ulama gioco della pelota

Ulama, il gioco della pelota

E se esistesse uno sport a metà fra la pallacanestro e il calcio? Come sarebbe? Probabilmente oggi storceremmo il naso davanti a questo presupposto, ma prima, molto prima della nascita del football o del basket esisteva uno sport che univa alcuni dei fondamenti più importanti di queste due discipline oggi amatissime. Se NBA e Calcio fanno girare gran parte dell’economia occidentale, dobbiamo attribuire tale successo ai Maya. Lo sport che circa tremila anni fa riempiva le loro giornate poco libere era il gioco della pelota. A mostrarlo, in modo più o meno veritiero, è un film d’animazione della DreamWorks Animation si intitola la Strada per El Dorado. Se non avete visto questo lungometraggio del 2000 girato da Bibo Bergeron, Jeffrey Katzenberg e Don Paul lo potete recuperare su Netflix e vi garantisco che sia da un punto di vista tecnico che narrativo è un prodotto davvero di buon livello. All’epoca, ormai 22 anni fa, incassò poco, anzi pochissimo: a fronte di un budget superiore ai 90 milioni di dollari, il botteghino – confermato da boxofficemojo – non è arrivato nemmeno a 80 milioni di dollari in tutto il mondo. Un insuccesso che ha, purtroppo, castrato il film anche da un punto di vista artistico mentre, tutt’oggi, rimane un buon prodotto tra avventura e divertimento. Tornando, però, al gioco della pelota presente all’interno del film d’animazione dello studio americano, questo non era soltanto uno sport, ma un rituale religioso che prendeva il nome di Ulama

L’ulama non ha delle regole scritte, almeno è rimasto ben poco di quello che si poteva sapere tra i cittadini della civiltà Maya. Quando parliamo di civiltà Maya, parliamo di un numero quasi indecifrabile di paesi, paesini e di persone coinvolte con varianti e regole differenti. Quelle in comune sono essenzialmente queste: la struttura che ospita il gioco era all’aperto in costruzioni a forma di I o di due T, una dritta e una rovesciata, unite nella parte centrale. Queste strutture erano delimitate da bassi muretti o da pareti inclinate o verticali dove venivano aggiunti gli anelli in cui segnare. La palla, dal peso di circa 5 chili, era fatta di una specie di caucciù, e i giocatori indossavano delle protezioni alla testa e al corpo; i migliori giocatori, di solito, non utilizzavano protezioni come a dimostrare la propria forza e la propria bravura. Le due squadre (il numero dei giocatori non è ben definito, a volte cinque, a volte di più) potevano colpire la palla solo con le anche, ma, come detto, alcune varianti concedevano i colpi con gli avambracci. L’obiettivo del gioco era quello di far passare – oggi diremmo fare canestro probabilmente –  la palla negli anelli. La squadra che conquistava la vittoria pretendeva la testa del capitano avversario, che veniva decapitato finita la partita. Alcuni ricercatori hanno constatato che attraverso l’utilizzo dell’ulama si potessero risolvere alcuni conflitti senza sfociare in battaglie. Questo permetteva alla fazione perdente di sacrificare il capitano della squadra per evitare una vera e propria guerra. 

ulama gioco della pelota

Le popolazioni che abitavano nel Centroamerica amavano utilizzare la palla come oggetto di divertimento, ma anche di culto. Per loro infatti la pelota e il movimento della stessa rappresentavano gli astri. È nota, infatti, la grande capacità di quei popoli a conoscere i corpi celesti. Il pallone, oggi come allora, dona quella capacità di incertezza, di continuo moto, di ripetitività non controllabile, esattamente come la vita che ci prende, ci sposta, ci dona esperienze, fallimenti e successi, in eterno fermento senza soluzione di continuità. La leggenda dei miti Maya narra che la lotta tra i signori oscuri e gli eroi Hunahpú e Ixbalanqué, ossia coloro che hanno dato vita all’umanità, ebbe inizio proprio con il gioco della pelota. È un po’’diversa, invece, la solfa per gli Aztechi che in questo gioco la palla simboleggiava lo scontro tra la notte e le forze oscure, capitanate dalla dea Coyolxauhqui e Huitzilopochtli. Quest’ultimo vinse la battaglia sul campo da gioco proprio contro Coyolxauhqui. Da questa vittoria iniziò a sgorgare l’acqua che rese fertile la terra da sempre arida e improduttiva di Tula. 

La squadra che conquistava la vittoria pretendeva la testa del capitano avversario, che veniva decapitato finita la partita.

Un gioco, una leggenda, un mito. Il gioco della pelota nei secoli ha preso molte declinazioni, dal calcio al basket, passando per la pallavolo e il rugby. Sport che hanno dentro regole antiche, passioni carnali, emozioni forti, ma anche religioni. Alcuni dei derby più importanti della storia degli sport nascono da dissapori di carattere religioso, l’esempio più famoso è quello calcistico tra Celtic e Rangers, ma ce ne sono molti altri. Per fortuna, quando una delle due squadre perde, il capitano – alla peggio – chiede scusa i tifosi.

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