Allende Colo Colo
Allende insieme ai giocatori del Colo Colo

Colo Colo, la squadra che ritardò il golpe

In quella pratica sempre più consuetudinaria che ormai denominiamo “uso politico della storia”, ogni singolo aspetto può costituire un elemento di dibattito: dall’intitolazione delle piazze ai programmi scolastici, passando per i dibattiti in seno all’opinione pubblica e sui talk show, arrivando finanche… al calendario, come dimostra la nevrosi comparativa che in Italia vede una Giornata della Memoria e una, con evidente intento di risarcimento, se non di par condicio, Giornata del Ricordo appena quindici giorni dopo; in fin dei conti anche sulle ricorrenze e sulle relative celebrazioni si possono condurre battaglie politiche, a maggior ragione se la data è contesa, nel senso che può annoverare episodi che contribuiscono a creare memorialistiche diverse.

A tal riguardo, e uscendo dai nostri confini nazionali, forse una delle date più onnicomprensive è quella dell’ 11 settembre che adesso è indissolubilmente legato al più grande attentato terroristico della storia contemporanea, quello alle Torri Gemelle del 2001. Ma non è l’unico evento luttuoso legato a quella data. L’11 settembre è anche il Dia de la Catalunya – in quel giorno del 1714, Barcellona cadde nelle mani delle truppe borboniche e con essa l’indipendenza catalana; mentre oltre duecentocinquant’anni dopo, nel 1973 si consumava il golpe cileno, che destituì il Presidente Allende, democraticamente eletto il 3 novembre 1970, ad opera di una giunta militare capeggiata dal tristemente noto Augusto Pinochet. Possiamo quasi affermare che intorno a questa data si sia creata una sorta di derby della memoria imperniato sul concetto di antiamericanismo/antimperialismo.

Eppure il golpe cileno, che di fatto comportò la fine dell’illusione di raggiungere il potere per le forze progressiste e socialiste attraverso le elezioni democratiche, non era previsto per quella data, ma qualche mese prima e la causa per cui esso venne rinviato ha un nome: Colo Colo. Ma andiamo con ordine.

Salvador Allende

Potrebbe sembrare una boutade per chi non conosce il “Cacique“, come lo chiamano i suoi tifosi. Infatti, il club nasce nel 1925, da una scissione in seno al Deportivo Magallanes, ad opera di alcuni calciatori che chiedevano il riconoscimento dello status professionistico, capeggiati da David Arellano, colui che Eduardo Galeano riconosce come l’inventore della chilena e che poi andò incontro a una fine tragica pochi anni dopo, quando morì 24enne in seguito ad un contrasto di gioco. Il nome scelto per il nuovo club non fu affatto casuale, Colo Colo infatti era uno dei più validi guerrieri Mapuche che alla metà del sedicesimo secolo a capo di un esercito di indigeni riuscì a tenere in scacco per diverso tempo i conquistadores, infliggendogli anche una cocente sconfitta nella Battaglia di Tucapel nel 1533. Va da sé che una squadra con una genesi e una denominazione così particolare, non sarebbe mai e poi mai restata anonima, ma in questo caso si è quasi voluto esagerare. Si stima che circa il 46% dei cileni tifi per Los Albos, la percentuale salirebbe ulteriormente se dovessimo riferirci soltanto alle classi più umili, ai migranti e alle persone di origine Mapuche, tant’è che, secondo alcuni sociologhi, il tifo per il Colo Colo rappresenta quasi una subcultura che permea tutto il Paese andino e dal canto suo, il club si è rivelato il più vincente del Cile, potendo annoverare ben 33 campionati vinti, 13 Coppe nazionali e 3 Supercoppe, oltre ad essere l’unico club cileno a non essere mai retrocesso in Seconda Divisione. 

Mientras Colo Colo gane, el ‘Chicho’ está seguro

Non deve quindi sorprendere che il Colo Colo già durante gli anni Settanta rappresentasse una sorta di termometro emozionale del Paese. Ne era consapevole anche lo stesso Allende che prima delle partite importanti convocava il tecnico de Los Albos augurandogli la vittoria, perché “avrebbe tenuto unito il Paese“; a maggior ragione in un periodo in cui l’andamento entusiasmante della spedizione continentale del club era inversamente proporzionale al clima che si respirava in un Cile diviso come non mai. Il 1973 è l’anno in cui le forze della reazione decidono di farla finita una volta per tutte con la democrazia in Cile e, con l’aiuto determinante della CIA, elaborarono una strategia che avrebbe portato il Paese nel caos: misero il Governo in ginocchio per mezzo dello sciopero dei camioneros e di altri sindacati padronali, a cui fece da sponda la sospensione dei finanziamenti da parte del Banco Americano de Desarollo (orchestrato da Nixon in persona su insistenti richieste di Pinochet, tra l’altro tifoso dei Wanderers di Valparaiso) che di fatto fece crollare l’economia cilena e la credibilità del suo presidente. 

Allende Colo Colo
Allende insieme ai giocatori del Colo Colo

Probabilmente l’unica cosa che in quel convulso periodo funzionava in Cile era proprio il Colo Colo, impegnato in un’entusiasmante spedizione in Copa Libertadores che gli faceva accattivare le simpatie anche dei tifosi delle altre squadre cilene, perché di fatto le imprese compiute nel subcontinente latino americano univano un’intera nazione, fungendo quasi da balsamo per lenire le ferite sempre più profonde che trasfiguravano il Paese. A dimostrarlo, la media spettatori, nettamente la più alta del Cile nel campionato del 1972, con oltre 40.000 spettatori, che sarebbero raddoppiati nelle gare di coppa della stagione successiva. Proprio gli 80.000 fissi in Copa Libertadores, funsero da deterrente per le suggestioni golpiste del caudillo Pinochet, che aveva ben altri progetti per l’Estadio Nacional e sapeva benissimo che privare “El Cacique” del suo tempio e quindi i cileni del loro sogno, sarebbe stato a dir poco controproducente per i suoi progetti. 

