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Covid-19 e sport: gli sportivi sono davvero i più esposti al contagio?

Mentre i bollettini su contagiati e ospedalizzati dal Covid-19 continuano a salire in Europa e in Italia, si cerca disperatamente una lettura dei numeri, cercando nelle analisi un indirizzo, un andamento, un orientamento; cercando una lettura che possa darci un’indicazione certa su come abbassare il più possibile il rischio di contagio. La discussione è aperta e ad essere coinvolti sono praticamente tutti i settori produttivi: da quelli industriali a quelli che si occupano di svago e ristorazione.

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La ristorazione al tempo del Covid

Nessuno riesce con chiarezza a delineare una comfort zone (esclusa la clausura ovviamente), una campana in cui ci si possa sentire sicuri continuando a fare una vita normale. Seppur tutte le attività di ristorazione sono state le prime ad essere state messe sotto osservazione, non esistono dati sicuri sul numero dei contagi in quei luoghi. Stesso discorso per teatri, concerti e musei: i dati precisi non ci sono, ma ci si rifà ad un generico principio di non assembramento.

lockdown

Al contrario, dagli uffici e dalle attività produttive arrivano dati abbastanza allarmanti, considerando anche l’indotto (trasporti, mense, ecc), ma le restrizioni in favore del lavoro da casa sono ancora inspiegabilmente troppo superficiali. Colpito e affondato in maniera molto violenta è lo sport amatoriale, cioè le attività che producono meno business ma più aggregazione sociale. Scuole e società sportive intanto contano i positivi ai test, scambiandosi informazioni per bloccare in quarantena piccoli o grandi gruppi di ragazzi, cercando di arginare lo tsunami annunciato. Questo fino a pochi giorni fa quando il nuovo DPCM, varato dal governo, ha in sostanza bloccato ogni attività amatoriale che preveda il contatto. La ratio di questa nuova stretta sulle attività motorie di gruppo sarebbe una comprovata incidenza sui contagi degli sport che prevedono contatto fisico, distinguendo, però, fra quelli che possono prevedere allenamenti individuali o collettivi.

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Il Presidente Conte firma il nuovo DPCM

Regole italiane perfettamente in linea con quanto fatto da quasi tutti i Paesi europei, dove l’Inghilterra, la Francia e, con qualche distinguo, la Germania, hanno sostanzialmente riprodotto le nostre distinzioni. Del resto, le notizie sembrerebbero confermare la bontà del blocco delle attività sportive: il bollettino dei contagiati fra gli sportivi è in costante aumento senza soluzioni di continuità fra le diverse discipline. Da Valentino Rossi a Gaviria per le due ruote, da Federica Pellegrini alla squadra di Nazionale di nuoto – dove si contano 10 contagianti, da Ronaldo ai 9 giocatori del Genoa fino alle tre giocatrici di pallavolo, che per fortuna hanno già superato la fase acuta della malattia, gli sportivi appaiono una delle categorie più colpite dal Covid.

Ora la domanda è legittima e spontanea: qual è il legame tra la pratica sportiva e il contagio al virus? Per rispondere, però, bisogna distinguere almeno due questioni importanti: chi e dove pratica sport e, ovviamente, quale lettura dei dati diamo.

La prima questione importante è che se tra gli sportivi il numero dei contagi è decisamente notevole, bisogna tenere conto che il tasso di casi che degenerano apparirebbe basso. Molti medici concordano nel dire che i fisici più allenati avrebbero un sistema immunitario più pronto ad affrontare il virus. Un’ascia mediatica sugli sportivi si era abbattuta in Marzo col famoso “Caso 1” di Codogno, in cui per assurdo si era arrivati ad indicare la stessa pratica di sport come una delle possibili cause di ricezione del virus, per via di uno stress al sistema immunitario; i dati contraddicono nettamente questa interpretazione. Anzi, appare ormai confermato quasi unanimamente che sane abitudini di allenamento fisico renderebbero più resistenti alla degenerazione del virus.

La prima questione importante è che se tra gli sportivi il numero dei contagi è decisamente notevole, bisogna tenere conto che il tasso di casi che degenerano apparirebbe basso. Molti medici concordano nel dire che i fisici più allenati avrebbero un sistema immunitario più pronto ad affrontare il virus.

Rimane, però, un fatto centrale a cui apparirebbero ispirati tutti i decreti internazionali che bloccano le attività sportive amatoriali e non: la promiscuità. Con il termine promiscuità ci si riferisce a quei luoghi di contatto fra più persone difficili da sanificare repentinamente ad ogni utilizzo: spogliatoi, docce e servizi igienici. É ovvio che nei luoghi promiscui e con una grande frequentazione le possibilità di una svista sulle precauzioni – ad esempio, mani portate sul volto o in bocca – può essere fatale per contrarre il contagio ed in parte è inevitabile al di là del rispetto delle regole. Come risolvere il problema è una questione annosa a cui una ancora troppo oscura eziologia del Covid non dà la possibilità di rispondere in maniera netta. Da qui, probabilmente, l’intendimento generale di evitare la frequentazione di luoghi promiscui per natura che non siano inevitabili, anche per alleggerire il compito delle scuole.

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L’iniziativa solidale del Paris Saint-Germain

Rimane però aperta la questione che ha posto Le Monde, ovvero la sovraesposizione mediatica che avrebbero avuto i casi di Covid nel mondo del calcio. Citando il caso del Paris Saint-Germain, il quotidiano francese fa notare come molti dei casi scoperti nella squadra francese si sono rivelati in seguito frutto più delle vacanze estive che dell’attività sportiva. Abbiamo già notato come l’esposizione di molti sportivi, artisti, politici e personaggi dello spettacolo abbia notevolmente aumentato le possibilità di contagio, facendo quindi propendere fra le sue cause più l’alta frequenza di rapporti sociali che una specifica attività.

Rimane una questione annosa quella fra sport e contagio da Covid, ma non bisogna perdere di vista una fattore educativo e culturale molto importante. Se il vaccino dovesse attardarsi e i contagi dovessero continuare a crescere prolungando le restrizioni, ci ritroveremmo ad aver bloccato le attività sportive di milioni di pre adolescenti e adolescenti. Categorie per la quali lo sport non è solo divertimento o lavoro, ma crescita individuale e cultura fisica, una parte centrale dello sviluppo della personalità. Il rischio è grosso e prima di correrlo fino in fondo bisogna pensare a delle soluzioni alternative al blocco. Oltre ad alcune proposte abbastanza deboli, come l’utilizzo di visiere) nessuno sembrerebbe essere riuscito ad arrivare ad una soluzione concreta, situazione che fa ben poco sperare nell’immediato futuro dello sport amatoriale.

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