Aurora Leone

Il caso Aurora Leone: 1921 – 2021

Da quanto in qua le donne giocano?“. Questa una delle frasi che l’attrice comica Aurora Leone, membro del gruppo The Jackal, si è sentita dire durante la cena organizzata in occasione della Partita del Cuore 2021. Una domanda che ha suscitato l’indignazione del mondo femminile che, ancora una volta, si è trovato ad essere vittima di un caso di palese discriminazione sessuale.

Tu non puoi giocare con noi, sei una femmina“; “Il calcio è un gioco da maschi“; “Ma cosa vuoi capirne del fuorigioco…sei una ragazza“. Queste e tante altre affermazioni simili risuonano nelle orecchie di tante ragazze e di tante donne, soprattutto quelle che, invece, il calcio lo amano davvero e il fuorigioco sanno perfettamente riconoscerlo. Ma, nonostante ciò, il mondo del calcio continua ad essere considerato dagli uomini come un territorio esclusivamente maschile dal quale le donne vengono puntualmente escluse, se non come “figurine” sugli spalti.

Questa è stata anche una delle giustificazioni offerta ad Aurora Leone dagli organizzatori della partita di beneficienza. L’attrice era stata convocata al pari dei colleghi uomini per entrare a far parte della squadra avversaria alla Nazionale Cantanti. Per questa ragione anche a lei sono state richieste misure e taglia per l’uniforme. Tuttavia, nel corso della cena di lunedì 24 maggio, all’attrice è stato chiesto di spostarsi dal tavolo al quale erano seduti gli altri artisti convocati perché, in quanto donna, le regole erano chiare. Alle proteste della Leone e del suo collega dei The Jackal, Ciro Priello, non solo è stato risposto che l’uniforme le sarebbe servita solo per stare sugli spalti, ma la coppia è stata anche cacciata dall’albergo nel quale alloggiava.

In molti, però, si sono chiesti come mai, ancora nel 2021, si possa verificare una situazione simile in un contesto nel quale lo sport dovrebbe essere solo un pretesto per riunire amichevolmente un gruppo di personaggi noti al fine di raccogliere fondi per una causa importante come la ricerca contro il cancro. In realtà, la storia della discriminazione delle donne nel mondo del calcio ha radici ben più antiche.

La prima squadra di calcio totalmente femminile di cui si ha memoria fu la Dick, Kerr’s Ladies Football Club, nata nel 1894 dalle operaie di una fabbrica del Lancashire. Fu nel 1895 che la squadra giocò la sua prima partita. Tuttavia, ancora alla fine della Prima Guerra Mondiale la British Football Association affermava: “Il calcio non è idoneo per le donne e non dovrebbe essere incoraggiato“, un’affermazione che ricorda molto da vicino quelle che Aurora Leone ha dovuto sentire 100 anni dopo.

Ma in questi 100 anni cosa è cambiato?

Tutto e niente. Per prima cosa ad un secolo di distanza, dopo innumerevoli battaglie le donne stanno ancora lottando per essere riconosciute al pari degli uomini anche nell’ambito sportivo: è vero, ad oggi esiste un calcio femminile che, purtroppo, non può sicuramente ritenersi speculare a quello maschile se si parla di investimenti, stipendi e opportunità. Dopo 100 anni è cambiato l’atteggiamento nei confronti della violenza di genere, denunciata sempre più spesso in modo altisonante anche da uomini di spicco. Non è un caso che le mascherine anti-covid che sono state realizzate per la Partita del Cuore 2021 recitassero proprio uno slogan volto a lanciare un messaggio di solidarietà alle donne vittime di violenza.

Dick, Kerr’s Ladies Football Club
Dick, Kerr’s Ladies Football Club

Alla luce dei fatti di lunedì 24 maggio, però, quello che sembra immutato è l’atteggiamento machista di eminenti esponenti del mondo calcistico che si associa ad un altro atteggiamento tipicamente maschile: un’interpretazione arbitraria del concetto di violenza sulle donne. È vero che sempre più uomini denunciano a gran voce le violenze e le discriminazioni che moltissime donne devono fronteggiare nella loro quotidianità, ma sono questi stessi uomini che non riescono a comprendere che di violenza di genere si tratta anche quando ad una donna viene chiesto di spostarsi di tavolo proprio a causa del suo genere. Per completare il quadro si dovrebbe anche tenere a mente che nel 2018 la Nazionale cantanti ha ricevuto gli stessi fondi del D.i.Re (Donne in rete per la prevenzione della violenza di genere).

Il mondo dello sport è stato, anche stavolta, uno specchio della società nel quale siamo inseriti. L’inclusività soccombe nuovamente davanti ai pregiudizi e alle discriminazioni di genere. Ad aggravare il gesto rimane il fatto che, in questo contesto, si tratta di una partita di calcio non agonistico, di un momento di condivisione nel quale lo sport dovrebbe unire più che dividere. Se è vero che nel 2021 si parla tanto di violenza sulle donne allora è il caso di parlarne sul serio. Ogni volta che una bambina si vede negata la possibilità di giocare a calcio con i compagni subisce una violenza; ogni volta che una ragazza viene liquidata perché, in quanto tale, non può capire nulla di calcio subisce una violenza; ogni volta che una donna viene considerata meno degna di un uomo nel praticare uno sport subisce una violenza. Tanti piccoli gesti, tante piccole parole che costruiscono un muro all’apparenza invalicabile. Si può partire dallo sport per abbatterlo? La strada è ancora lunga.

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