sandro ciotti
Sandro Ciotti, la sua voce inconfondibile ha accompagnato milioni di sportivi

La telecronaca e la vita là fuori

Se pensiamo a cosa sia una telecronaca chiudendo gli occhi, non sappiamo che cosa sia veramente. Non stiamo giocando col famoso paradosso di Sant’Agostino sul tempo, ma stiamo cercando di capire cosa siano quelle parole che con toni e modi diversi vengono adagiate su un campo di calcio mentre ventidue ragazzotti corrono dietro alla palla. Tolta da ogni conoscenza acquisita per abitudine, la telecronaca è la descrizione di quello che accade in un campo di calcio in diretta, una sorta di coro, come nel teatro greco, che sottolinea i passaggi di gioco a favore di una comprensione di ciò che sta avvenendo e che tutti vediamo. 

È possibile un calcio televisivo senza telecronaca? Ovviamente si, ma sarebbe un calcio molto diverso, più noioso, pieno di tempi morti che dal divano diventerebbero eternità di vuoto, non potendo contare sul flusso di vita che invece investe chi la partita la sta vivendo allo stadio. Per supplire a questa mancanza di vita allora subentra il telecronista, colui che come medium fra noi e la vita vera, che sta accadendo, crea un continuum esistenziale. Soprattutto, questa appare la sua funzione: farci percepire la sensazione di essere dentro un evento calcistico, non lasciarci lo spazio di dileguarci. Bisogna tra l’altro distinguere il cronista televisivo da quello radiofonico, perché il primo a differenza del secondo non ha bisogno di raccontare tutti i dettagli di una partita, per esempio le indicazioni spaziali non sono necessarie per chi non deve far immaginare la partita. Il telecronista deve raccontare un mondo, deve portarci dentro la partita, raccontarcela, mostrarci aspetti che non avevamo notato. 

A questo punto si dividono le strade sul significato di cosa una telecronaca. “La telecronaca è un accompagnamento della partita” racconta per esempio Paolo Maggioni, giornalista di RaiNews e scrittore di calcio.  “A me piace molto la telecronaca che agevola i momenti che non sono di facile comprensione, i particolari. Amo meno le telecronache che sottolineano i grandi goal, la grande rovesciata: momenti talmente universali da non aver bisogno di molte parole.” Una telecronaca quindi che dovrebbe accompagnare lo spettatore verso la comprensione di ciò che accade in campo, non esasperare i momenti eclatanti.

Ma la velocità del calcio e la sua importanza ovviamente hanno cambiato anche il modo di accompagnare con la telecronaca. Dalla prima telecronaca italiana di Carlo Baccarelli nel 1953 – una ormai mitica Italia-Cacoslovacchia al Ferraris di Genova – ad oggi, il mestiere di telecronista ha vissuto molteplici evoluzioni. Alessandro Rimi, telecronista per DAZN e giornalista di molte testate tra cui Il Foglio, ci spiega infatti come sia difficile oggi il mestiere di raccontare una partita:

Oggi fare telecronaca vuol dire muoversi sulla velocità nel recepire informazioni utili alla partita, consapevole che ormai tutto il pubblico sa già buona parte delle informazioni che racconti e che può verificare in diretta ogni notizia. Oggi fare il telecronista è difficile soprattutto per il confronto diretto e costante che hai con pubblico; un pubblico sempre informato al meglio e quasi sicuramente almeno al tuo livello di preparazione sulla partita per quanto tu la possa aver preparata al meglio.

Il “taccuino” del telecronista è diventato uno strumento fluido, connesso, aggiornato su ogni statistica e ogni trend riguardante qualunque protagonista della partita.  Questo primo cambiamento della telecronaca, ovviamente è stato guidato da un passaggio dello strumento televisivo rispetto agli eventi sportivi. Se la telecronaca degli anni Settanta e Ottanta era quasi esclusivamente un racconto didascalico dell’evento, oggi la telecronaca è qualcosa in più: lo spettatore ricerca dalla telecronaca precisazioni, spiegazioni, chiarimenti. Alla ricerca di uno spunto su come il calcio raccontato si sia evoluto, Alessandro Rimi ci racconta un’indicazione illuminante colta proprio al suo arrivo su DAZN:

il calcio è talmente cambiato che ora la telecronaca non è più ‘Mettiti a sedere che ti racconto la partita‘ ma ‘Andiamoci a sedere insieme sul divano e raccontiamo la partita‘.

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Sandro Ciotti, la sua voce inconfondibile ha accompagnato milioni di sportivi

Un evoluzione del racconto del calcio che è partito lentamente negli anni, attraversando cambiamenti tecnologici ma anche di costume. Paolo Maggioni (autodefinitosi topo di biblioteca a archivi) ricostruisce attraverso la chiave dell’ironia e citando fenomeni collaterali alla telecronaca un percorso di smontaggio rispetto all’atmosfera sacrale del calcio narrato fino agli Settanta.

Il primo elemento di rottura in pieno regime di monopolio Rai fu proprio quello di Beppe Viola con la sua smitizzazione del calcio, a cui fanno seguito anche esperimenti come Bar Sport su Radio Popolare, da cui nascerà la Gialappa’s Band e poi naturalmente l’avvento delle televisioni private. Prima Finivest con Sandro Piccinini, forse la più grande novità, poi Sky e DAZN che di certo hanno portato ad un cambiamento nel racconto da uno stile Rai, che guardava ad un altro target, alla nascita del fenomeno.

