giampiero galeazzi

I Ray-Ban, lo spolverino e quella voce. Un ritratto di Giampiero Galeazzi

Sarà quel corpo grande e grosso, saranno stati gli occhiali Rey-Ban portati come un cronista americano o lo spolverino, sarà stata quella voce bella e sensuale sempre un po’ roca, ma di Giampiero Galeazzi anni Ottanta e Novanta ricordiamo quel misto di timore reverenziale e surreale che sprigionava ad ogni intervento televisivo. Basta osservare il linguaggio del corpo di Galeazzi mentre si avvicinava ai calciatori a bordo campo rubandoli parole mentre pensavano a tutt’altro. Vorrebbero non essere lì con un microfono in faccia mentre i muscoli sono ancora caldi per la competizione. Vorrebbero non rispondere, ma quando 1,96 di uomo ti si avvicina, ti mette una mano grossa intorno alle spalle, la paura di fare brutta figura diventa una spinta ad inventare una risposta che suoni intelligente. Guardate l’intervista a Pruzzo nell’anno dello scudetto a bordo campo, per esempio. Giampaolo Galeazzi era questo; una figura del suo tempo, in cui voce, presenza, abbigliamento corrispondevano esattamente a ciò che voleva emanare: un uomo preparato e colto che ti intervista come stessi dicendo la verità durante un’interrogatorio con un poliziotto scaltro.

giampiero galeazzi

Ovviamente tutta la personalità di Galeazzi era condita da una grande ironia, una joie de vivre coinvolgente e urgente, che travalicava sempre la serietà giornalistica per arrivare alle confessioni da trattoria. Galeazzi era anche questo: un uomo che viveva il suo tempo con gioia.

L’attività di giornalista del resto era arrivata dopo un’attività ben più impegnativa, in cui si era distinto a livello mondiale: il canottaggio. Amore di gioventù, amore di fatica. Negli ultimi anni di apparizioni televisive Galeazzi si dichiarerà canottiere dentro, nonostante le mille vite e i mille volti indossati. Sarà proprio il canottaggio a lanciarlo nel mondo del giornalismo sportivo come voce e poi volto della televisione nazionale.  Campione italiano nel 1967, Galeazzi aveva portato l’amore per il canottaggio oltre i fiumi e le piscine verso il grande schermo, complice anche l’annata favolosa per l’Italia grazie ai fratelli Abbagnale. Un incontro magico quello fra gli Abbagnale e Galeazzi, a distanza: loro dentro l’acqua e lui al microfono. Un incontro che portò nelle case degli italiani termini tecnici pronunciati con grande semplicità: alzare i colpi, c’è luce. Memorabile ancora oggi la sua telecronaca della vittoria dei due fratelli a Seul nel 1988. “Giuseppe e Carmine” li chiama; così entreranno nella storia, così entrerà nella storia della televisione la telecronaca di Galeazzi. 

Un linguaggio tecnico, preciso, scientifico, alternato ad una grande disinvoltura, con gioco, con passione. Gli Abbagnale rimaranno trent’anni amici di Galeazzi, fino ad oggi, complici di un’epopea tutti e tre insieme. 

Perché alla fine Giampiero Galeazzi cercava questo: estro, invenzione. Senza mai cadere nell’approssimazione, anzi con qualità. Invenzione televisiva come quando in piena festa scudetto Galeazzi consegna il microfono a Maradona e glielo fa portare dentro gli spogliatoi: una sorta di teatro delle ombre in versione pop. 

I calciatori che diventano uomini con le loro semplicità e le loro follie, ma tutti sull’attenti quando a passare il microfono c’è Galeazzi. Guardate per esempio la scena in cui portandolo per una spalla Galeazzi presenta Rummenigge (evidentemente imbarazzato) a Maradona prima di Inter-Napoli. I due sono spiazzati, si chiedono come possa permettersi quel giornalista di violare la loro santità, eppure succede. Così Maradona sta al gioco (poi diventeranno buoni amici), Rummenigge non capisce, intano va in scena una pagina di straordinaria normalità sull’ingessata televisione italiana degli anni ottanta.

Gesti ricambiati dall’ironia di alcuni calciatori nei confronti del giornalista-improvvisatore: Maradona alla vittoria dello scudetto del Napoli laverà Galeazzi, stessa sorte gli toccherà quando Materazzi vent’anni dopo vincerà lo scudetto con l’Inter. Memorabile nella scena in cui Materazzi lava Galeazzi il labiale di improperi atroci che il giornalista riverserà sul calciatore interista. 

Ricordiamo con più tenerezza, ma con uguale freschezza l’ultimo Galeazzi, quello che Mara Venier volle di fianco a sé per condurre Domenica In, un uomo ormai appagato dalla sua carriera che giocava con il suo soprannome diventato marchio: Bisteccone. Sketch improvvisati che potevano essere esempi della commedia dell’arte italiana, dove una bella e svampita veneziana si faceva circuire da un famelico guascone laziale, con la battuta pronta e con quel distacco da grande maschera.  Colpiscono le parole oggi di Abbagnale che quasi fatica a distinguere i propri gesti dalla voce che li narrava; divertono i ritratti di amici e colleghi che lo ricordano tutti per un aneddoto, ma pesa la mancanza della sua ironia colta nella televisione italiana. Galeazzi lascia in eredità a chi vorrà raccoglierla parole e divertimento, improvvisazione e fantasia, tecnicismo e leggerezza. Insomma una televisione diversa, che diversa lo era proprio perché gli attori erano altro da ciò che abbiamo. 

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