigie e i rappresentanti dei giocatori sulla questione della pro-quotizzazione degli stipendi e dei vari benefit da calcolarsi su un stagione alquanto ridotta. Il compromesso raggiunto non rappresenta di certo un viatico positivo in vista del prossimo rinnovo del contratto collettivo, giunto ormai a scadenza, ed è una lampante dimostrazione di mancanza di unità per uno sport che, negli States ma anche a livello globale, fatica ad attrarre nuovi adepti e spettatori.

Le trenta squadre al via affronteranno un calendario monco e sui generis, con 60 partite di stagione regolare, rispetto alle consuete 162, e caratterizzato da incroci stabiliti sulla base del criterio di vicinanza geografica, preferito alla classica divisione tra American e National League, al fine di evitare spostamenti e, quindi, occasioni di potenziali contagi. Non solo: stante il doloroso annullamento della stagione delle “minors”, ovvero le numerose leghe di sviluppo sparpagliate anche negli angoli più remoti e pittoreschi degli Stati Uniti e che fungono da bacino di pesca per le leghe maggiori, e a mente della tutela della salute dei giocatori, i roster saranno allargati inizialmente a trenta unità (per poi essere progressivamente ridotti a ventisei giocatori, ma non scordiamo che un totale di 60 atleti sarà comunque a disposizione della prima squadra in caso di infortuni o contagi) e, pertanto, si potranno ammirare i prospetti più interessanti anche molto prima del loro “naturale” processo di maturazione. Assisteremo all’adozione del battitore designato anche nella National League, forse accelerando quel processo di uniformazione regolamentare che tanti, soprattutto giocatori ed avanguardisti, auspicano da tempo e che viene osteggiato dai puristi e dai fan più accaniti delle strategie manageriali. Infine, con l’idea di evitare quelle non rarissime occasioni in cui la partita si prolunga anche per 6 o 7 ore, verrà introdotta la regola che prevede un corridore in seconda base all’inizio dell’eventuale extra-inning.

Al di là di un’ulteriore serie di aggiustamenti ed aggiornamenti principalmente legati alla tutela della salute di giocatori e tecnici – contenuti in un agile volumetto di circa 100 pagine reperibile anche online – e all’assenza del pubblico sugli spalti, occorre concentrarsi sul dato più importante, ovvero la drastica riduzione del numero di partite di un campionato che è normalmente paragonato ad una maratona e che, da aprile e fine settembre, scandisce da più di un secolo e mezzo l’estate degli americani. Le sessanta partite rappresentano poco più del 37% del consueto e costringerà giocatori e tecnici a mutare da “fondisti” a “sprinter”. Non sarà facile per nessuno e sarà senza dubbio il dato che più di tutti influenzerà la stagione alle porte. I pronostici della off-season non possono che essere rivisti poiché aumenterà fatalmente un’alea normalmente calmierata dal vasto numero di partite giocate e, pertanto, le squadre più attrezzate avranno molto meno tempo per dimostrare il loro valore tecnico. Ed è decisamente un gran peccato perché la stagione 2020 partiva sotto tutt’altri auspici. Poteva essere quella in cui le World Series avrebbero potuto essere caratterizzate da un imperdibile marquee matchup tra le due franchigie più ricche e riconoscibili di tutto il panorama americano, i New York Yankees ed i Los Angeles Dodgers, di recente messe in secondo piano – dal punto di vista dei successi sportivi – da Washington, Boston e San Francisco. Certo, forse accadrà lo stesso, ma nel Bronx e nella contea degli Angeli non vi è più quella certezza che aveva caratterizzato i mesi precedenti alla pandemia. Nella Grande Mela è approdato l’eccellente Gerrit Cole (con il suo stipendio da 36 milioni di dollari a stagione) a rinforzare il monte di lancio di una squadra stratosferica in attacco, ma ancora vagamente “sospetta” nella rotazione dei lanciatori partenti; ad Hollywood, dove da troppo tempo si sta aspettando la vittoria finale e frustrazione ed impazienza sono a livelli alquanto alti, è invece sbarcato Mookie Betts, lo straordinario e spettacolare esterno destro proveniente dai Red Sox, grande protagonista della vittoria ottenuta dalla franchigia del Massachusetts due anni fa.