A dimostrazione di quanto fosse autentico e viscerale il sentimento provato dai cileni per quel Colo Colo, Luis Urrutia, autore del libro Colo Colo, la squadra che ritardò il golpe, ha scritto: “anche durante i lavori per la metropolitana di Santiago, gli operai portavano da casa una televisione e si fermavano quando giocava el Cacique”. D’altronde quella era una squadra da stropicciarsi gli occhi che impressionava tutto il Sud America. Non a caso il Colo Colo fu la prima squadra cilena a vincere in Brasile, andando a espugnare il leggendario Maracanà di Rio de Janeiro, grazie alla vittoria per due reti a una contro il Botafogo che aprì al Colo Colo le porte del paradiso: la finalissima di Copa Libertadores contro gli argentini dell’Independiente. Era la prima volta che una squadra cilena arrivava a quel punto e soltanto i tempi supplementari della bella di Montevideo e un arbitraggio discutibile spezzarono il sogno di un’intera nazione.

I documenti ritrovati a distanza di decenni testimoniano come i primi progetti golpistici erano programmati già per il marzo precedente, in seguito alle elezioni parlamentari. Non è un caso che appena la competizione terminò con la sconfitta del Colo Colo, ci fu il Tancazo, una sorta di prova generale del golpe di settembre. Sarebbe superficiale pensare che il Colo Colo fu avversato da Pinochet, anzi tutt’altro. Infatti, pur non avendo mai perso occasione per palesare il suo disprezzo per i mapuche, visti come una quinta colonna del comunismo da estirpare a tutti i costi, il generale seppe utilizzare i successi della squadra per accrescere il prestigio del Cile e dotò il club di un nuovo stadio, l’Estadio Monumental David Arellano, (cosa che gli viene puntualmente rinfacciata dai rivali cittadini della Universidad de Chile che invece venne bistrattata per tutta la durata del regime e il cui stadio divenne tristemente noto per essere diventato un campo di concentramento per dissidenti politici).

In ogni caso, quella squadra poteva contare su alcuni talenti davvero cristallini: Luis ‘Zorro’ Álamos, ‘Chamaco’ Valdés, Guillermo Páez, Leonardo Véliz e, soprattutto lui Carlos Caszely, molto più di un semplice simpatizzante comunista, una spina nel fianco nei confronti del regime di Pinochet. Pur non essendo la squadra militante che una certa agiografia ha delineato successivamente, era chiaro che il Colo Colo arrecava grandi servigi alla causa della democrazia e del socialismo in Cile. C’era più di un calciatore schierato con Allende, dal centrocampista Manuel Rubilar a Páez e Vèliz; e molti provavano comunque empatia per il presidente marxista. Tuttavia, la parabola politica e calcistica di Caszely, merita una storia a parte.

Carlos Caszely
Carlos Caszely

Figlio di un ferroviere di origini ungheresi, non nascose mai la sua antipatia nei confronti di Pinochet e la evidenziò rifiutandosi di stringere la mano al dittatore che passava in rassegna la nazionale che avrebbe partecipato ai Mondiali del 1974 (nonostante fu costretto a segnare “il gol della vergogna” nella partita-farsa contro l’URSS). Copione analogo undici anni dopo, la parabola agonistica dell’implacabile bomber stava volgendo al termine quando durante un incontro istituzionale a La Moneda (il palazzo presidenziale cileno) si presentò deliberatamente con una cravatta rossa e alla specifica domanda di Pinochet sul perché di quella scelta, rispose con fierezza: “La porto sempre dalla parte del cuore!“.

Questi due episodi sono intervallati da una storia con due bisettrici, quella della vita privata fatta di pedinamenti, calunnie e di tutto il possibile per dipingerlo come nemico della patria, visto che non aveva mai abiurato le sue idee, e quella sul campo, scritta a suon di gol e di titoli con la maglia del Colo Colo, ma costellata da episodi dubbi con la maglia della “Roja” che contribuirono a creare quell’alone di sospetto sulla sua persona e sulla sua eventuale indole da sabotatore: l’espulsione nei Mondiali del 1974 ( la prima nella storia della competizione) contro i padroni di casa della Germania dell’Ovest, e soprattutto il rigore sbagliato contro l’Austria nel 1982 che decretò l’eliminazione degli andini dal Mondiale. Il duello a distanza tra Pinochet e Caszely poté ritenersi concluso nel 1988, quando recitò in uno spot elettorale valido per il referendum per decidere se il popolo cileno volesse o meno conferire un ulteriore mandato di otto anni al dittatore cileno.

È alle spalle della madre, la stringe a sé mentre elenca tutte le brutalità subite durante il regime e durante la detenzione. Negli ultimi secondi di video Caszely si palesa e prende parola:

Per questo il mio voto è NO. Perché la sua allegria è la mia allegria, perché i suoi sentimenti sono i miei sentimenti, perché domani potremo vivere in una democrazia libera, sana, solidale, che tutti possiamo condividere. Perché questa bella signora è mia madre.

A vincere fu proprio il No e ancora oggi molti ritengono che quel video fu decisivo nell’indirizzare le intenzioni di voto di tantissimi cileni che erano ancora indecisi. Eppure, per uno scherzo del destino, il Colo Colo aspettò il tramonto della dittatura per diventare la prima squadra cilena a vincere la Copa Libertadores, nel 1991 sconfiggendo in finale i paraguaiani dell’Olimpia Asuncion.

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