¡Ódiame más! Il Club América nell’anno che segnò il destino del Messico

La discesa in notturna verso l’aeroporto Benito Juarez di Città del Messico regala al viaggiatore un vero e proprio capovolgimento del cosmo. Lo sguardo spaesato e protetto dall’oblò non riesce a scorgere la fine della distesa di luci che si perde in ogni possibile direzione e inghiotte tutto: dalle colonias al vulcano Popocatépetl, passando per la torre Latinoamercana, le chiese e i grattaceli che ogni anno sprofondano nella terra argillosa e drenata dove un tempo c’era il lago Texcoco, cuore del mondo preispanico dei Mexica. Eppure, per vivere a fondo la megalopoli più grande del nord e centro America (10 milioni di abitanti in città e più di 20 milioni nell’area urbana) basta scendere in metropolitana e percorrere la tratta della Linea 2 che in meno di mezz’ora collega lo Zócalo, il cuore della patria, con la periferia di Tasqueña.

A ogni fermata e dentro ogni convoglio si assiste alla rappresentazione di quel surrealismo kafkiano in salsa chilanga che è il quotidiano vivere messicano, dove vita, morte e miracoli non osano vedere più in là di una giornata dedicata a sopravvivere. C’è chi vende l’ultima copia del Diario de México con in prima pagina la foto dell’ennesima mattanza avvenuta in città, e un focus sulle parole sicario e assalto divenute parte del lessico di tutti i giorni. C’è chi vende di tutto, dalle torce in stile minatore da usare in caso di interruzione di corrente o terremoto, alle barrette di cioccolato, dai dischi pirata delle bande di Ranchera che raccontano di storie d’amore e narcocultura, ai rimedi contro il malocchio. Sarti, sciamani, mariachi e venditori di tacos de canasta si alternano nella loro narrazione fino al capolinea. Arrivati a Tasqueña, si prende il treno leggero in direzione stadio Azteca e se è giorno di partita, il treno è pieno dei colori azulcrema indossati con orgoglio dal tifo del Club América.

L’incredibile esperienza allo stadio Azteca

Delle tre grandi squadre capitoline, El C. F. América è quella che gioca le sue partite casalinghe in uno dei luoghi più simbolici del Fútbol mondiale. Poco prima dell’entrata principale allo stadio è possibile osservare una targa celebrativa che recita le seguenti parole:

L’Azteca rende omaggio alle selezioni di Italia (4) e Germania (3) protagoniste della Partita del Secolo avvenuta il 17 di giugno del 1970 durante il Mondiale.

Tale dettaglio conta poco per la Banda que nunca abandona, il cuore del tifo del club più vincente nella storia del Messico e di tutta la Concacaf, con i suoi 13 titoli nazionali, 6 coppe del Messico, 6 supercoppe, 7 coppe Concacaf e 2 coppe interamericane in bacheca. Ciò che conta è vestire i colori, indossare le maglie e i cappellini con le frasi simbolo dell’identità e dell’orgoglio del club delle aquile: Ódiame más (Odiami di più) e Somos todo lo que tu no eres (Siamo tutto ciò che non sei) sono le più gettonate. Perché tifare l’América è davvero avere contro tutto il Paese, dalla Maquina Cruz Azul, agli universitari del Pumas, passando per i tifosi del Chivas de Guadalajara o quelli delle squadre della Sultana del Norte: il Tigres e il Monterrey.

Così, nel marasma di bancarelle e venditori ambulanti antistante agli ingressi, c’è chi va in cerca del “tizio del Tepito” per comprarsi una maglia del club. Il Tepito è uno dei quartieri più malavitosi della capitale, interamente circondato e assorbito da un mercato che pullula di mercanzia ricettata e contraffatta. Dentro il Tepito è possibile trovare di tutto – armi, droga, medicine e altarini dedicati alla Santisima Muerte compresi – e si può assistere a match di pugilato e lucha libre clandestini, oltre a scommettere sulle lotte tra animali, siano esse dei cani o dei polli con le zampe rinforzate dalle navajas (lame). Tra le maglie più vendute e più ricercate c’è la maglia della stagione 1994-95, quella dell’olandese volante al timone e delle Aquile nere all’attacco; la maglia indossata da chi ha terminato la stagione con zero titoli.

Può una squadra che non ha vinto nulla essere considerata il miglior club messicano di sempre?

Per molti – americanisti e non – la risposta è un sì deciso e inconfutabile, e molto ha a che vedere con quel periodo storico. Ci sono annate che rimangono impresse nella memoria delle persone perché segnate da eventi straordinari, alle volte catastrofici; il 1994 è di sicuro l’anno che ha segnato il destino del Messico. Il 1° gennaio il movimento zapatista EZNL guidato dal subcomandante Marcos, insorse a San Cristobal de Las Casas e negli altri centri del Chiapas, uno degli stati messicani più poveri e a maggioranza indigena Tzotzil, Tzeltal, Chol e Tojolabal. Alla base dell’insurrezione campesina, durata undici giorni, la richiesta di: terra, dignità, migliori condizioni di vita e istruzione per la parte più giovane e più povera del Messico. La guerriglia si opponeva contro il governo centrale e, soprattutto, contro l’adesione al NAFTA, il trattato di libero scambio tra Messico, USA e Canada firmato dall’allora Presidente della Repubblica messicana Carlos Salinas de Gortari che entrava in vigore nel 1994. Dei tre paesi firmatari, il Messico era l’unico a essere in via di sviluppo.