Ovviamente“, commenta Rimi, “quando parli di una telecronaca come nel mio caso per DAZN sai che stai andando a parlare ad un pubblico molto giovane, molto brillante. Un pubblico che dai dati che raccogliamo usa velocemente anche il calcio, guarda gli highlights, va a vedere il colpo di tacco pazzesco solamente e poi torna a giocare.” Ma se da un lato questa consapevolezza deve in qualche modo condurre una partita, dall’altro non deve dominarlo il rischio, aggiunge Rimi, “di scimmiottare lo slang dei quindicenni e il loro linguaggio, anche se a volte è davvero molto interessante, oltre a tagliare fuori dalla telecronaca dai quarantenni in su“.

Quello che di certo è entrato nella telecronaca è l’emotività, la passione, l’ambiente in cui la partita è raccontata. “La famosa Inter-Tottenham del 2018 (quella della garra charrua di Lele Adani per intenderci) fu tanto critica“, dice Paolo Maggioni, “ma è figlia di quello che stava succedendo in un stadio impazzito, una bolgia dantesca. Quell’entusiasmo che appare eccessivo è figlio di un contesto. Io personalmente amo la telecronaca che dà emozione, non amo l’autopsia della partita.” Elemento quello dell’emozione che sottolinea anche Alessandro Rimi dicendo che “il grande telecronista è colui che emoziona e sa emozionarsi“, sottolineando però il limite “di usare molte parole provenienti da altri vocabolari, soprattutto quello spagnolo, di certo fra i più forniti di espressioni (taconazo, cabezazo, golazo). Bisogna scegliere il momento giusto; è anche una questione di istinto e di quando sei in sintonia con la partita.

Un calcio globale è sempre più espanso, ma ha sviluppato tecniche differenti nella diverse patrie del calcio come sottolinea Alessandro Rimi:

Guardò tanti eventi commentanti da telecronisti francesi, inglesi, spagnoli, anche per lavoro ed è affasciante notare le differenze, le sfumature. Ad un racconto preciso e pulito come quello inglese e francese, fa da contraltare il commento spagnolo più simile a quello italiano, ma ancora più ricco di parole, di vocali. Poi c’è quello tedesco, che si avvale invece delle pause, del silenzio. 20-30 secondi di silenzio tra un commento e l’altro.

La scoperta più grande, però, viene dalla scelta di guardare una settimana di eventi su un canale solo o su più canali stando attenti ai linguaggi usati e alle espressioni. Personalmente una settimana fa, pensando a questo pezzo, mi annotavo mentalmente alcune espressioni colte distrattamente mentre saltellavo tra le partite della domenica calcistica. Incolla la palla col Vinavil, gli undici di Inzaghi, clamoroso all’Olimpico: i due ragazzini fanno 2 a 2. Espressioni nate dal mescolarsi di vecchio e nuovo, di linguaggio vicino al pubblico e linguaggio che si rifà ai grandi telecronisti. “Personalmente“, continua Rimi, “non credo ai grandi salti, seppure si possono individuare macro-aree per le telecronache. Credo che ogni cronista debba essere personale per raggiungere davvero il pubblico, e ognuno nel proprio essere personale coglie più la novità o i richiami a grandi cronisti del passato. Ma ripeto è l’essere personale che fa il cronista originale e interessante per il pubblico.

Naturalmente come in ogni umana facenzia si entra finalmente nel gusto personale; a chi preferisce una telecronaca sobria e severa, fa immediatamente eco chi ha bisogno di sentire la partecipazione del telecronista e dell’ambiente in cui la partita è raccontata. Chi preferisce la telecronaca di Sandro Piccinini e il suo mitico sciabolata, chi come ci ricorda Alessandro Rimi ordina il nome prima del cognome alla Caressa, Andreiiii… Shevtchenko, chi è legato ancora allo stile confortante di Bruno Pizzul, Il Campionato del mondo è finito, lo vince il Brasile. Modi di raccontare che spesso, come quasi tutto nella vita, rispecchiano la nostra personalità e il nostro modo di rappresentarci nel mondo. 

Mi piace la partecipazione – riusciamo a convincere Paolo Maggioni ad esprimere alcuni gusti personali – mi piace la sensazione che il telecronista sia parte di un popolo anche a rischio di un’accusa di partigianeria. Se proprio dovessi scegliere uno fra tanti grandi telecronisti, forse direi Massimo Marianella, per il suo racconto curato e colto dal punto di vista linguistico. Ma in questo momento sto riscoprendo anche con grande piacere il radio racconto su Radio Rai, dove da Riccardo Cucchi a Francesco Repice sono eredi sicuramente di Ameri e Ciotti e nel contempo sperimentatori e scopritori di nuovi talenti. Una fucina in continua evoluzione.

La parola si confonde allora con la vita. La domenica passa attraverso le voci dei telecronisti. Così mentre la vita scorre noi vinciamo sul tempo, come direbbe Brodskij, con la bellezza delle gesta dei nostri eroi sportivi. E ogni volta che il telecronista dice “ultima scena“, come nel caso di Alessandro Rimi, sappiamo che c’è da alzarsi dal divano: la partita è finita, l’amico con la voce rassicurante va via. Si torna nel bene e nel male a vivere. 

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