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Robert Capa a lavoro durante la guerra civile spagnola. Foto: la sua compagna di vita, Gerda Taro

Robert Capa al Tour!

Ora è notte tarda e io sono seduto nel centro di una stanza d’albergo estremamente cupa, circondato da centonovanta milioni di russi, quattro macchine fotografiche, poche dozzine di pellicole impressionate e molte di più non ancora impressionate, uno Steinbeck che dorme, e io non sono per niente contento. I centonovanta milioni di russi sono contro di me. Non ci sono scontri all’angolo delle strade, né casi di libero amore che facciano scandalo, non hanno un aspetto che salti all’occhio, ma sono gente onesta, dabbene e dedita al lavoro; e per un fotografo sono un cibo che non sa di niente.

Il senso della fotografia per Robert Capa è tutto in questo lamento autoironico che scrisse nel 1947 quando insieme all’amico scrittore John Steinbeck andò, per lo stupore della società finta liberal americana, in Unione Sovietica per raccontare la vita privata dei russi della quale nessuno fino ad allora sapeva nulla. Capa è sempre stato descritto come un fotografo di guerra, probabilmente il più grande del XX secolo, ma associarlo solamente alla guerra è limitativo; quello che il fotografo ungherese instancabilmente e audacemente cercava di raccontare con la sua macchina fotografica era il conflitto, non necessariamente armato. Il conflitto è scontro, è velocità, è rischio, è, in un’ottica squisitamente futurista, creazione di qualcosa di nuovo. 

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Robert Capa durante la guerra civile spagnola. Foto: la sua compagna di vita, Gerda Taro

Non deve quindi sorprendere sapere che nel 1939 Capa era in Francia, non per una guerra o un evento politico, ma per il Tour. All’epoca il fotografo ungherese aveva 25 anni ed era l’astro nascente della fotografia mondiale, grazie al suo reportage durante la guerra civile spagnola. In quel contesto scattò la foto divenuta poi simbolo della resistenza repubblicana: un soldato in tunica bianca immortalato nell’attimo in cui viene colpito a morte da un proiettile sparato dai franchisti. Capa portò il suo sguardo fresco in quella che sarebbe stata l’ultima manifestazione del Tour per molti anni. L’apocalisse era alle porte: le squadre italiane e tedesche decisero di non partecipare e il team spagnolo era stato falcidiato dalla guerra. Eppure nelle foto di Capa non emerge nessuna tensione o paura, anzi il suo sguardo si posa sugli aspetti più innocenti della competizione. Non c’è la gara, c’è il contesto.

Sebbene fosse nato a Budapest come Endre Ernő Friedmann, Capa visse a Parigi negli anni Trenta, usando il suo nuovo nome per ottenere più commesse. Le sue foto del Tour sono uno sguardo indietro nel tempo in una Francia che non è Parigi, ma quella dei piccoli villaggi con gli scolari ben vestiti, con i presentatori dai polmoni d’acciaio e con i foulard di seta indossati dalle donzelle la domenica. 

Robert Capa tour de france 1

I suoi tentativi corrivi di tenersi al passo con i ciclisti lo portarono a fare l’autostop per avere un passaggio sulle motociclette di colleghi o semplici spettatori; in questo modo le sue foto sono le prime a rivelare sia il dolore che la concentrazione sui volti dei corridori, ma anche il sollievo nei momenti di riposo e svago. Il suo sguardo è umano e nei volti che ritrae non ci sono ombre. Emblematiche sono le foto di fronte al negozio di Monsieur Cloarec: la prima mostra un gruppetto di circa 20 persone, per lo più bambini e ragazzi, con i volti girati in trepidante attesa dell’arrivo dei corridori; la seconda li mostra pochi secondi dopo con le teste girate nella direzione opposta per inseguire i ciclisti appena sfrecciati lì davanti. 

Robert Capa tour de france 2

Monsieur Cloarec era il proprietario dell’omonimo negozio di biciclette ed era tra i concorrenti quel giorno, avendo vinto la tappa da Rennes a Brest. Capa fotografò Pierrot, il figlioletto di Cloarec, con una mano sul ginocchio e una sulla fronte, gli occhi socchiusi e lo sguardo fisso in lontananza come un esploratore indiano, in attesa dell’apparizione di suo padre.  

Robert Capa tour de france 2

Come una pellicola neorealista è soprattutto attraverso lo sguardo dei ragazzini che Capa ci racconta il Tour. Tenera è la foto che ritrae un crocchio di ragazzi in bici che discutono sulla gara, così come quella che riprende dei bambini ammassati davanti al negozio di Cloarec mentre leggono i risultati sul giornale. Il Tour dà l’impressione di essere così artigianale rispetto a quelli degli ultimi anni che le foto di Capa sembrano raccontare uno sport diverso in un paese lontano, forse neanche reale. Lo stupore degli spettatori, la fatica dei corridori, il cameratismo e le abbuffate: è il Tour de France di Capa, il Tour de France di un passato che ha visto nel ciclismo l’unico sollievo di un popolo che si stava preparando alla guerra.

Una guerra che Capa avrebbe vissuto in prima persona seguendo prima lo sbarco alleato in Sicilia, paracadutandosi al seguito della fanteria USA, e poi il D-Day dove del suo reportage rimarranno solo ​​undici fotogrammi danneggiati. Da quel momento molte altre guerre furono catturare dal suo obiettivo sempre in prima linea perché come amava ripetere: “se le tue foto non sono abbastanza buone, non sei abbastanza vicino.

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