mike agassi

In morte di Mike Agassi

La morte del padre di Andre Agassi, Mike, è stata una notizia sconvolgente per gli amanti dello sport, ma anche per gli amanti delle storie, dei miti e della formazione delle leggende. Di Andre Agassi campione abbiamo sempre saputo tutto. Lo guardavamo in campo dalla fine degli anni Ottanta fino al 2006, anno in cui decise di ritirarsi dopo essere tornato quasi come agli inizi ai vertici del tennis mondiale. Osservavamo i suoi look a volte strampalati, accostandolo troppo spesso a McEnroe, personaggio diversissimo anche se vicino per eccentricità. Dietro quelle parrucche, quell’aria un po’ spavalda e un po’ timida si nascondevano delle storie, però, di cui saremmo venuti a conoscenza molto più tardi solo nel 2009, anno in cui sarà dato alle stampe il libro Open a firma del campione stesso.

andre agassi

Imprescindibile punto di partenza per chi voglia comprendere e capire il mondo di Agassi, Open ha rivelato il dietro le quinte dell’avventura sportiva e umana del tennista di Las Vegas, facendoci scoprire le fragilità e il percorso psicologico che avevano dato vita a quello strano personaggio che con in mano una racchetta diventava un mago. Merito anche di J.R. Moehringer, premio Pulitzer nel 2000, per la stesura della biografia. Suo il merito di aver indovinato immediatamente il tema centrale della vita di Agassi, quello che avrebbe coinvolto milioni di persone nella lettura di un vecchio mito: la lotta tra padre e figlio per diventare uomini.

Mike Agassi viene disegnato per tutto il libro come una sorta di dittatore, di padre-padrone nella vita di suo figlio, ma a leggerla bene non è così semplicistica la lettura. Sono molti i passi del libro che ci fanno intuire di che pasta era fatto l’uomo artefice di buona parte del successo di Andre, e vale la pena ora ripercorrerne alcuni a pochi giochi di distanza dalla sua dipartita. Innanzitutto la biografia paterna, tutt’altro che scontata o semplice, una storia fatta di successi, di fughe, ma anche da tanto pragmatismo.  Come tutti sanno Mike Agassi fu un pugile discreto in terra in Iran, terra che decise di abbandonare a tutti i costi, addirittura falsificando la propria identità. L’America ha significato il riscatto per Emanoul Aghassian (il suo vero nome). Ma il riscatto non è avvenuto, come sperato, nella boxe anche se l’uomo si diede da fare per mantenere dignitosamente la famiglia. Mike Agassi lavorò come croupier a Las Vegas, nella città della perdizione, del tutto-è-possibile, soprattutto che ti svuotino le tasche in una notte.

Ma Mike era uomo concreto, pratico, quasi scientifico nel metodo e conosce solo una cosa che permette di raggiungere risultati veri, duraturi: la fatica. Il suo progetto fu quello di piazzare almeno uno dei suoi figli nel ranking mondiale degli ATP. In Open, infatti, si scopre che anche il fratello e la sorella di Andre sono stati sottoposti a estenuanti allenamenti, ma solo lui aveva la stoffa campione. E questo potrebbe essere già di per sé un grande insegnamento pedagogico: esistono i metodi, esistono i ragionamenti, poi esiste il talento, una cosa diversa. Non vuol dire che solo alcuni possono arrivare a raggiungere risultati, anzi, vuol dire che individui diversi pagando diversi prezzi; possono raggiungere risultati diversi, ma è fondamentale che ognuno possa trovare la propria strada.

In un intervista del 2015, quando ormai Open era materia di studio per pedagogisti e psicologi, Andre raccontò che in macchina qualche giorno prima il padre aveva pronunciato una frase equivoca: “Tornassi indietro, non ti obbligherei a fare il tennista“. Pensando ad un pentimento per i metodi e la durezza in adolescenza Andre rimase zitto. “Ti farei fare il golfista, nel golf si guadagna molto di più.” Concretezza e pragmatismo, con una buona dose di cinismo, non sono mai mancati di certo a Mike Agassi. 

andre e mike agassi
Andre e Mike Agassi

Ma è soprattutto il rapporto personale tra Andre e Mike a rendersi degno di analisi e interesse, in un momento storico in cui le figure sono liquide e la ricerca di identità è diventata una priorità. Recalcati nel suo meraviglioso Cosa resta del padre immagina la figura del padre come un limite, come l’idea di confine e limite che segna il campo di azione e di trasgressione. Fondamentale secondo lo psicoterapeuta è che il padre superi l’effetto castrazione, seppure implicito, e si erga a limite per il desiderio ma anche per il raggiungimento dello stesso. Seguendo questa linea viene facile immaginare come Mike Agassi abbia chiuso in un recinto il suo ragazzo. Recinto dorato in cui tutto era successo, soldi, fama, ma da cui uscirne era necessità di affrancazione dalla figura invadente del padre.  Droga, eccessi, depressioni, sono state la parte oscura del rapporto padre-figlio Agassi, strappi alla quotidianità di fatica e successo di cui Andre doveva fare abuso per potersi sentire uomo prima che campione. 

Non è strano che Agassi inizi Open raccontando degli ultimi giorni, quelli in cui il mal di schiena e la pesantezza dell’ambiente tennistico si facevano sentire maggiormente. Ed è proprio da quello scorcio che vediamo il padre Mike uscire dalla vita di Andre che inizia così una nuova vita, con una donna come Stefy Graaf e nuovi progetti sociali.  E come in una sorta di atto psicomagico di Jodorosky, Andre chiude tutto in un libro che invece di Open (mai titolo fu più azzeccato) potrebbe chiamarsi La prima parte della mia vita: fuga dal padre.  Ma cosa avrebbe raggiunto Andre senza Mike? La domanda è stupida e malposta. Dovremmo chiederlo a tutti i bambini che a Bahia giocano nelle favelas e a tutti i bambini che perdono il futuro perché giocano tra le strade di Bamako e non su quelle di Parigi.

Ma qualcosa possiamo dirlo: il campione che ancora ricordiamo spesso nelle serate tra amici è il figlio di un percorso duro e faticoso che in alcuni momenti ha messo a dura prova l’uomo Andre. Riposi in pace ora Mike, ora che suo figlio ha perso tra le lacrime il suo miglior nemico e al tempo stesso il suo più grande mentore.

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