tratta degli schiavi

L’ambiguità delle Chiese riguardo alla schiavitù

In principio fu san Paolo ad avallare la pratica della schiavitù, esortando gli schiavi ad accettare la loro condizione in virtù di un mantenimento di uno status quo. Nella concezione della parola schiavo, l’apostolo riassumeva il concetto stesso di cristianesimo, perché solo nella schiavitù si poteva trovare la vera libertà.

Il pensiero dell’Apostolo dei Gentili era il frutto di una contraddizione evidente delle Sacre Scritture. Se nel Nuovo Testamento riecheggiano condanne esplicite (“Tutti voi infatti siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” – Lettera ai Galati, 3,26-28), nell’Antico Testamento la legittimazione è altrettanto evidente. L’episodio centrale, destinato ad avere conseguenze secolari, è la maledizione di Cam, figlio di Noè e padre di Canaan, considerato il capostipite dei neri. La vicenda, raccontata nel libro della Genesi, vide Noè, uscito dall’arca dopo il diluvio, giacere nudo nella sua tenda. Lo scoprì in tale situazione Cam, e andò a raccontare il fatto ai fratelli che provvidero a coprire le nudità del padre. Noè, saputo quant’era avvenuto, maledisse Canaan, figlio di Cam, e gli predisse la schiavitù verso i suoi fratelli.

Sia maledetto Canaan! Schiavo degli schiavi sarà per i suoi fratelli!

Genesi 9,25-26

Gli stessi padri della Chiesa, Lattanzio e Gregorio di Nissa (III-IV secolo d.C.), non mancarono di evidenziare la contraddizione di una religione che se da un lato professava l’amore per il prossimo dall’altra ne predicava il suo asservimento. Il primo a cercare di trovare una conciliazione fu Agostino, il quale nel De civitate Dei, individuando le radici della schiavitù nel peccato originale, la trasformò in una punizione personale e collettiva. Fu così che nel XIII secolo Tommaso d’Aquino nella Summa theologiae riuscì a cociliare l’idea agostiniana della schiavitù come castigo con il pensiero aristotelico dello schiavo naturale: la schiavitù derivava sì dalla colpa originaria, ma era pure, a un secondo livello, affare del diritto positivo nella misura in cui ogni individuo doveva accettare di essere inserito in un ordine gerarchico sottoponendosi all’autorità superiore” (Patrizia Delpiano). Pertanto sono condivisibili le considerazioni di Alphonse Quenum:

Il cristianesimo non ha mai attaccato frontalmente la schiavitù; non l’hai mai condannata esplicitamente, perché non mirava a cambiare le strutture della società terrestre, che gli parevano trascurabili.

Ciò è ancora più evidente se si considera che all’alba della tratta e della schiavitù atlantiche la Chiesa non solo non si oppose, ma le avallò ufficialmente. Prova ne è la bolla Dum diversas (18 giugno 1452) in cui il papa Niccolò V autorizzava il sovrano del Portogallo, Alfonso V, ad “attaccare, conquistare e sottomettere in perpetua servitù i saraceni pagani e gli altri infedeli nemici di Cristo”. A cui si aggiunse due anni dopo la bolla Romanus pontifex in cui il papa riconosceva al Portogallo i diritti di conquista sui territori assoggettati in Africa, avallando di fatto il commercio degli schiavi. Si trattava non solo di una volontà di evangelizzazione e conversione forzata di molti africani, ma anche di una mossa politica per mantenere un’alleanza con una potenza dell’area mediterranea in seguito alla caduta di Costantinopoli per mano turca. A suggellare poi quest’alleanza e la tratta degli schiavi oltreoceano furono la bolla Inter coetera del 1493 e il Trattato di Torsedillas del 1494.

tratta degli schiavi

Interessante notare come, una volta legittimate la tratta e la schivitù dell’Africa, la Chiesa assunse un atteggiamento completamente diverso con gli indios delle Americhe. Il dibattito nacque ai margini della Chiesa ufficiale, in particolar modo negli ambienti della Seconda scolastica, dove il domenicano Francisco de Vitoria nelle sue lezioni De Indis et de jure belli relactiones affermò per primo l’unità della specie umana. Ma al centro della discussione non era la schiavitù in sè quanto la sua legittima acquisizione, ovvero la liceità dei metodi con cui i conquistadores spagnoli catturavano e assoggettavano gli indigeni. Fu con il domenicano Bartolomé de Las Casas che per la prima volta venne condannata la schiavitù degli indios evocando la fratellanza cristiana. E le sue prese di posizioni influirono nell’emanazione delle Nueves leyes da parte di Carlo V in cui vennero riviste le condizioni di schiavitù degli indigeni americani. C’è da dire però, che lo stesso Las Casas propose l’uso degli schiavi neri al posto di quelli indiani nelle colonie spagnole, dimostrando ancora una volta l’inquietudine e le contraddizioni delle coscienze cattoliche sul tema. 

