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Tiger Woods, mollare mai

Il golf, se approcciato correttamente, è uno sport humbling, ovvero una disciplina che rende umili. Un colpo buono, un colpo sbagliato. Una buca in par, un triplo-bogey. Una giornata di gloria, una giornata storta. Arrivare all’apice – a seconda degli obiettivi del singolo, che si tratti di scendere di qualche colpo di handicap per l’amatore, oppure vincere un major per un professionista – non è per niente facile, e ancor meno è rimanerci. La tecnica è particolarmente difficile e, come ricordano alcuni maestri, la complessità a livello neuro-motorio dei movimenti richiesti è paragonabile a quella di una disciplina acrobatica ed intensa come il salto con l’asta; in più, come avviene per quasi tutti gli sport individuali, l’aspetto piscologico risulta fondamentale. Nel golf, l’aspetto piscologico – specie a livello di pro – è addirittura preponderante su quello tecnico e fisico. Ecco che il paragone con la vita di tutti i giorni è così chiaro e diretto da risultare quasi banale.

Imparare, lottare, crescere, vincere, perdere, cadere, cadere ancora più in basso, tornare a crescere, risalire per vincere di nuovo: questo potrebbe essere il mantra della carriera e dalla vita di Tiger Woods, il più grande golfista dell’epoca contemporanea. La notizia dell’incidente stradale che lo ha coinvolto lo scorso 23 febbraio ha rattristato e preoccupato gli sportivi di tutto il mondo: ora che il pericolo più grave sembra essere passato, ci si domanda se Tiger sarà in grado di tornare a giocare e, ovviamente, a vincere. Se si trattasse di altri giocatori la risposta potrebbe essere che, tutto sommato, dati i trascorsi anche fisici piuttosto recenti, il ritiro dalle scene agonistiche sarebbe quasi scontato. Ma qui si parla di Tiger Woods, e non di un atleta qualsiasi.

Eldrick Tont “Tiger” Woods è apparso nemmeno ventenne sulla scena professionistica a metà degli anni Novanta e ha stupito tutti con la vittoria del Masters del 1997; il suo stile, la sua tecnica, il suo carisma ed i suoi successi l’hanno reso un’icona dello sport in generale, riportando nel contempo il grande pubblico ad appassionarsi al golf. Negli Stati Uniti e nelle Isole Britanniche, dove il golf ha perso da tempo quell’etichetta di passatempo per ricchi che, invece, purtroppo permane qui in Italia (un consiglio ai fumatori: scambiate le “bionde” per un abbonamento ad un circolo vicino a casa vostra; scoprirete, a fine anno, di riuscire a risparmiare in danaro e in salute), Tiger ha contribuito in maniera determinate a catturare nuovi tifosi e praticanti.

La sua incredibile tenuta mentale sul green e fairway è letteralmente oggetto di studi: se Tiger è in testa dopo tre giri, bè, c’è poco da fare; la vittoria è praticamente assicurata e la domenica, ovvero il giorno destinato all’ultimo giro dei tornei professionistici, diventa quasi una formalità e una passerella buona per sfoggiare la sua classica mise composta da maglietta rossa e pantaloni neri. Eppure… eppure, quando Woods sembrava ormai destinato a frantumare il record di 18 vittorie nei Majors (i quattro tornei professionistici più importanti: The Masters, PGA Championship, U.S. Open e The Open Championship) ancora oggi detenuto dal leggendario Jack Nicklaus, qualcosa si ruppe. Era il novembre del 2009 quando il mondo gli crollò addosso: la notizia del suo adulterio e dell’implosione del suo matrimonio – condito da un misterioso e quasi comico incidente stradale, comunque mai chiarito nella dinamica – divenne di dominio pubblico, così come venne svelata pubblicamente la sua grande fragilità umana. La moglie dell’epoca, l’ex-modella svedese Elin Nordgren, tradita e pubblicamente umiliata da una lunga serie di tradimenti, chiese ed ottenne il divorzio, e da lì per Tiger cominciò una lunga discesa verso una patetica dipendenza al Vicodin, all’Ambien e, pure e più banalmente, all’alcol. Questa sua profonda debolezza – così stupefacente, in apparenza, per un uomo spesso ammirato per la sua forza mentale – lo portò quindi lontano dalla famiglia, dai due figli, dal golf e dall’ambiente che lo circonda.

Ma quella che avrebbe potuto essere una storia di rammarico e sconfitta, l’ennesimo capitolo nel grande libro dei “campioni finiti nella fogna”, è invece diventata una straordinaria narrazione di redenzione: Tiger, ammessi i suoi enormi errori e riconosciute le sue debolezze, seppe risollevarsi, e questo nonostante una lunghissima serie di infortuni e problemi alla schiena (pensate che, ad un certo punto, la PGA decise di dedicare una sezione del proprio sito istituzionale ai suoi infortuni). Il campione – di nuovo ritrovato il suo equilibrio pisco-fisico – era quindi tornato per potere continuare a tessere quella trama interrottasi con la vittoria allo U.S. Open del 2008, ma, nonostante i successi di alcuni tornei tra il 2012 ed il 2013, Tiger non sembrava più lo stesso agli occhi di appassionati e commentatori. I tempi dei leggendari duelli con l’incredibile mancino Phil Mickelson o con il controverso Vijay Singh era sembrati ormai solo un lontano passato. Un Woods 2.0, più saggio e più triste, alla maniera del vecchio marinaio di Coleridge, ma anche fatalmente meno forte di prima.

Ma quando tutto sembrava destinato a continuare senza squilli, se non per qualche vittoria in tornei minori, accadde l’impensabile. Tra un’operazione alla schiena e l’altra, la tigre tornò a ruggire sul palcoscenico più importante: domenica 14 aprile 2019, ad Augusta – in uno dei momenti più emozionanti della storia del golf agonistico – Tiger Woods mise le mani sul suo quinto Masters, a distanza di quasi 22 anni dal suo primo “green jacket” (chi vince nel tempio della Georgia, oltre al premio più ricco di tutto il circuito professionistico, ottiene il diritto di indossare, per un anno e solo nei pressi del Augusta National Golf Club l’esclusiva giacca smeraldo). Una vittoria ottenuta in rimonta – purtroppo anche ai danni del nostro Chicco Molinari, il quale si trovava in testa fino all’undicesima buca del giro finale – a testamento di una ritrovata e rinnovata attitudine mentale: una prima assoluta per il buon Tiger che, per la prima volta nella sua carriera, vinse un major senza essere in testa dopo le prime tre giornate di gioco.

Un successo incredibile, insperato e impronosticabile; un trionfo che ha riportato Tiger dove si merita di essere, al vertice dello sport, abbracciato dal calore del pubblico e da quello dei suoi due figli.

Le notizie della cronaca più recente non sono purtroppo confortanti: il campione classe ’75 non è in pericolo di vita, ma i danni fisici riportati soprattutto alle gambe non paiono di lieve entità. Ma qui si parla di Tiger Woods, un campione unico e straordinario, capace di ritornare alla vita e al successo dopo una serie di sconfitte umane e sportive notevoli e gravissime. Ci si augura che questo incidente, sia solo l’ennesimo colpo finito in bunker di una vita e di una carriera che potrà essere ancora lunga e proficua. Chissà, magari tra un paio d’anni, lo rivedremo indossare nuovamente quella giacca verde contro tutti i pronostici; se c’è qualcuno che può riuscirci, questo è proprio lui: un uomo forte e fragile insieme, campione di golf e di resilienza.

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