subcomandante marcos
Il subcomandante Marcos, capo dell’EZLN

Il processo di globalizzazione accentuato dal NAFTA ha portato un aumento dell’export di prodotti agricoli e materie prime, oltre a una crescita di posti di lavoro nel terziario e servizi (vedasi le famose maquiladoras di Tijuana e Ciudad Juarez che hanno portato nelle fabbriche di frontiera le donne dagli stati rurali e poveri della repubblica, creando nuove dinamiche comunitarie e problematiche sociali quali l’aumento di femminicidi e fenomeni di tratta di persona), ma anche allargato il divario tra ricchi e poveri, precarizzato il mercato del lavoro e favorito il consolidamento delle attività criminali e della violenza sistematica in capo ai cartelli della droga dediti al passaggio di sostanze e di migranti oltre frontiera. È proprio alla frontiera, a Tijuana, che il 23 marzo del 1994 il candidato del PRI alle presidenziali, Luis Donaldo Colosio, venne assassinato mentre teneva un comizio nel quale pronunciò le seguenti parole:

Vedo un Messico affamato e assetato di giustizia. Un Messico di persone addolorate, addolorate dalle distorsioni imposte dalla legge che dovrebbe servirle.

Luis Donaldo Colosio, candidato del PRI alle presidenziali

Tale evento verrà in seguito investigato come omicidio di stato.

Luis Donaldo Colosio
Luis Donaldo Colosio

Pochi mesi dopo arrivavano i mondiali di USA ’94, evento globale per gli interessi economici delle grandi multinazionali Usa. Romario, Bebeto, Batistuta, Caniggia e Maradona, Roberto Baggio, Baresi, Maldini ma anche Hagi, Stoichkov, Scifo, Valderrama, Etcheverry, Brolin e tantissimi altri campioni si sfidavano sotto il solleone dell’ora di pranzo americano per ottemperare il volere dei mass media e degli sponsor. Il Messico andò a giocare nella casa dei Gringos con una generazione di talento capitanata dal leggendario Hugo Sanchez. In quei giorni mondiali, il presidente dell’América, Barroso, contrattò l’allora allenatore del Real Madrid, Leo Beenhakker, per affidargli la guida del Club di Coapa che non vinceva un campionato da cinque stagioni.

A questo ingaggio – sbalorditivo per il movimento messicano – seguì una maestosa campagna acquisti che andava a rafforzare una squadra già zeppa di giocatori di talento, con i messicani Adrian Chavez, Juan Hernandez, Raul Lara, i bomber Luis Alberto Alves Zague e Cuauhtémoc Blanco e nazionali Raul Gutierrez e Joaquin Del Olmo. A loro si unirono due fuoriclasse in arrivo dall’Europa: il camerunese François Omam-Biyik, giocatore famoso per aver piegato l’Argentina nella partita di esordio di Italia ’90, e il trequartista zambiano Kalusha Bwalya. Bwalya era all’epoca uno dei giocatori più forti d’Africa, conosciuto al pubblico italiano in quanto autore di una tripletta nel 4-0 rifilato all’Italia alle olimpiadi di Seul 88 e unico superstite del gruppo della nazionale zambiana vittima di un incidente aereo a largo della costa del Gabon durante le qualificazioni ai mondiali USA.

Leo Beenhakker
Leo Beenhakker

Beenhakker decise sin da subito di far giocare la squadra all’olandese, impostando un 4-3-3 iper-offensivo che nelle prime giornate regalò dolori e incertezze al pubblico americanista. A poco a poco le cose cambiarono. Il 7 ottobre 1994 il Morelia fece visita alle Aquile, e dopo pochi minuti gelò per ben due volte il pubblico dell’Azteca. Quando tutto sembrava sancire il fracasso definitivo dell’América e del suo Calcio totale, ecco che in pochi minuti arrivò il poker siglato da Omam-Biyik seguito dalle reti di Del Olmo e compagni per un 7-3 finale che darà slancio all’intera stagione. Due settimane dopo l’America schiantò 8-1 il Tamaulipas e sotto di 3 reti a 2 in casa degli acerrimi rivali del Chivas, la squadra di Beenhakker riuscì a ribaltare il risultato finale con un 4-3 firmato Cuauhtémoc Blanco. Le due Aquile nere Omam Biyik – autore di 30 gol nella stagione – e Bwalya si erano convertiti negli idoli di un intero Paese. L’America continuò a schiantare gli avversari, con le vittorie per 8-2 contro i Gallos Blancos, 6-1 contro Morelia e 3-1 contro i rivali cittadini del Cruz Azul e Pumas. Il Club di Coapa era primo per distacco in campionato e il pubblico americanista tornò a riempire in massa l’Atzeca dopo gli ultimi anni di magra. Con 18 vittorie 9 pareggi e 4 sconfitte e 78 gol fatti in 31 giornate, l’América si era qualificata per la fase finale del campionato che si disputava con il format dei play off a eliminazione diretta, e veniva accreditata come la principale candidata alla vittoria finale.

Quando tutto lasciava presagire un lieto fine, giunti alla trentunesima giornata della stagione regolare il club licenziò in tronco Beenhakker senza offrire alcuna spiegazione. La verità arrivò soltanto a giochi fatti, quando l’América venne eliminata dal Cruz Azul nelle semifinali della Liguilla. Leo Beenhakker si era opposto al diktat del presidente che gli aveva chiesto di non far più giocare Del Olmo a causa di una disputa contrattuale in corso. La stagione americanista finì male, senza titoli e con tanti rimpianti. Nonostante ciò, la squadra riuscì nell’impresa di far sognare un Paese, alleviando – per poco meno di una stagione – le pene, le paure e le incertezze di quel 1994 che ha segnato il destino del Messico, ed è per questo motivo che ancora oggi viene ricordata con affetto come la miglior squadra mai vista nel Paese dove tutto può accadere.      

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