Il motivo di questo diverso trattamento tra gli schiavi indiani e quelli africani sta innanzitutto nell’incapacità di riconoscere la natura umana di quest’ultimi. Ammettere che individui così diversi, a partire dal colore della pelle, fossero considerati “veri uomini” avrebbe messo in crisi il principio biblico dell’unicità del genere umano. C’era poi sempre la maledizione di Cam, la cui discenza era stata maledetta. Questi erano anche i motivi per cui non solo la chiesa cattolica, ma anche quelle riformate, non attaccarono mai la pratica schiavista. Oltretutto, più dei cattolici, i protestanti consideravano che in un mondo dominato dal peccato, la schiavitù rappresentasse un mezzo per la redenzione per tutti coloro predestinati alla salvezza divina. È vero anche, però, che fu proprio nel protestantesimo anglosassone che tra Sei e Settecento maturò l’antischiavismo, in particolare grazie all’operatività del movimento quacchero. A differenza delle altre fedi protestanti quella quacchera si basava su un forte misticismo in cui prevaleva una fede individuale senza distinzioni di genere, colore e status sociale. Erano di per sé devoti che avevano provato sulla propria pelle l’emarginazione: condannati all’esilio acuirono la loro sensibilità per tutti gli esclusi. I quaccheri poi crearono una relazione molto forte con un altro movimento che diede nuova linfa all’antischiavismo: il Great Awakening. Sviluppatosi tra il 1740 e il 1760 in Gran Bretagna e nelle colonie americane, questo movimento, il cui nome significa grande risveglio, propugnava l’idea di un’uguaglianza spirituale tra tutti gli uomini. Fu tra queste fila oltre che negli ambienti dei cosiddetti rational dissenters, la cui religione si basava sulla ragione e sulla tolleranza, che sorse la prima società abolizionista europea nel 1787 a Londra: la Society for the Abolition of the Slave Trade.

tratta degli schiavi
Proclamazione dell’abolizione della schiavitù nelle colonie francesi – 1848, Francois-Auguste Biard

Quanto alla chiesa cattolica dopo la bolla papale del 1537 in cui si riconobbe agli indios (solo ad essi) la dignità di essere umani e si proibì di asservire “detti indios e tutte le genti che in futuro giungeranno alla conoscenza dei cristiani, anche se vivono al di fuori della fede cristiana“, nessuna presa di posizione venne presa per secoli contro la schiavitù nera e contro la schiavitù tout court. Occorse aspettare il congresso di Vienna (1815) in cui il papa Pio VII si impegnò nella lotta contro la tratta (una scelta imposta, secondo alcuni storici, dal gabinetto inglese). Per una condanna esplicita non solo della tratta ma anche della schiavitù bisognò attendere la lettera apostolica In supremo del 1839 con cui Gregorio XVI bollò entrambe le pratiche come “atrocità“. Gli fece eco nel 1888 papa Leone XIII, il quale con la lettera enciclica In plurimis condannava la pratica schiavista come in contrasto con quanto “in principio era stato stabilito da Dio e dalla natura“. Non solo, in un attacco alla cultura classica dello schiavo di natura chiarì che la Chiesa non si era affrettata ad intervenire a favore dell’emancipazione degli schiavi perché ciò sarebbe accaduto “in moto tumultuoso, con danno proprio di essi e a detrimento della società“.

È chiaro dunque che la Chiesa cattolica, che si servì degli schiavi fino all’Ottocento, abbia vissuto una contraddizione con cui è difficile fare i conti persino oggi. È difficile pensare che questo sia dipeso solo dal suo ruolo politico. C’era una valenza dogmatica con cui era difficile scendere a compromessi. Ciò vale anche per le chiese protestanti. Non è un caso infatti che i primi movimenti schiavisti siano nati al di fuori delle chiese ufficiali, da movimenti che ebbero la sensibilità di leggere significati diversi nelle Sacre Scritture.

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