cristiano ronaldo

Non giudicate CR7

Cristiano Ronaldo che si allena da solo, lontano da tutti i suoi compagni è l’immagine perfetta dell’eclissi di una carriera. E nel suo caso l’immagine è ancora più potente perché si tratta del calciatore che più di ogni altro nella storia ha incarnato l’archetipo del giocatore-superstar. CR7 è stato il singolo rispetto alla squadra, la stella tra i gregari, l’eccellenza che emerge dalla normalità. Vederlo ora fuori dalle gerarchie del Manchester Und., retrocesso fino a non essere convocato, è una situazione difficile da metabolizzare, anche a diversi giorni di distanza. Beninteso, non stiamo parlando del più grande giocatore della storia né dei nostri tempi. Certo il dualismo Messi o Ronaldo ha riecheggiato frequentemente negli ultimi anni, i 5 Palloni d’Oro sono sempre lì a ricordarci che è stato un gran calciatore, ma è probabile che, a differenza della sua nemesi argentina, la storia di lui ricorderà per prima cosa il suo essere egocentrico, vanesio e ambizioso, di quell’ambizione cupa, spinta non per la gloria di tutti, ma solo di se stesso. 

Il suo declino, triste, solitario y final, ha una storia lunga che non nasce a Manchester. E non è nemmeno legato ad un fattore anagrafico; anzi, Ronaldo, come dimostrato nella partita contro l’Everton di inizio ottobre, ha mostrato una discreta forma fisica, dimostrando di essere ancora uno dei più temibili animali d’area di rigore in attività. Ma, come ha scritto ​​Jonathan Liew sul The Guardian, le peculiarità che lo hanno reso grande sono ora quelle che stanno accelerando la sua fine. CR7 non sta reggendo il nuovo che avanza. Il calcio sta cambiando: è sempre più intenso; gli attaccanti devono contribuire alla fase difensiva con sempre maggior aggressività e attenzione; il sistema e le idee di gioco contano molto di più del singolo, per quanto talentuoso e motivato. Ronaldo ha sempre avuto la necessità, prima per il suo orgoglio e poi per il suo gioco, di avere una squadra costruita intorno a lui, e in questo mi ricorda molto Don Chisciotte, l’ultimo eroe romantico di un passato che non tornerà più.  

Gli stessi principi su cui Ronaldo ha costruito non solo il suo gioco ma la sua fama, non solo la sua carriera ma tutta la sua psiche, si stanno erodendo davanti ai suoi occhi.

Jonathan Liew

La domanda allora è solo una: come sta vivendo questo suo lungo tramonto? Un quesito troppo personale per avere una risposta precisa. Per questo molti si sono limitati semplicemente a tratteggiarlo come il cattivo dei fumetti, riducendo la sua complessità umana a un elenco di numeri decontestualizzati. Ad aprile, Ronaldo e la sua compagna Georgina hanno perso durante il parto il figlio appena nato. Era uno dei gemelli; l’altra è sopravvissuta. Ronaldo ha scritto che è stata “la più grande tristezza” della sua vita. Nei giorni successivi il mondo del calcio si è radunato attorno a lui, ma poi, come è solito fare, è passato ad altro. Ma Ronaldo è passato ad altro? Nessuno dall’esterno può dire con certezza in che modo questa tragedia lo abbia condizionato. Ognuno elabora il lutto a suo modo. Ma chiunque ha perso un figlio sa che è un momento che cambia la vita: un dolore che sfida le parole o il conforto, la cui scia di tristezza si sente non solo per settimane o mesi, ma per anni, per sempre. Diventa pertanto difficile e onestamente anche stupido cercare di entrare nella sua psiche.

Di certo, tutti coloro che, con più o meno marcata ironia, hanno commentato e giudicato il suo rifiuto di giocare e la sua fuga negli spogliatoi durante la partita contro il Tottenham, non hanno lasciato spazio ad interpretare quel gesto come con lo sfogo emotivo di un padre che ha perso il figlio. Ma, è questo che vogliamo continuare a leggere e ascoltare quando guardiamo una partita? Nemmeno un po’ di semplice compassione?

cristiano ronaldo

C’è poi un altro aspetto da considerare: il suo declino atletico, che in molti casi, specie in calciatori come Ronaldo, è paragonabile ad una morte sportiva, una brutale riappropriazione della propria mortalità. Per Ronaldo è ragionevole presumere che questa resa dei conti lo colpirà più duramente di molti, visti i picchi che ha scalato e i livelli di fiducia in se stessi necessari per sostenerli. Ronaldo non sarà mai lontanamente bravo in nessun’altra cosa come lo è stato nel calcio. Ora alla soglia dei 40 anni questo lo sta segnando irreparabilmente. 

Lo United lo sapeva, o almeno avrebbe dovuto saperlo. Invece, ha scelto di investire quasi 60 milioni di euro tra cartellino e stipendi per un attaccante di 36 anni senza nessuna strategia di uscita. In un certo senso, sia lo United che Ronaldo erano felici di indulgere nella stessa illusione: che i bei tempi continuassero semplicemente a scorrere, che la realtà potesse essere cancellata attraverso la potenza del brand, il magnetismo della stella e la pura volontà. Ronaldo ora potrebbe tirarsi indietro e riconoscere i suoi limiti, ma farlo significherebbe andare contro ogni tratto distintivo che lo ha portato in cima. E così mentre lo United decide di andare avanti senza aspettarlo, Ronaldo resta fermo; solo, imprigionato dal tempo.

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