E invece di parlare della possibile sfida tra queste due squadre, di ammirare l’evoluzione di una nuova generazione di protagonisti (per stile e tecnica di gioco) ben rappresentati da Robert Acuña Junior e dalla nouvelle vague di seconda generazione dei Toronto Blue Jays, di anticipare con ansia lo spettacolo che assicura da diversi anni un giocatore epocale come Mike Trout, di assistere alle reazioni dei lanciatori avversari degli Houston Astros (riconosciuti colpevoli di avere “rubato” i segnali con i quali i catcher avversari comunicano con i propri lanciatori), siamo qui a parlare di una “stagione da asterisco” e delle sue implicazioni non solo sportive. Due mesi o poco più di partite (esclusa la post-season, confermata per il classico mese di ottobre, pandemia permettendo, e da svolgersi seguendo il format che vede qualificarsi 10 squadre in totale) fanno pensare ad uno “sprint”, un percorso da affrontare tutto d’un fiato che a mio giudizio si giocherà in gran parte sulla continuità e lo stato di forma delle rotazioni dei partenti e del bull-pen. Un breve terreno ignoto, ciò nondimeno accidentato ed impervio, che metterà a durissima prova lo status da favoriti degli Yankees e dei Dodgers e che regalerà grandi sorprese dovute ad improvvise esplosioni di forma, a tremendi e prolungati slump e, ovviamente, alla determinazione dei singoli giocatori nel rispettare la “bolla” dello stadio e del centro di allenamento al fine di mantenersi Covid-19-free.

In questo senso credo siano da preferire quelle squadre che hanno già dimostrato nella scorsa stagione solidità e continuità nel dipartimento dei lanciatori e che hanno solo minimamente ritoccato il proprio personale. Su questo aspetto ritengo che non vi sia squadra più attrezzata dei Tampa Bay Rays. La franchigia della Florida centrale vanta un monte di lancio versatile ed omogeneo, impreziosito dalle prestazioni dell’asso Blake Snell, vincitore due stagioni fa del Cy Young Award per l’American League, ed arricchito dalla presenza del duttile Tyler Glasnow, dal veterano eternamente sottovalutato Charlie Morton e dal giovane asso Yonny Chirinos; i lanciatori di rilievo, poco noti al grande pubblico, hanno però già dimostrato di non sfigurare sotto pressione e questo anche a dimostrazione di uno staff di allenatori e tecnici senza pari in tutto il panorama delle Majors. Certamente il line-up di Tampa non può essere paragonato a quello dei rivali di division quali Yankees e Red Sox.

La sorpresa della National League potrebbe ancora una volta spuntare fuori dall’est. Sto pensando ad Atlanta e alla sua nidiata di giovani promettenti. Oltre al già citato Acuña Jr, troviamo Ozzie Albies e Mike Soroka, due delle sorprese più piacevoli del 2019. Il problema stagionale della franchigia della Georgia potrebbe però essere rappresentato dallo stato di salute dei suoi atleti di spicco: nessuna squadra è stata colpita dal nuovo Coronavirus come i Braves e sia Nick Markaikis che Félix Hérnandez hanno optato di non giocare quest’anno per preservare se stessi ed i propri congiunti dal rischio di infezione.

Al di là di pronostici e di illazioni varie, non si può che salutare positivamente – pur in mezzo a tante incertezze – il ritorno sul diamante dei professionisti della MLB: lo spettacolo, nonostante tutto, sarà decisamente assicurato e le prestazioni tecniche ed atletiche non mancheranno. Mancherà, tristemente, tutto il contorno della tipica, lunga stagione del baseball a stelle-e-strisce e mancherà tanto di ciò che costituisce questo importante caposaldo del lore americano: il pubblico sugli spalti, gli hot-dog ed i “Cracker Jacks”, i lunghi e torridi “dog days of summer”, la lotta dei giocatori più giovani che intraprendono la scalata dalle paludi del Singolo A fino alle Leghe Maggiori, la determinazione dei veterani ormai con poca benzina nel serbatoio, la romantica esperienza che solo un piccolo ballpark di una squadra di Minor League può dare. Insomma: ci saranno tabellini, statistiche e risultati e, ad ottobre (almeno si spera…), una franchigia potrà fregiarsi del titolo di Campione del Mondo, ma sicuramente non sarà la stessa cosa.

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