Estadio Nacional 1973
Dissidenti di Pinochet portati nell'Estadio Nacional

Cile-URSS 1973, la partita fantasma

Avevamo paura per noi e le nostre famiglie, in squadra eravamo quasi tutti allendisti

Guillermo Paez

Un colpo tra tanti. In quel settembre del 1973 Santiago del Cile si svegliò tra bombe, fughe e morti. Aerei di fabbricazione inglese e americana squarciavano i cieli della capitale. Caos, fumo, grida, spari. Mentre i militari, guidati da Augusto Pinochet e supportati dagli USA nell’operazione Condor, imperversarono per le strade, nel Palacio de La Moneda, la sede del governo, Patricio Guijon, medico personale di Allende, entrò nell’ufficio del Presidente nel momento esatto in cui con il mitra Ak-47, regalo dell’amico Fidel Castro, Salvador Allende si tolse la vita. Un colpo ed il sogno di un Paese del popolo e per il popolo finì per sempre.

In quelle stesse ore la Roja, la nazionale di calcio cilena, avrebbe dovuto radunarsi per prepararsi alle qualificazioni mondiali. Il ct Luis Alamos, però, considerata la situazione, decise di annullare il ritiro e molti mentre ritornarono con l’ansia e la paura dalle proprie famiglie vennero fermati e perquisiti dai carabineros che presidiavano le strade.

Ci lasciavano andare solo perché avevamo la borsa della nazionale

Eduardo Herrera

La democrazia era morta. Lunga vita a Pinochet, ai militari e agli americani. Il Cile si ritrovò fascista e mentre tra le strade e nelle case germogliarono violenza e paura, in tutto il mondo salì un grido di protesta contro il nuovo governo e contro Kissinger&Co, anche da alcuni Paesi alleati degli yankees. Alla fine della repressione militare si contarono più di 40mila desaparecidos. Ad opporsi in maniera netta e dura, però, fu l’Unione Sovietica, capofila di quella metà del mondo che avversava la legittimità e l’esito dei tragici fatti cileni. Ironia del destino, nello spareggio per i Mondiali del 1974 la Roja avrebbe dovuto sfidare proprio la nazionale sovietica. Così al contrario di quanto volesse il regime, la politica entrò prepotente nel campo da gioco, segnando una delle pagine più nere nella storia dei Mondiali.

La partita di andata si giocò a Mosca in un clima oltremodo teso; nei giorni precedenti si parlò solo delle violenze e delle migliaia di famiglie spezzate. Il clima fu così inquieto che persino Pinochet pensò di annullare l’incontro, ma i buoni uffici del dottor Jacobo Helo, medico della nazionale e del braccio destro di Pinochet, il generale dell’aeronautica Gustavo Leigh, gli fecero cambiare idea. Dall’altra parte del mondo Breznev aveva rotto le relazioni diplomatiche con il Cile e aveva disposto un oscuramento totale: nessuna emittente radiotelevisiva avrebbe potuto trasmettere la partita.

Quel mercoledì nello stadio Lenin ci furono circa 100mila spettatori, nessun cronista. La partita fu a senso unico, un assedio dei vice-campioni d’Europa nella metà campo dei cileni, ma questi ultimi resistettero grazie anche alla conduzione della gara totalmente a favore dei sudamericani dell’arbitro brasiliano Armando Marques, convinto anticomunista. La partita terminò 0-0. Al rientro a Santiago i giocatori furono accolti con il massimo degli onori e ricevuti dal dittatore.

Estadio Nacional 1973
Dissidenti di Pinochet portati nell’Estadio Nacional

Nel mentre l’Estadio Nacional di Santiago si era trasformato in un campo di prigionia e tortura per tutti gli oppositori del regime. Si presume che siano state uccise 41 persone negli spogliatoi. Quando la notizia si sparse nel mondo, l’URSS chiese di spostare la partita in qualsiasi altro stadio della Germania Ovest, ma come spesso accade in questi casi la FIFA tergiversò. Per placare le polemiche il 24 ottobre furono inviati due emissari del massimo organo calcistico, il segretario generale Helmut Kaeser e il vicepresidente della commissione arbitrale Abilio de Almeida, per verificare la situazione. L’ispezione rasentò il ridicolo, trovando tollerabile situazioni aberranti: molti oppositori erano ammassati sugli spalti, ma gli uomini del regime si affrettarono a spiegare che si trattava semplicemente di gente senza i documenti. Molti altri, invece, erano rinchiusi in alcune stanze all’interno dello stadio che gli emissari non controllarono. Nel rapporto scrissero: “Tranquillità totale“.

Visitarono solo il campo, guardandoci da lontano

Gregorio Mena Barrales, governatore di Puente Alto, detenuto in quei giorni

Così la FIFA decise: la partita di ritorno valida per i Mondiali si sarebbe disputata nell’Estadio Nacional di Santiago del Cile il 21 novembre. Fu in quel momento che il Politburo prese la decisione che cambiò la storia, almeno quella dei Mondiali: niente visto per i giocatori. Niente visto voleva dire niente partita. “Gli sportivi sovietici non possono giocare nello stadio macchiato del sangue dei patrioti cileni“, questo il testo del telegramma inviato alla Fifa. La federazione incassò il colpo nel peggiore dei modi: informò la federazione cilena che nonostante la qualificazione per i Mondiali era cosa fatta, la partita doveva avere comunque luogo. Così eccolo l’Estadio Nacional con gli spalti presidiati dai militari e da poco più di 18mila persone, lì solo per trovare i parenti imprigionati. Sfortuna loro i desaparecidos vennero trasferiti in una località segreta nel deserto di Atacam.

Mentre andavamo allo stadio ci fermavano i parenti dei sequestrati e chiedevano di verificare se i loro cari erano lì dentro.

Carlos Caszely

La partita avvenne in un clima surreale senza la nazionale sovietica, giusto il tempo perché gli undici giocatori cileni, senza avversari, segnassero il gol vittoria, riuscendo nell’azione precedente ad andare persino in fuorigioco. Ma dato che quei 18mila avevano pagato il biglietto, ci fu poi davvero una partita: l’amichevole tra la Roja e i brasiliani del Santos. Finì 5 a 0. 

Fu la Fifa a ordinarci di giocare e di fare quel gol. Una farsa, una menzogna assoluta, contro tutta la filosofia e l’essenza dello sport. Avevamo i brividi per essere in un luogo di tortura e di morte, provavamo dolore e angoscia. Ma noi giocatori non potevamo fare altro che difendere il nostro Paese

Carlos Caszely

Il 5 gennaio 1974 la Fifa inflisse all’URSS il 2-0 a tavolino, mille dollari di multa e dichiarò il Cile ufficialmente qualificato. L’avventura della Roja in Germania fu terribile: venne eliminata al primo turno, ma la dittatura di Pinochet durò ancora per molti anni. Solo nel 1989 i cileni poterono ritornare al voto e riprendere un percorso democratico. Il dittatore rimase a capo delle forze armate fino al 1998 e divenne senatore a vita fino al 2002, godendo dell’immunità parlamentare, per poi salvarsi dalle diverse condanne internazionali per il suo precario stato di salute fino al 2006, anno della sua morte. Ad oggi si contano ufficialmente 2.298 morti, 1.210 desaparecidos e 28.259 vittime di tortura. Lunga vita a Pinochet, ai militari, agli statunitensi e alla FIFA.

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