pasolini calcio

Il calcio secondo Pasolini

Pasolini ancora oggi è uno degli intellettuali più difficili da decifrare e ascoltare in Italia. Tante le sfumature che si colgono ogni volta che ci si avvicina ai suoi scritti, tanti gli aspetti del suo percorso esistenziale e intellettuale, poco incasellabili nelle categorie del pensiero omologato con cui ci troviamo a leggere le opere di un pensatore fuori da ogni cliché. Tra gli aspetti che sicuramente confondono e spiazzano chi vorrebbe inserire Pasolini in una semplice figura dell’intellettuale pura astrazione e critica, c’è il tema del calcio, un argomento presente e forte nella vita dello scrittore e regista di origini friulane. Negli ultimi anni questo tema, però, è stato affrontato cercando di portare alla luce un Pasolini non più umano, ma anzi più intellettuale proprio perché vicino ad un aspetto apparentemente solo ludico come il gioco del calcio.

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Valerio Curcio in Il calcio secondo Pasolini colleziona una ricerca approfondita sulla relazione tra Pasolini e il calcio, disegnando non solo una passione ma anche uno scorcio da cui intravedere meglio sia l’uomo che l’intellettuale. Per affrontare questo percorso di conoscenza Curcio stabilisce alcuni campi tematici che corrispondono ai capitoli del volume, che di per sé illuminano sul progetto dell’opera. Il tifoso, il calciatore, il narratore, il cronista, l’intellettuale sono i capitoli in cui Curcio suddivide il racconto, a cui si aggiungono due interviste a Pasolini, una bella prefazione di Antonio Padellaro e un ricordo di Dacia Maraini. In tutti i capitoli emerge una parte del rapporto di Pasolini con il calcio, in cui se da un lato si evince il suo amore per questo sport, dall’altro prende le distanze da un certo modo di vivere lo sport come rivalità nazionale o puro business.

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A proposito di nazionalismo: non sarebbe ora che ci considerassimo cittadini transnazionali anche come sportivi?” dirà in un’occasione parlando della prosopopea nazionalista per che troppo spesso colpiva le colonne dei giornali sportivi in occasione delle vittorie degli atleti italiani. Tema anche in questo caso come in molti altri profetico e attuale.

Pasolini vedeva nel calcio un elemento politico, ma non voleva che questo fenomeno popolare si sottoponesse alla logica di omologazione che intuiva per molte altre parti della società. Il calcio doveva rimanere la libera espressione di un’inclinazione, spontanea, popolare. Per questo il calcio di Pasolini era quello delle strade, delle borgate, dei quartieri poveri del mondo. Una geografia della passione che prescindeva da dove sarebbe andata a sfociare, ma che non poteva prescindere da dove se ne veniva infettati. Spiegherà infatti Pasolini  che per lui Bologna era la città del calcio, perché era la prima in cui aveva tirato calci ad un pallone. 

Non ha importanza, non è determinante dove si è nati, conta quando e dove si sono avuti i primi approcci col calcio per diventare un appassionato, un tifoso. Il tifo è una malattia giovanile che dura tutta la vita

E questa malattia era quella che lo portava durante le riprese di un film a smarcarsi dalla troupe per raggiungere dei ragazzi su un campo improvvisato che tiravano qualche calcio al pallone. In questo senso popolare rientrava certamente un amore intellettuale per il corpo, per la forma estetica, per l’istinto. Una fascinazione per il corpo del calciatore che si tradurrà anche in prosa in I ragazzi di vita, un racconto popolare di vita che supera il sistema. Curcio ricostruisce con grande perizia i ritrovamenti fra gli scritti di Pasolini delle tracce di sport, dando anche evidenza che non sarà mai un tema predominante, come se in qualche modo il calcio fosse un linguaggio a sé stante, dove ogni sovrastruttura era di troppo, ridondate.

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Curcio fa notare come nei suoi romanzi Pasolini faccia entrare un calcio senza tempo, senza campi, incastonato fra la vita proletaria di un’Italia sulla porta del boom economico, dove il calcio è la scusa per raccontare un carattere, un’inclinazione. Anche quando il calcio esplicitamente appare come in Domenica al Collina Volpi, il focus non è sulla descrizione della partita, ma sul dialetto romano, sulla topografia che cambiava. Pasolini, però, riconosce un linguaggio proprio al calcio tanto da dettarne le fondamenta e disegnare attraverso di esse anche alcuni caratteri nazionali. Il podema è infatti per Pasolini un particolare modo di parlare attraverso i segni del calcio una lingua fra i calciatori e pubblico, un mondo di segnali in cui si riconoscono gli ascritti a questa passione. In questo linguaggio si potrebbero addirittura cogliere dei caratteri nazionali: il senso del gruppo mitteleuropeo e il senso lirico-poetico sudamericano.  

A chiudere Il calcio secondo Pasolini troviamo una bella intervista a Dacia Maraini che racconta l’uomo-Pasolini non solo nel suo legame con il calcio, ma anche con la vita, l’estetica, la bellezza. Un racconto semplice in cui scoviamo un Pasolini innamorato della joie de vivre, nei viaggi intorno al mondo e fuori dai set e dal tavolo di scrittura. Leggere oggi il Pasolini “calcistico” ha un senso fondamentale per ritrovare uno scrittore troppo spesso citato, tirato per la giacchetta, ma poche volte in Italia preso in considerazione per le sue visioni oltre che per la critica. La sua interessante visione sul calcio ci mostra un intellettuale e un uomo di cui si sente terribilmente la mancanza.

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